PERCHÉ TAVECCHIO & CO. NON POTEVANO CHE DIMETTERSI
DA 7 A 9 MILIARDI: IL COSTO PER L’ITALIA CAUSATO DALL’USCITA DAL MONDIALE DI RUSSIA
LE MOTIVAZIONI ECONOMICHE E TECNICHE
L’eliminazione dai mondiali di Russia costerà sistema al Paese Italia nei prossimi due/tre anni almeno da 7 a 9 miliardi di Euro, vale a dire da 0,4 a 0,6 punti di PIL. Il dato si ricava non solo dai mancati introiti sportivi (almeno 100/200 milioni di Euro) ma sommando settore per settore tutte le negative ricadute economiche della disfatta, dai viaggi, ai commerci (magliette, tv, merchandising etc.) alle scommesse, al turismo verso il Paese, ma soprattutto alla minore appetibilità dell’Italia tenuto altresì conto di quanto avrebbe contribuito al PIL nella vittoria al mondiale (come nell’82 o nel 2006 +0,7 % e +4,1% dati, ovviamente da depurare).
Oltre a quelle economiche, ecco le motivazioni tecniche su cui riflettere per il futuro) perché di impatto economico.
Tre Premesse:
- Solo chi cade può risollevarsi ed era tempo che una fragorosa caduta calcistica fosse necessaria.
- Chi non si aspetta l’inaspettabile non lo raggiungerà mai (Erodoto, ma soprattutto citazione usata da Mario Soldati dopo Italia Argentina 2-1 del 1982): stavolta ci ha raggiunto un avverso inaspettabile ma con tanti segni premonitori.
- Il calcio è un gioco semplice con regole altrettanto semplici: più la testa è lontana dai piedi, più il gioco si complica; se la palla l’abbiamo noi saranno gli altri a dover correre; se saltiamo l’uomo creiamo spazio, e l’avversario deve rincorrerci; fenomeni esclusi (ma attualmente si tratta tre o quattro giocatori al mondo) ogni calciatore deve giocare nel proprio ruolo e i ruoli devono tener conto dell’avversario; solo giocando con chi è più bravo puoi imparare.
Da troppo tempo, in Italia ci siamo scordati di queste semplici premesse.
Per vent’anni abbiamo navigato rinunciando alle certezze del nostro calcio antico per avventurarci in un calcio nuovo, ma non nostro. Senza riuscire ad assimilarlo. Tecnica e tattica non sono valori superati, solo velocizzati, ma noi non siamo stati capaci di essere veloci. Prestanza fisica e continuità ossessiva di gioco non sono mai stati nostri atout.
Per imparare a giocare a calcio occorre prima di tutto tirare la palla contro il muro con un piede e stopparla con l’altro. Dobbiamo tornare a farlo fare ai ragazzini, incrementando la velocità. Saranno necessari dieci anni, ma i risultati arriveranno (lo faceva il grande Di Stefano dopo ogni partita). Insegniamo che un tiro forte può dare un goal, ma un tiro preciso lo dà con maggior sicurezza. Insegniamo che, in questo sport, le si prende e le si dà senza protestare, e nel darle occorre essere meno spettacolari ma più subdoli (il Paron insegnava “toccalo un pocheto, no coparlo, mona”).
La distanza tra testa e piedi è un dato di fatto. Non avrò mai le controprove, ma con i lungagnoni svedesi sarebbero bastati tre calciatori con una buona connessione piede/cervello, pur non fuoriclassie, come Insigne, El Sharaawy, Bernardeschi. Quelli capaci di fare i tunnel a chi ha una doppia distanza piede/cervello.
Per uscire dal pantano calcistico e da una, anche economicamente, pesante eliminazione mondiale sono sufficienti poche cose:
- genitori fuori dai piedi;
- dirigenti, sia a livello giovanile sia professionistico, onesti, ovvero nessun pagamento per giocare a livello giovanile;
- meno creste e tatuaggi, ma più cervello;
- il calcio è uno sport, non una carriera, ove emergere per qualità e non quantità (Gattuso era un giocatore di qualità straordinaria: in quel ruolo occorreva la sua quantità);
- tornare a tirare la palla contro il muro fin quando diventa un tutt’uno con piede e la testa;
- ritrovare giocatori che saltano l’avversario, che giocano in verticale senza aspettare di trovare un varco per linee orizzontali;
- ritornare all’assegnazione dei ruoli senza continuare a cambiarli;
- far giocare con continuità;
- ritornare alla centralità della tattica, qualunque possa essere, ed all’inventiva, perché in ogni ruolo il calcio è pura fantasia.
La fantasia, quel che è mancato a Solna e a Milano, nonostante l’iper-possesso palla, e che manca da vent’anni e più.
Per sintetizzare: se Candreva avesse avuto un ruolo di carriera più definito e se qualcuno gli avesse insegnato queste poche semplici regole, avrebbe piazzato un piattone secco nell’angolo basso, alla destra del portiere svedese, e non una mina cinque metri sopra la traversa. Magari il primo sarebbe uscito a fil di palo, suscitando un ohhh di rammarico sugli spalti, e non un boh di delusione come poi è stato.
Rivera in Italia Germania (4-3) docet e avremo un paio di decimi di punto di Pil in più.
E tutto questo costerà miliardi di Euro. Per guadagnare punti di PIL il calcio serve eccome, ma un calcio nuovo, quindi le ragioni tecniche hanno un effetto economico.
Caspita! Tornano gli editoriali di Gilberto, e non più sull'invim ;-)