Maledetto ghiaccio!
Un’immagine su cui sorridere, perché nasce con questo scopo: quattro diverse bevande alcoliche, vodka, ouzo, whiskey e gin, ciascuna con aggiunta di ghiaccio, sembra abbiano effetti nefasti su alcuni dei nostri organi interni, rispettivamente reni, fegato, cuore e cervello. La brillante immagine conclude che è colpa del ghiaccio, l’unica cosa visibilmente in comune a tutte le combinazioni. È chiaro che c’è anche l’alcool, ma quello è sotto mentite spoglie, nascosto, raccontato con nomi esotici. E poi a molti piace!
L’intento di chi ha disegnato l’immagine è ironico, deve far divertire chi la guarda. Infatti a me ha fatto sorridere molto e poi mi ha fatto pensare: ognuno trova la propria scusa per farsi tornare i conti e per dare un senso alle cose che accadono. Soprattutto tendiamo a costruirci le nostre giustificazioni per fare orecchie da mercante quando ci confrontiamo con qualcosa che non vorremmo sentire, che potrebbe farci male, che non ci piace, che ci richiede impegno.
Mi appassiona l’irrazionalità, tipica di noi esseri umani o, per meglio dire, l’erronea sovrastima che tendiamo ad avere delle nostre capacità di ragionamento. Tra queste prediligo la nostra tendenza, di fronte a un evento, ad accontentarci delle prime spiegazioni, quelle più a portata di mano. Da qui partiamo a spron battuto a costruirci sopra i nostri castelli di considerazioni, precari come le fondamenta da cui partiamo. La buona notizia è che l’intelligenza e la cultura, di cui tutti ci ammantiamo e che invochiamo a piena voce, non c’entrano.
Rispetto a un evento, un (tipico) essere umano compie una serie di processi, complessi e articolati, che sintetizziamo come di seguito: cattura dati e informazioni, attribuisce loro un’etichetta e un valore soggettivo, li rielabora mentalmente e, per finire, produce un risultato, coerente con quello che vuole ottenere a partire dall’evento stesso. Tutto questo sarà poi a disposizione per le successive rielaborazioni dell’esperienza e sarà un ovvio spunto quando si ripresenterà un’occasione che assomiglierà a qualcosa di simile all’evento già sperimentato.
Il problema è che, senza che ce ne accorgiamo e in buona fede, spesso acquisiamo i dati di partenza in modo vago, insufficiente e superficiale, senza considerare che tutto è individuale, personale e parziale.
La rielaborazione sarà incompleta e inadeguata, e il prodotto sarà, ovviamente, molto al di sotto dell’ottimale. D’altronde tutto tende a diventare odioso quando il nostro soggettivo prodotto della mente viene elevato a livello di verità assoluta, oggettiva, e si è pronti a difenderlo a spada tratta, pur di aver (e di darsi) ragione.
Credo che si possa riassumere così:
- nessuno di noi sa gestire a sufficienza la complessità, sfaccettata e mutevole.
- le emozioni giocano un ruolo cardine. Soprattutto se siamo sotto stress e gli stimoli che ci investono sono troppi.
- di fronte alla complessità, la percezione umana, già di solito vaga e insufficiente, oltre che soggettiva e individuale, lo diventa ancora di più.
- di fatto si tende a scegliere in base alle proprie inaccurate e fallaci scorciatoie di pensiero, i propri bias, privilegiando:
- ciò che pensiamo non minacci il nostro status quo…
- ciò che non implica un dispendio di energia percepito come eccessivo…
- ciò che pensiamo non possa nuocerci o penalizzarci…
- ciò che sembra possa salvarci o migliorarci la vita...
- ciò che ci suona familiare o già sperimentato...
- ciò che sembra rapido, che non ci impegni troppo
- ciò che sembra vicino, a portata di mano
- ciò che è stato fatto (o detto) da qualcuno che reputiamo simile a noi...
Che ci piaccia o meno, è abbastanza vero che la "pancia" comanda, la testa giustifica.
Ecco perché sarebbe importante continuare a coltivare un dubbio sano, frenare l'urgenza di emettere un giudizio, valutare le alternative, soprattutto quelle che potrebbero smentirci, anziché darci ragione.