Piracy Shield: uno scudo che è più un boomerang
La nostra formazione su tecnologia e migrazione al festival Sabir, il nuovo progetto di ban contro X e un’interessante inchiesta del Washington Post sul problema dei falsi positivi nel FR
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Cominciamo il nuovo numero con una delle notizie più interessanti delle ultime settimane.
Parliamo di Piracy Shield, una piattaforma lanciata dall'Autorità per le Comunicazioni italiana (AGCOM) e istituita con legge 93 del 24 luglio 2023 che mira a combattere la pirateria online bloccando l'accesso a siti web e indirizzi IP che trasmettono illegalmente contenuti protetti da copyright.
Sebbene l'iniziativa sia intesa a proteggere i diritti dei creatori e dei distributori di contenuti, Piracy Shield ha scatenato un dibattito significativo, sollevando preoccupazioni sulla sua efficacia e sul potenziale impatto sulla libertà di Internet.
Piracy Shield funziona identificando i siti Web e gli indirizzi IP coinvolti nello streaming illegale. Una volta identificate, queste fonti vengono bloccate, impedendo agli utenti di accedervi. Ciò si ottiene tramite una combinazione di misure tecniche, come il blocco DNS e il blocco IP.
I danni collaterali però, si contano a decine. Una delle principali critiche è che il sistema può bloccare inavvertitamente siti web o indirizzi IP legittimi, esattamente come è successo sabato 19 ottobre: la vittima è stata Google Drive, per sei ore tenuta in ostaggio e poi rilasciata “libera” di essere raggiunta dai tantissimi utenti che usano il servizio di Google.
Come raccontano Luca Zorloni e Raffaele Angius su Wired Italia , “è un problema connaturato alla progettazione della piattaforma stessa, curata da Sp tech (braccio tecnologico dello Studio legale Previti), che non tiene conto del fatto che oggi, su uno stesso dominio, insistono varie risorse online. È come se, per fermare un reato che si svolge in un appartamento, Piracy Shield radesse al suolo un intero quartiere”.
E dopo 24 ore dall’accaduto, né Agcom né Google avevano commentato. Oltre al caso eclatante, Piracy Shield potrebbe non essere efficace nel dissuadere la pirateria poiché non appena un sito Web o un indirizzo IP viene bloccato, gli attaccanti possono semplicemente passare a un altro.
Questo gioco del gatto e del topo è tendenzialmente difficile da vincere. Senza considerare l’impatto sulla libertà di Internet: Piracy Shield potrebbe essere utilizzato per censurare contenuti o limitare l'accesso alle informazioni. Una preoccupazione non da poco sul potenziale abuso e sull'impatto che avrebbe sulla libertà di espressione.
Meta ha un problema con la Palestina (anche se non era una novità)
Se utilizzi Facebook o Instagram, probabilmente avrai percepito quello che in termini tecnici è chiamato shadow banning (la pratica di bloccare o bloccare parzialmente - anche attraverso un algoritmo - un utente o i contenuti dell'utente da alcune aree di una comunità online, in modo tale che il divieto non sia immediatamente evidente all’utente).
Dena Takruri, giornalista di Al-Jazeera, ha pubblicato un’inchiesta su una censura che è praticata da Meta invece all’interno dell’azienda stessa. Insomma, un “blocco” che agirebbe ben prima di un possibile shadow banning.
Dopo aver parlato con alcuni dipendenti della società madre di Instagram e Facebook che avevano provato a parlare del problema, Takruri ha raccontato di un luogo di lavoro in cui la censura, l’intimidazione e la paura sono gli attori principali.
Alcuni dicono di essere stati messi a tacere o addirittura licenziati per aver chiesto un miglioramento delle condizioni di lavoro. La giornalista ha indagato anche sui profondi legami dei leader di Meta con Israele, collegamento che potrebbe spiegare perché l’azienda sta sopprimendo e censurando i contenuti sul genocidio attualmente in corso in Palestina nei confronti di miliardi di utenti in tutto il mondo.
La Polizia USA non condivide i dati sui falsi positivi del riconoscimento facciale
Un’inchiesta esclusiva del Washington Post pubblicata all’inizio di ottobre è particolarmente interessante per il nostro lavoro.
I sistemi di riconoscimento facciale hanno una percentuale di accuratezza che cambia in base al soggetto coinvolto nella ricerca (per esempio, in alcuni sistemi è stato provato che l’accuratezza è minore quando non si tratta di una persona bianca). Quando erroneamente riconosce qualcuno che non è la persona che si sta cercando, si parla di falsi positivi.
L’inchiesta parla proprio di questo tema, facendo emergere come molti imputati di processi giudiziari negli Stati Uniti non fossero a conoscenza del ruolo della tecnologia nel collegarli ai reati. I dipartimenti di polizia di 15 Stati hanno fornito al giornale registrazioni piuttosto rare che documentano il loro utilizzo del riconoscimento facciale in più di 1.000 indagini penali negli ultimi quattro anni.
Secondo i verbali di arresto in quei casi e le interviste con le persone arrestate, le autorità hanno regolarmente omesso di informare gli imputati sull’utilizzo del software, negando loro l'opportunità di contestare i risultati di una tecnologia emergente che è soggetta a errori.
Nel momento in cui gli imputati non sanno se sono stati identificati grazie a un sistema di riconoscimento facciale, è complesso dunque anche sapere qual è il tasso di falsi positivi nel tempo.
Sul versante italiano, comunque, le notizie non sono migliori.
Solo alcuni mesi fa abbiamo saputo quante ricerche ha fatto la polizia attraverso il sistema SARI. Temiamo che anche da noi il processo per una piena trasparenza di questi sistemi, e dei possibili errori che commettono, sarà ancora lungo e tortuoso.
È comparsa una nuova campagna contro X
“Gli europei devono unirsi contro l'influenza di Elon Musk. Se sei in Unione Europea o sei un sostenitore dei suoi valori, ti invitiamo a firmare questa petizione per vietare la piattaforma X!”
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Queste le prime righe che compaiono sul sito Ban X in EU, comparso alcune settimane fa online.
Sulla pagina si legge una richiesta di vietare la piattaforma X di Elon Musk nel vecchio continente, al fine di limitare l’influenza del miliardario statunitense sulla politica europea ma anche per frenare la disinformazione e i discorsi di odio che la piattaforma ospita da quando è passata di proprietà.
La campagna ha attivato anche una petizione attiva su Change.org, che potete firmare senza che il nome e i vostri dati personali siano pubblicati senza il vostro consenso altrove.
“Smetti di usarla (X, ndr) e prendi in considerazione di passare ad alternative più sicure e migliori come Mastodon: unisciti a noi qui” è poi il claim che cerca di dirottare più utenti possibili sulla piattaforma dal basso Mastodon.
Siamo stati al Festival Sabir a Roma con la nostra formazione su tecnologia e migranti
A ottobre è tempo di Festival Sabir, che quest’anno si è tenuto a Roma e come tutti gli anni ha messo al centro del proprio programma di tre giorni una serie di argomenti all’intersezione con il fenomeno delle migrazioni.
Le nostre Laura Carrer e Antonella Napolitano sono state invitate per una formazione che riguardava i temi del riconoscimento facciale, delle banche dati europee e della loro interoperabilità, della mancanza di trasparenza sulla raccolta e l’utilizzo dei dati biometrici dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Siamo molto contenti perché il corso è stato seguito da circa cento persone, tra cui numerosi operatori sociali, avvocati/e, personale amministrativo ma anche ricercatori e studenti.
Siamo partiti da alcune parole chiave come riconoscimento facciale, privacy, sorveglianza e falsi positivi per poi arrivare a parlare di interoperabilità europea delle banche dati e di dati biometrici dei migranti.
Prevediamo di realizzare altre formazioni sul tema, e stiamo cercando associazioni con le quali collaborare per organizzarle. I territori che prediligiamo per questo lavoro sono quelli di confine, perché ci permettono di essere sul campo e di venire a contatto con chi lavora o vede da vicino le persone migranti.
Se conosci associazioni o realtà che potrebbero ospitarci per una formazione sul territorio di Palermo, al confine con la Slovenia o a Ventimiglia, siamo tutte orecchi.
A ottobre si è tenuto anche il convegno "E-privacy XXXV winter edition", organizzato da noi di Hermes e da Progetto Winston Smith e svoltosi il 30 e 31 ottobre 2024 a Brescia. Il tema che guidava l'ultima edizione era “Privacy: tante norme, poca protezione. Quali reali tutele è in grado di offrire l’Europa, a fronte di tecnologie sempre più invasive, più sofisticate e più veloci nella loro diffusione? Sono sufficienti norme come il GDPR o l’AI act per frenare i sistemi che saranno disponibili fra due anni quando questo Regolamento troverà piena applicazione?".
La nostra Alessandra Bormioli ha tenuto un panel mercoledì 30 ottobre alle 15, in cui ha portato alcune suggestioni circa una regolamentazione adeguata per bilanciare innovazione e tutela dei diritti umani, promuovendo un futuro digitale rispettoso della privacy individuale. Per consultare il programma dell'evento, il link è questo.
Tracciamenti, videoinchiesta finalista al Premio Morrione
Tra le inchieste che hanno concorso all’ultima edizione del Premio Morrione per il giornalismo investigativo, vi segnaliamo anche l’inchiesta “Tracciamenti” di Edoardo Anziano, Francesca Cicculli e Roberta Lancellotti.
Il tema è quello della salute mentale venduta online attraverso piattaforme, nate negli ultimi anni e che sembrano essere una soluzione per la condizione di molti e molte. Come raccontato nell’inchiesta dal nostro Claudio Agosti però, ci sono molti pericoli nell’affidare a piattaforme private i nostri dati e le nostre condizioni di salute mentale.
Nell’attesa che l’inchiesta diventi disponibile online vi lasciamo un trailer da vedere qui.
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