Perché ci adeguiamo a quello che dice la maggioranza

Solomon Asch, uno dei più importanti psicologi sociali del ‘900, durante i primi anni della seconda guerra mondiale si interrogò sugli effetti della propaganda nazista in Germania e in particolare sul perché la maggioranza dei cittadini tedeschi si adeguasse in modo acritico ai principi nazional-popolari proposti dal partito.

Seguendo queste riflessioni, negli anni ’50 Asch prepara un esperimento per valutare la pressione dei pari nel piccolo gruppo in un semplice compito di percezione. Si invitava un volontario a valutare la lunghezza di diverse linee, e ad individuare quale, tra le tre proposte, aveva la medesima lunghezza di una linea di riferimento. La differenza tra le tre linee era piuttosto marcata e facilmente riconoscibile ad occhio nudo.

Quello che il volontario non sapeva, era che era stato inserito in un gruppo di complici di Asch. Dopo due/tre prove in cui ognuno dava la risposta giusta, i complici avrebbero cominciato uno dopo l’altro ad indicare ad alta voce la medesima risposta sbagliata. Il volontario, seduto all’ultimo o al penultimo posto, avrebbe dovuto scegliere se dire la risposta giusta, oppure adeguarsi al gruppo.

I risultati furono scioccanti, almeno per me: il 75% dei partecipanti si è adeguato almeno una volta all’ideologia di gruppo pur sapendo che si trattava della risposta sbagliata, solo il 25% si fida dei propri sensi e da la risposta giusta e il 5% si adegua sempre.

Forse perché, come scrive Motterlini ("Trappole mentali"), 50.000 anni fa se eravamo nel Serengeti con i nostri amici cacciatori che all’improvviso scappavano era meglio fare come loro piuttosto che grattarci la testa sulla possibilità che l’animale davanti a noi avesse intenzioni cattive o meno. Chi non faceva cosi scompariva dal pool genetico, e qualche volta accade non solo nel Serengeti ma accade anche nelle aziende, sebbene non ci siano più animali feroci ....