Parlare in un contesto in cui chi ci ascolta valuta in modo diverso dal nostro cosa è la competenza richiede un'attenzione particolare al linguaggio

Parlare in un contesto in cui chi ci ascolta valuta in modo diverso dal nostro cosa è la competenza richiede un'attenzione particolare al linguaggio


Alla fine dell’ultimo articolo che ho scritto in questa rubrica , parlavo dell’importanza della narrazione di sé per una donna che voglia realizzare la propria personale idea di successo. Ritengo infatti che successo e narrazione di sé siano strettamente legati.

Per una donna, in particolare, imparare a far sentire la propria voce nei contesti importanti, come quelli di lavoro, è una sfida ancora da vincere.

Come in altri contesti, infatti, i condizionamenti culturali e sociali limitano l’espressione di sé e delle proprie idee per una donna, più di quanto non accada per un uomo.

Leggevo alcuni giorni fa alcune riflessioni del CEO di una grande azienda, spesso costretto – secondo le sue parole – a prendere decisioni in 5 minuti su questioni sulle quali altri hanno lavorato 5 mesi. Egli affermava che, se la persona che gli presentava la questione o la proposta sembrava abbastanza sicura di sé, aveva il suo ok. Altrimenti, no.

Questo esempio mi serve per introdurre un tema chiave: il modo in cui parliamo e ascoltiamo è condizionato dal nostro background culturale e sociale. Ciò che per il CEO in questione è “self-confidence”, infatti, potrebbe non esserlo per un altro.

Se estendiamo il discorso al tema del gender gap, è facile intuire che, poiché le donne hanno nel tempo imparato a esprimersi in un modo diverso rispetto agli uomini, se una donna deve farsi valutare da un uomo o da più uomini rispetto al proprio grado di competenza o sicurezza, il rischio di incomprensione è elevato. E quindi, riuscire a far sentire la propria voce, diventa più difficile – soprattutto se a quella voce non viene riconosciuta autorevolezza o la giusta competenza.

Porto degli esempi al riguardo, che ho estratto dall’interessante articolo di Deborah Tannen, The Power of Talk”:

  • Fare domande: sebbene porre le giuste domande sia una delle caratteristiche di un buon manager, come e quando facciamo domande manda segnali non intenzionali riguardo la nostra competenza. Se in un gruppo siamo le uniche (o gli unici) a fare domande, rischiamo di essere considerati meno preparati degli altri. In che modo questo incide anche in ambito lavorativo? Da alcuni studi, risulta che gli uomini sono più restii a fare domande o a chiedere indicazioni quando si perdono e in genere, esplicitano di meno delle donne dubbi o richieste di chiarimenti. E se gli uomini ritengono che fare domande possa avere un effetto negativo sulla propria immagine, allora per questi stessi uomini sarà normale farsi un’opinione negativa di una donna che faccia domande in situazioni in cui loro non le farebbero.
  • Dare feedback: anche in questo caso, le incomprensioni sono frequenti. Prendo spunto dal caso che cita Tannen nel suo articolo, e cioè il caso di una manager che, insoddisfatta del lavoro del suo direttore di marketing, gli chiede di apportare delle modifiche, ma prima di porre l’accento sulle critiche, ha il tatto e la sensibilità di sottolineare gli aspetti positivi del lavoro. Tuttavia, quello che io ho inteso come tatto e sensibilità, non è stato considerato alla stessa stregua dal direttore di marketing che, considerando l’apprezzamento iniziale come la parte più importante del colloquio con la manager e le critiche come un fatto secondario, finisce per modificare in modo molto superficiale il report. Questo breve esempio dimostra come i differenti stili di linguaggio abbiano un impatto rilevante sull’esito di una conversazione o su una relazione (personale o professionale). 
  • Esprimersi in modo indiretto: quest’ultimo punto è collegato al precedente. Infatti, è probabile che il direttore di marketing abbia considerato il modo di esprimersi della manager poco chiaro e quindi, che l’abbia considerata poco sicura di sé. Questo è un punto molto importante secondo me: sapersi esprimere in modo chiaro e diretto non significa perdere la gentilezza – significa utilizzare un linguaggio assertivo, in grado di dare direttive senza prevaricare. In caso contrario, con un linguaggio che privilegia l’espressione indiretta, il rischio è che chi ascolta consideri l’interlocutore (in tal caso, la manager) con le idee poco chiare e scarsamente autorevole, tanto che i suoi giudizi non vengono presi troppo sul serio.

Questi sono solo 3 esempi, ma il concetto che mi preme far passare è che per realizzare la propria personale via per il successo è importante saper combinare due aspetti: restare fedeli a se stesse (come ho già scritto in un altro mio precedente articolo) e avere padronanza del contesto in cui si opera, conoscerlo e decodificare i segnali di incomprensione che possono sorgere nella comunicazione a vari livelli.

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