Perché non si dice “fare il freelance”, ma “essere un freelance”
Dalla prefazione di Osvaldo Danzi a Mobile Working (Hoepli, disponibile dal 23 giugno)
“Essere freelance” è il modo giusto per indicare uno stile di vita, un modo di essere e di interpretare il proprio lavoro che a mio avviso matura solo al termine di un percorso che parte necessariamente da esperienze aziendali.
Poche delle persone che conosco sono freelance naturali , ovvero hanno scelto immediatamente, una volta reciso il cordone ombelicale che le lega a scuola e famiglia, di essere freelance. Di queste, nessuna di cui io abbia memoria ha avuto vero successo. Naturalmente non rientrano fra i freelance naturali chi si ritrova in posizioni al vertice nell’azienda di famiglia (quelli sono comunque imprenditori) né tantomeno gli innumerevoli “CEO di sé stessi” che tentano di nascondere dietro un job title onanistico e tanto in voga la frustrazione di non avere competenze tecniche e una storia di successo aziendale.
L’imprinting aziendale è fondamentale per chi vuole intraprendere la strada della libera professione: si tratta di un percorso obbligato che permette al vero freelance di assimilare una cultura “ambientale” e accumulare un’esperienza che lo metteranno alla pari – se non al di sopra – dei suoi futuri clienti. È fondamentale conoscere i ritmi, i riti, le dinamiche, le gerarchie, i processi che regolano un’azienda; è utile per il proprio posizionamento professionale oltre che per un aspetto di “riconoscibilità sociale” fra chi offre un servizio e chi lo acquista.
Come fa un professionista di qualsiasi materia a dare consigli e suggerimenti di strategia aziendale se non è mai stato in azienda? Non è un caso che un investitore della Silicon Valley oggi voglia sapere se l’imprenditore su cui sta scommettendo i suoi soldi ha fallito almeno due o tre volte.
Dall’esperienza nasce la vera conoscenza.
Aver lavorato in azienda è anche il vero motore dell’azione per chi decide di fare questo passaggio con gli strumenti giusti e con la dovuta convinzione. I freelance che approdano alla libera professione con la consapevolezza delle proprie capacità e della propria professionalità, riconosciute loro da capi e colleghi e da qualche anno di progetti con clienti, sono quelli che intraprenderanno il percorso in maniera strutturata, ed è questo cioè che distingue un professionista, un consulente aziendale, da un semplice fornitore esterno.
Improvvisazione e mancanza di una vera struttura sono all’ordine del giorno. Ne risentono i clienti che hanno deciso di affidarsi a questi fenomeni passeggeri sulla base del passaparola o per il successo di qualche post letto su Facebook. Ne risentono i consulenti esperti che si sentono dire: “Abbiamo terminato il budget perché lo abbiamo speso con un consulente, senza purtroppo ottenere risultati”.
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