PEGASO: IL PENSIERO MITICO, L’ESSENZA DEL PENSIERO MAGICO
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PEGASO: IL PENSIERO MITICO, L’ESSENZA DEL PENSIERO MAGICO

Ad un certo punto della sua indagine riflessiva sul mito Jung dirà queste singolari parole: “gli Dei sono diventati malattie”. (C. G. Jung, Opere XIII)

Cosa voleva dire Jung con questa espressione? Certamente la sua premura era di sottolineare che il rifarsi al mitico era divenuto un elemento scomodo per una visione del mondo che cercava certezze e realizzazioni sicure.

Come sottolinea anche Hillman, uno dei suoi allievi, il mito ha le sue leggi, che sono diverse da una visione del mondo fatta di realizzazioni perseguite attraverso modelli che devono ridurre al minimo la possibilità di non riuscita, come nella nostra epoca.

Le figure mitiche sono espressioni di un universo dove esiste l’esperienza del litigio, la possibilità di consumare vendette, e dove si portano a termine compiti grandiosi, dove in altre parole si mostra tutto il percorso dell’imperfezione umana. Il nostro mondo è una proiezione imitativa del loro poiché è trasferendo i concetti del mondo antico che noi abbiamo creato il nostro. Tutto quello che facciamo è una rilettura di qualcosa che si è già compiuto in un’altro tempo e che serve da modello per poterlo reinterpretare in una chiave odierna. Così abbiamo appreso attraverso lo studio degli antichi che anche le nostre ricerche sulle emozioni si sono potute sviluppare attraverso la visione proposta dal mito. Per i greci dell’epoca arcaica il mito era un evento narrativo fatto di parole recuperate dalla memoria collettiva che di fatto veniva trasmessa di generazione in generazione e, come ci suggerisce Guidorizzi nel suo “Il Mito Greco) “[...] un tipo di pensiero analogico che opera a fianco di quello razionale e coesiste con esso, in una sfera sua particolare”.

Gli approfondimenti sulla struttura del mito hanno messo in rilevo, già da tempo, come il pensiero mitico sia dotato di un’organizzazione non meno rigorosa di quella del pensiero logico, ma frutto di una mente che opera su un livello diverso circa la propria elaborazione mentale. Per quanto concerne la psicanalisi, e attraverso d’essa, il mito viene utilizzato ed inserito in un eterno presente perché è considerato un linguaggio che opera dentro i modelli di riferimento della psiche, infatti, il procedere mitico è simile al procedere dell’inconscio.

“[...] il mito può essere visto come una specie di cantina della mente in cui si ripongono forme del rimosso, oppure in alternativa, come una stanza del tesoro che contiene i fondamenti perenni della struttura psichica dell’umanità stratificati nell’inconscio collettivo. In ogni caso è un elemento essenziale per la comprensione dei fenomeni psicologici.” (G. Guidorizzi, “Il Mito Greco”)

Infatti il mondo mitico propone un modello d’inconscio non statico, piuttosto inteso come un evoluzione del mondo simbolico che attinge alle energie primarie del funzionamento psichico. Una testimonianza artistica, un riferimento visivo interessante e di particolare rilevanza, lo troviamo nella sala dei Giganti di “Palazzo Te” a Mantova, dove sono rappresentati gli dei olimpici che sovrastano, dentro un ordine di sovrana purezza, i giganti, che giacciono sotto di loro contorti, deformati e schiacciati dal peso della loro natura scoordinata e disarmonica.

Una immagine tesa a dimostrare come gli dei possano rappresentare un’articolazione delle passioni regolamentata, mentre i giganti simboleggiano l’essere schiavi del loro istinto distruttivo. Uno dei maggiori studiosi moderni del mito,  Joseph Campbell, afferma che attraverso il mito cerchiamo l’esperienza dell’essere vivi. Una sorta di rapimento dell’esistere che, attraverso quelle tracce mitiche che giacciono sedimentate nella nostra mente, entra in risonanza con la coscienza estesa, incontrando il valore della memoria e il significato che questa porta nella vita dell’individuo.

“I miti sono le tracce che ci guidano verso le potenzialità spirituali della vita umana.” (J. Campbell, “Il Potere del Mito”)

La difficoltà di comprensione delle storie mitologiche è profondamente connessa ad una sorta di demitologizzazione sociale che rende non immediato il loro significato simbolico. Ciò è dovuto alla necessita di rifarsi ad un linguaggio oggi meno presente.

Il racconto contenuto nel mito ci consente di far emergere un aspetto o più aspetti della nostra vita personale, e la parabola di Perseo e Medusa lo esplicita molto bene. Questa dinamica si genera essenzialmente per un aspetto fondamentale, dove, anche se è vero che oggi il mondo è diverso da quello degli antichi, è altrettanto vero che la vita interiore dell’uomo non muta con una frequenza repentina, ed inoltre le strutture di base della psiche soggettiva rimangono uguali nel tempo. La nostra psiche infatti è in grado di conservare immagini interiori per del tempo, che poi in un dato momento riemergono su vasta scala: ciò che è accaduto alla storia dell’umanità. Immagini trasmesse per epoche che hanno via via fissato gli ambiti dentro i quali la psiche si è mossa.

“La psiche non è un riflesso di processi esterni, ma l’entità reale, al grado massimo. I sogni e le immaginazioni attive che emergono dagli strati comuni a tutti gli uomini o, per esempio, a un popolo, attraverso le età, hanno preso forma concreta nei miti, e queste rappresentazioni concrete corrispondono a dei bisogni dell’anima umana.” (H. E. Tissot, Introduzione a Mitobiografia di E. Bernhard)

I miti suggeriscono di affrontare le tenebre affinché la luce possa penetrare, di riprendere in mano quella suggestione verso il mondo che da bambini, nell’inesauribile curiosità di apprendimento, abbiamo sperimentato e trattare tutto questo come una forza interiore.

Il racconto di Medusa mette in primo piano come esista un legame dentro se stessi con qualcosa di forte che opera verso una distruzione, lo possiamo chiamare trauma, o in un’altra maniera, ma la sostanza non cambia: Medusa rappresenta il porre l’attenzione sul fatto che una parte di noi sia ostaggio del mostro, ne è prigioniera. Altro aspetto importante del mito è il dare valore alla prova dell’eroe. Attraverso questo aspetto si vuole descrivere come sia importante, arrivati ad una determinata età, diventare adulti. Bisogna riconoscere a che punto si è, rispetto ad un grado di maturazione che pone in primo piano la capacità di accettare delle prove di vita, e provare a superarle. Tale passaggio avviene facendo appello alla propria capacità di tracciare una strada evolutiva. In ultimo, il significato del caso, che il mito riprende sempre, è che vuole sottolineare come le cose siano in rapporto tra di loro, non solamente per i legami evidenti, ma anche per quelli nascosti che ne guidano la trama più di quanto possa sembrare.

Nel mito di Perseo e Medusa questo aspetto è rappresentato da diversi momenti: quando Perseo trova gli strumenti magici all’indomani dell’aver accettato la sfida, l’incontro con Andromeda che poi sposerà, la morte casuale del nonno Acrisio per mano dello stesso eroe durante una gara di lancio con il disco, che avvera la profezia dell’oracolo, il quale lo aveva visto morto per mano del nipote.

Tutti questi accadimenti, o per meglio dire metafore, rappresentano gli aspetti formativi del mito e sono in grado di proiettarci in una dimensione esplorativa molto profonda, non a caso, il già citato Campbell, parla della mitologia come della penultima verità. Un concetto che vuole descrivere l’intima essenza dell’uomo che le parole non sono in grado di rendere appieno prima del mistero della morte.

“È al di là delle parole, delle immagini, al di là del confine limitante della Ruota buddista del Divenire. La mitologia lancia la mente al di là di questo confine, verso ciò che possiamo conoscere, ma non dire. Questa è la penultima verità.” (J. Campbell, “Il Potere del Mito”)

Ora possiamo, finalmente, concentrare la nostra attenzione sul Cavallo Pegaso, per capire per quale motivo rappresenti il Pensiero Magico nella sua essenza e nel suo potere trasformativo. Pegaso è l’espressione di ciò che non può avvenire sul piano logico ma solo su quello simbolico, è la creatura della riconciliazione, il frutto di due mondi distanti che si riuniscono e, affinché questo possa avvenire, è necessaria una forza simbolica in grado di realizzare tale aspetto.

Torniamo un po’ indietro nel racconto del mito. Atena dea dell’intelligenza, figlia prediletta di Zeus e Poseidone, dio del mare e fratello di Zeus, quindi zio di Atena, sono stati in disputa per l’origine di Atene perché il popolo aveva scelto lei come dea fondatrice e non lui.

“Gli abitanti della capitale greca esitavano sulla scelta del dio protettore e sovrano della loro città. Restavano in gara Poseidone e Atena, entrambi accaniti nel tentativo di conquistare il cuore dei cittadini. Poseidone offri loro un cavallo - che creò espressamente per l’occasione - ma il dono di Atena, un olivo, riportò la maggioranza dei consensi. Da allora Atena diventò la dea della città alla quale dette il suo nome.” (C. Morel, “Dizionario dei Simboli, dei Miti e delle Credenze”)

In un’altra versione della leggenda del conflitto sulla nascita di Atene, si dice che Poseidone regalò agli abitanti di Atene un cavallo, essendo anche il signore dei cavalli, ma loro ricevettero da Atena le briglie per domarlo. Nella seduzione di Poseidone verso Medusa, e nel gesto di Atena che la rende mostruosa, scorgiamo dunque gli echi di un conflitto tra due modi diversi di affrontare il mondo, o con l’impulso (Poseidone) o con la ragione (Atena).

“Percorrendo il mare con il suo carro tirato dai cavalli, Poseidone Dio degli oceani, e dei destrieri, impersona i simboli inconsci caratteristici dei due anni: il cavallo e l’acqua. L’acqua ha sempre evocato nell’uomo il mistero infinito, le infinite possibilità e gli infiniti pericoli della fluidità del nostro inconscio. Priva di una sua forma predeterminata, l’acqua è in continuo movimento, mai diversa e tuttavia mai la stessa. Il cavallo personifica, nella sua potenza primitiva, le pulsioni istintive della nostra natura selvaggia [...]. Poseidone era il più primitivo degli dei, il rivoluzionario, il dio delle tempeste e dei terremoti, della devastazione improvvisa portata dalle onde del maremoto; Poseidone è il pericolo che si scatena quando erompono le forze che dormono sotto la superficie della coscienza.” (A. Stassinopoulos, “The Gods of Greece”)

“Atena è rappresentata come una dea vergine, dal cuore inattaccabile dalle passioni d’amore. [...] In lei potere e saggezza appaiono in perfetto equilibrio.” (A. Ferrari, “Dizionario di Mitologia”)

E ancora:

”[...] più che dea della battaglia è piuttosto la nemica giurata degli spiriti brutali, che esplicano tutto il loro essere nella selvaggia voluttà della mischia. [...] Non vuole ne’ saggezza ne’ sogno ne’ sacrificio ne’ godimento. La realizzazione, il presente immediato, il qui come pienezza e perfezione: ecco Atena” (W. F. Otto, “Gli Dei della Grecia”)

Quindi la nascita del cavallo mitico riunisce questi due aspetti, l’irruenza del mondo rappresentato da Poseidone, e la capacità di elevarsi da questo attraverso lo stare in equilibrio su due mondi, quello materiale e quello spirituale. Il cavallo che si libra in volo sancisce la volontà del mito di celebrare una riunificazione. Solo la nascita di un essere magico poteva collegare questi due aspetti: cavallo inteso come energia pulsionale e materiale; le ali, il simbolo di ciò che si libera dalla materialità per ergersi verso lo spirito, Pegaso è la mirabile fusione di questi due aspetti.

“Il mito sorge da una visione simbolica della realtà che scorge nel particolare, nel concreto, nel contingente i segni dell’universale, dell’ideale e del ricorrente.” (M. Veneziani, “La Nostalgia degli Dei”)

Il cavallo alato porta con se i segni di questo mondo universale che attraverso il magico opera un’azione concreta sulla realtà, spingendo le nostre menti a concepire l’unione degli opposti come modo per attraversare le prove a cui l’esistenza sottopone gli umani, una sottile ricerca di armonia tra forma interiore e forma visibile.

“Ogni corpo è fatto anche d’altri corpi, ogni sé ha una tessitura i cui fili sono i volti degli altri, ogni coscienza è lo spazio in cui risuonano, con le voci degli altri, le voci e le forme, del visibile” (A. Prete, “Il Cielo Nascosto”)


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