Parole vuote e piene
Foto di Arek Socha da Pixabay

Parole vuote e piene

L’attenzione al significato delle parole come capacità fondamentale per comprendersi

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Una frase attribuita a Talleyrand recita: "La parola è stata data all’uomo per nascondere il pensiero." Se pensiamo a lui come uno tra i maggiori esponenti dell'essere camaleontici in politica, probabilmente nel pronunciare la frase aveva in mente qualcosa di manipolatorio.

Senza per forza bisogno di scomodare le parti peggiori dell'essere umano, penso davvero che le parole possano essere fuorvianti, spesso. Ovvio, non tutte: se dico "tavolo" credo che tutti sappiamo a cosa ci si riferisce. Ma le parole astratte, quelle che esprimono cose che non si possono realmente toccare né vedere, quelle sì che possono essere pericolose. A meno che non si definiscano e rese specifiche attraverso criteri di concretezza che ci permettano di accordarci sul loro significato.

L’uso delle parole adatte è essenziale in tutte le relazioni tra individui e in alcuni casi lo è ancor di più. Alcune parole hanno significati che non per forza è condiviso ed esplicito a priori. Quindi rischiano di creare incomprensioni.

Vi racconto un episodio della mia vita professionale, sintetizzato per quest'articolo.

(N.B. - I nomi dei personaggi e la situazione sono stati modificati per rendere irriconoscibile l’evento, nel rispetto della privacy dei reali intervenuti. La struttura della situazione, così come i dialoghi, è rimasta inalterata per mantenere lo scopo del testo.

Marco e Flavio sono due manager di un’azienda che offre servizi di telecomunicazione. Marco, oltre ad essere il fondatore dell’azienda, ne è anche il Direttore Vendite. Flavio è il Direttore Marketing. I due si conoscono da tempo e hanno sempre lavorato insieme, c’è una buona affinità tra loro e anche una certa coesione nella loro idea di come dovrebbe evolvere l’azienda. 

Ero stato consultato perché lamentavano una “perdita d’efficienza” (testuale) nella loro rete di vendita. Seduto nel loro ufficio potevo osservare con attenzione sia Marco che Flavio. Dopo la fase necessaria di rottura del ghiaccio e di conoscenza un po’ più approfondita della loro situazione, inizio la mia attività: “Se ho capito bene, siamo qui per esplorare insieme le cause di ciò che voi chiamate “perdita d’efficienza” nella vostra rete. Volete spiegarmi meglio cosa intendete?” 

Flavio: “Ho notato che i nostri venditori non riescono a lavorare in maniera adeguata con i supporti di marketing che gli offriamo. Non usano il software dimostrativo che gli abbiamo preparato e per questo portano a casa molti meno ordini.” 

Marco cominciava a dare segni di nervosismo: cominciò ad aumentare i suoi movimenti sulla sedia, si lisciava con molta più intensità il viso e la bocca. Di tanto in tanto emetteva con maggiore potenza i suoi tipici “sospiri”, simili a sbuffi. Dopo un po’ cominciò: “Non credo sia questo…almeno non solo questo. Io ho notato che i venditori hanno difficoltà a interpretare i messaggi dei materiali di marketing e quindi non hanno voglia di mostrarli. Inoltre hanno esaurito la loro spinta iniziale: per loro è uno sforzo notevole andare a rincontrare i clienti che al primo appuntamento gli hanno dato scarse soddisfazioni e temono di vedersi del tutto chiuse le porte in faccia…”. 

A quel punto avevo bisogno di capire meglio le due prospettive, che sembravano abbastanza diverse: “Quindi abbiamo almeno due diverse percezioni. Tu, Flavio, lamenti una scarsa aderenza a ciò che il Marketing produce e pensi sia questa la causa del minor numero di ordini. Tu, Marco, pensi che i venditori siano in una certa difficoltà nell’utilizzo dei materiali, unita al timore di essere rifiutati dai loro potenziali clienti. È corretto?” 

Entrambi annuirono, così ho potuto continuare: “Mi sembra che le vostre posizioni abbiano una parte in comune e un’altra abbastanza differente. Quello che dobbiamo fare è arrivare al vostro compromesso, che è poi il motivo per cui mi avete chiamato: cosa vuol dire per voi ‘efficienza’?” Un silenzio un po’ più lungo del normale…uno sguardo un po’ vacuo, tipico di chi sta cercando la risposta a una domanda che non s’era mai posto… forse. 

Marco fu il primo: “Per me ‘efficienza’ vuol dire sapersi confrontare con ogni possibile cliente, sia esso facile o difficile. Voglio che ciascun venditore sia competente per il suo lavoro e sia capace di gestirsi in ogni situazione.” 

Flavio disse: “E per me vuol dire essere capace di sfruttare al massimo tutte le dotazioni e gli strumenti che l’azienda offre.” 

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Io: “Bene, vorrei che voi due parlaste insieme per il tempo che vi serve a rendere evidente e concordato il significato di ‘efficienza’ nella vostra azienda. Se non facciamo questo, abbiamo il problema di lavorare solo sulle vostre considerazioni personali, che, come vedete, non per forza collimano tra di loro. Invece, dato che per lavorare bene insieme è utile avere una definizione unica e condivisa, vi invito a svolgere questo esercizio e rispondere a queste due domande:

  • per quest’azienda cosa significa ‘efficienza’? 
  • cosa deve accadere o esserci affinché voi possiate dire che quest’azienda, vostri venditori inclusi, sta lavorando in modo efficiente? 

Marco e Flavio si guardarono senza battere le ciglia e, con il tipico atteggiamento di chi ha molto a cui pensare, si misero al lavoro… 

Qui si interrompe la storia, non c’è bisogno di continuare perché lo scopo di queste righe è di mettere attenzione sul linguaggio e soprattutto su una categoria di parole che è pericolosamente ambigua. Potete sostituire i nomi dei due protagonisti della storia con il vostro e quello di un vostro collega, manager, amico, partner, figlio, conoscente, datore di lavoro… Insomma un altro essere umano a vostra scelta. E potete serenamente sostituire la situazione con qualsiasi evento di relazione in cui avete sperimentato ostacoli, scarsa fluidità nelle operazioni, poca chiarezza, blocchi, conflitti, perplessità, incomprensioni, frustrazione… È probabile che la causa radicale di questo sentimento risieda in una parola. Una sola parola che però è l’espressione di uno stato della mente e che quindi ha un riflesso sul comportamento. 

Esplicitiamo: chi legge avrà notato la mia ostinazione su una parola in particolare: “efficienza”: 

  • questa parola (come tante altre che vedremo tra un po’) è astratta. Un tavolo è un oggetto tangibile e concreto, lo vediamo e lo possiamo toccare. L’efficienza no, non la possiamo vedere direttamente, se non attraverso dei comportamenti indicatori. 
  • questa parola ha un significato personale. Per me (Mario) efficiente è qualcuno che termina un compito nel tempo stabilito e rispettando dei precisi criteri di qualità, stabiliti a priori. Per un mio collega, l’efficienza potrebbe essere “iniziare subito a fare il compito che mi viene detto, mettendoci la mia esperienza e prendendomi tutto il tempo che ci vuole”. Per Flavio era “usare gli strumenti di Marketing”. Chi ha ragione? Tutti e nessuno. E poi è davvero così importante avere ragione? 
  • Questa parola, quindi, racchiude il germe dell’ambiguità generale, benché sia univoca per il singolo individuo che la pronuncia. È una parola piena di significato (per chi la pronuncia) ma vuota (in senso generale, finché non ci si è accordati sul significato stesso) 
  • Questa parole, insieme alle sue simili, se non adeguatamente esplicitate nella loro connotazione pratica, rischiano di generare incomprensioni e conflitti. 
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Altre parole simili a “efficienza” sono: amicizia, amore, rispetto, salute, benessere, professionalità, felicità, passione, ricchezza, realizzazione, fede, fiducia, libertà, … potete sbizzarrirvi nel cercarle da soli, la nostra bocca ne è piena, la nostra mente anche.

Parole importanti, no?

Siccome il linguaggio è un comportamento ed è espressione di qualcosa che abbiamo nella nostra mente, vale la pena di essere il più possibile specifici quando vogliamo che il nostro punto di vista venga compreso.

A maggior ragione quando vogliamo che venga eseguito un compito nel modo in cui desideriamo. 

Per ottenere qualcosa in più su cui continuare a esplorare in seguito, sono due le domande da fare: 

  • Cosa intendi tu con “-parola astratta-”? Questa domanda aiuta ad essere più specifici e a rendere consapevoli di cosa si intende veramente con quella parola. 
  • Cosa deve accadere o esserci affinché tu possa dire che “-parola astratta-” sia completamente presente e soddisfatta? Questa domanda aiuta a rendere palesi i criteri, basati su cosa vedrò e sentirò, per cui posso dire a posteriori che il contenuto di quella “-parola astratta-” sia stato espresso al massimo possibile. La parola vuota diventa piena attraverso qualcosa di tangibile che posso rilevare attraverso i sensi. 

Uno stimolo per il lettore: trova almeno tre parole di questo genere (es. amore, amicizia, felicità) e poniti le due domande che ho espresso nel testo. Per esempio: 

  • Cosa è per me la "felicità sul lavoro"? 
  • Cosa deve accadere o esserci affinché io possa dire che quello che intendo con "felicità sul lavoro" sia completamente soddisfatto per me?
Fabrizio Poletti

Sales Manager, Talent Seeker and Sustainability Inspirer

5 anni

Utilissimo grazie!

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