Rispettare il proprio ruolo, riconoscere quello degli altri
Premessa: questo post vuole essere il primo di una serie di articoli dedicata al project management. L'idea prende forma dalla costatazione di come troppo spesso le risorse didattiche dedicate a questa area professionale siano incentrate sugli aspetti tecnici che la caratterizzano come ad esempio temi legati a pianificazione, budgeting e monitoraggio. Un simile approccio, sebbene possa sembrare esaustivo ad una prima occhiata, è in realtà altamente deficitario, in quanto lascia totalmente inesplorati temi importantissimi come la gestione delle relazioni, la costruzione dell'autorevolezza e la capacità di gestione degli imprevisti. Si tratta di elementi raramente trattati, forse perché considerati non fondamentali o forse perché si pensa che siano difficili se non impossibili da insegnare. Troppo spesso si crede che soft skills come la capacità di resistere allo stress o di instaurare rapporti di fiducia con i propri collaboratori siano talenti individuali che, nel caso manchino, siano impossibili da apprendere. Personalmente non credo sia vero e, se il PMBOK ha ragione nel sostenere che i best performer nel campo nel project management passano anche il 90% del loro tempo in attività che comportano un qualche tipo di comunicazione, allora è più che mai importante trovare modi per insegnare a coloro che vogliono chiamarsi project manager come fare a gestire certe situazioni. Perché compilare i GANNT è importante, ma diventa inutile se nessuno poi li legge o si fida della persona che li ha realizzati.
Questa serie naturalmente si basa sull'esperienza personale che ho raccolto nei miei anni di attività di project management su progetti di trasformazione aziendale prevalentemente in campo CRM e P&C. Sono quindi influenzati dalle situazioni che mi sono ritrovato a gestire, le quali generalmente riguardavano l'introduzione di pratiche innovative per l'ambiente impattato, con un alto numero di stakaholder coinvolti e poca esperienza pregressa da cui attingere. Coloro che hanno a che fare con progetti in aree altamente standardizzate, dove l'enfasi viene posta prevalentemente sugli aspetti di efficienza esecutiva e non sulla gestione della complessità, potrebbero quindi trovare questi post un po' meno utili. Spero comunque che tutti i lettori possano trovare la lettura interessante.
Rispettare il proprio ruolo, riconoscere quello degli altri
Nella sua attività, il PMO deve sempre essere consapevole di essere una figura di coordinamento e che, in quanto tale, deve cercare di esimersi quanto più possibile dall’entrare nel merito delle questioni, soprattutto quando non gli viene richiesto. Soprattutto nei progetti che comportano l'introduzione di modelli innovativi, e dove dunque è improbabile che il gruppo di lavoro possieda veri e propri esperti dei temi trattati, il project manager potrebbe essere allettato dall'idea di sostituirsi ad alcune persone che sembrano essere in difficoltà nello svolgimento loro compiti, magari imponendo decisioni, oppure portando avanti attività che non sarebbero di sua competenza. Potrebbe addirittura pensare che ciò sia un suo dovere, vista la sua posizione centrale nel gruppo di lavoro: se c'è un problema dovuto al fatto che qualcuno non sa fare il proprio mestiere la soluzione più facile è quella di scavalcarlo, no? Naturalmente si tratta di una tentazione a cui resistere.
Tentare di sostituirsi ad altre persone nel loro ruolo trasmette inevitabilmente un messaggio di de-qualifica nel loro confronti, con la conseguenza di farle sentire minacciate, oppure, in caso di individui insicuri, inutili alla squadra. Ad ogni modo, la conseguenza è sempre la stessa: il gruppo di lavoro perde il contributo di un componente, il quale smette di collaborare o di proposito (perché offeso) oppure suo malgrado, perché si vede sostituito e non ha la forza per opporsi all'atto. Ciò già di per sè è un danno arrecato al progetto ed anche se temporaneo (il più delle volte incidenti di questo tipo si possono risolvere in breve tempo, se non reiterati e non fatti con dolo) esso causa inefficienze e perdite di coesione.
Oltre che da un punto di vista relazionale, eventuali tentativi di sostituzione e scavalcamento da parte del PMO hanno anche conseguenze materiali. Il PMO infatti non può mai essere efficace in un campo quanto lo specialista assegnato ad esso, nemmeno nei casi in cui quest'ultimo sia altamente inefficiente a causa di uno scarso committment, incapacità di prendere decisioni o altro. Tentando di sostituire la persona realmente incaricata di espletare certi compiti, il PMO incorrerà inevitabilmente in errori che, oltre a rallentare il progetto, mineranno la sua immagine nei confronti del gruppo di lavoro.
Nella mia esperienza, il caso di gran lunga più frequente in cui molti PMO scavalcano i propri collaboratori, spesse volte senza nemmeno accorgersene, è durante le riunioni, quando si sentono in dovere di rispondere personalmente ad ogni domanda. Se una persona del dipartimento marketing chiede un chiarimento su di una caratteristica tecnica del nuovo sistema di CRM, è compito del gruppo IT rispondere, non del project manager. Quest’ultimo avrà sicuramente già sentito la risposta molteplici volte, ma il fatto che lui sia in possesso dell’informazione richiesta non significa che sia la persona che deve riferirla. Lasciare che sia il responsabile di ciascuna area a fornire direttamente le informazioni di propria competenza è fondamentale, sia per evitare di far sentire le persone private del loro ruolo nel gruppo, sia per evitare di trasmettere notizie sbagliate di cui poi si sarebbe responsabili. E' evidente come un singolo episodio isolato di questo genere non comporti problemi reali ed al massimo possa causare un leggero fastidio nella persona colpita. Se tuttavia esso diventa un modus operandi standard, applicato dal PMO in maniera costante e reiterata, presto o tardi causerà uno scollamento difficilmente sanabile.
Un importante corollario del principio appena discusso è il fatto che il PMO deve essere in grado di modificare il proprio metodo di lavoro per venire incontro alla distribuzione dei compiti propria di ciascuna realtà con cui si rapporta. Per fare un esempio banale: ogni progetto deve possedere una pianificazione, ma l’importante è che questa pianificazione esista, non chi la deve scrivere. Certo, la teoria indica che sarebbe compito del PMO compilare il famoso GANNT progettuale, calcolare il percorso critico ed identificare i rischi, tuttavia vi possono essere situazioni in cui altri stakeholder coinvolti siano abituati a lavorare in maniera molto strutturata e vogliano scrivere la pianificazione in prima persona. In questi casi, anziché perdere tempo a discutere quale sia la distribuzione ottimale delle responsabilità, il PMO deve dimostrarsi flessibile e adattarsi ai metodi di lavoro consolidati, limitandosi a farsi consegnare la documentazione e ad evidenziare criticità o mancanze nel caso ce ne siano. Vi sono casi in cui i committenti di un progetto mantengono un file di pianificazione interna mentre gli specialisti incaricati della realizzazione delle attività ne mantengono un secondo in parallelo: ciò spesso succede in quanto i due documenti devono rispondere ad esigenze in parte diverse e quindi contengono informazioni altrettanto diverse. In questi casi il compito del PMO è tenere monitorati entrambi i documenti, facendo in modo che non vi siano discrepanze o conflitti. Nel caso in cui la complessità di gestione cominciasse a diventare eccessiva e rischiasse di generare incomprensioni o inefficienze, egli dovrebbe agire per unificare il flusso di pianificazione, ma in questo caso la necessità di un intervento terzo sarebbe chiara a chiunque e dunque nessuno si sentirebbe scavalcato, anzi, il valore aggiunto dato dal project manager sarebbe immediatamente evidente ed apprezzato da tutti.
Naturalmente i ragionamenti fatti finora valgono in entrambe le direzioni: se dunque il PMO in alcune situazioni deve saper essere flessibile in modo da non far sentire scavalcati i propri stakeholder, in altri deve saper bloccare coloro che tentano di accentrare su di sé compiti che non gli competono. Un esempio tipico è il fatto che, soprattutto in progetti lunghi e complessi, il livello di interesse degli stakeholder normalmente non è costante, ma tende ad avere picchi in alcuni momenti chiave come ad esempio la chiusura dei requisiti ed il lancio definitivo. Durante questi momenti alcuni gruppi, soprattutto quelli lato committenza, tendono a voler avere un ruolo molto più attivo, accentrando su di sé compiti che in altri momenti non avrebbero problemi a delegare e che spesso ricadono pienamente nell’ambito della funzione di project management. Il PMO deve comprendere questi cambiamenti nel livello di attenzione e saperli gestire, evitando da una parte di estromettere le persone nell’esatto momento in cui esse sono disposte a dare il massimo contributo, ma dall’altra rimanendo fermo ed evitando che interventi estemporanei al di fuori delle proprie aree di competenza generino problemi come ad esempio cambi repentini in requisiti precedentemente approvati, veti a procedere causati da ansie di vario genere, revisioni non giustificate delle scadenze eccetera. Il rispetto dei ruoli è insomma qualcosa che deve esistere in entrambe le direzioni ed il project manager non deve aver paura di farlo notare quando è necessario. Se ha fatto bene il suo lavoro tuttavia, rispettando le prerogative degli altri quando era il momento, egli non avrà problemi a ricevere il riconoscimento inverso e ciò aumenterà la sua autorevolezza nei confronti di tutti.
Career Mentor, Food Marketing Professional, Placement, Employer Branding, Senior Training Manager
6 anniInteressante ed utile!