A Porta Romana le prime montagne russe di Milano e, probabilmente, d'Italia
Milano è stata per me, dal 1800 al 1821, il solo luogo dove abbia sempre desiderato stare.
Così un giovane Stendhal (Henry Beyle), reduce dalle campagne napoleoniche in Russia, ricordava la sua amata Milano. Molti autori, contemporanei e non al nostro Henry, elogiarono e descrissero la vita allegra e spensierata di quel periodo, fatta di caffè letterari, avvenenti signorine, balli, divertimenti e passeggiate in carrozza. Certamente altri, in netta controtendenza, descrissero una Milano agli antipodi, con delinquenza in ogni dove, condizioni igienico sanitarie ignominiose, analfabetismo diffuso e indigenza conclamata.
Oggi come allora, nulla è cambiato. Tutto sta solo da che parte della barricata si nasce e dall'oggettività degli autori contemporanei: troppo comodo descrivere unicamente una città edulcorata dal belvedere del proprio privilegiato status e decisamente limitato mostrare una Milano solo nell'ombra.
Ma gli scrittori sono sempre serviti a questo: a fornirci quel pezzetto di realtà che ci sfugge o non consideriamo. Senza alcun dubbio Stendhal se la godette alquanto qui da noi, tanto da far scrivere sulla propria tomba Milanese. Ad ogni modo, assieme a quel singolare francese, tornarono dall'inferno russo anche alcuni nostri fortunati concittadini e tra loro, un signore di nome Giuseppe Garavaglia che ebbe la geniale idea di importare da quelle lande desolate un particolare divertimento tutt’oggi ancora molto in voga.
Ma facciamo un passo indietro. Sulla sinistra dell’Arco di Porta Romana, con il centro città di fronte a noi, nella seconda metà del ‘700 era venuta a formarsi una cava. L’area diventò presto paludosa, insalubre e infestata dalla malaria. Tra il 1795 e il 1797, per cercare di tapparla, i milanesi cominciarono a trasportarvi detriti e laterizi dai vari cantieri cittadini e, con tutte le probabilità, anche rifiuti e ciarpame di ogni sorta. Nell'arco di breve si venne a formare una collinetta artificiale denominata dai nostri concittadini dell’epoca Monte Tabor, in riferimento all'omonima collina della Galilea dove avvenne la trasfigurazione di Gesù.
Intorno a questo monte fiorirono nell'Ottocento numerose osterie, una delle quali balzò agli onori della cronaca per una novità assai spassosa. Sebbene alcuni sostengano che l’osteria del Monte Tabor venne inaugurata nel 1818, è quasi certo che esistesse già in precedenza ma divenne assai celebre per merito del nuovo gestore, Giuseppe Garavaglia. (Foto 1,2)
Foto 1-Mappa catastale del periodo con l'altura del Monte Tabor e, cerchiata, l'osteria del Garavaglia
Foto 2 Il proprietario Giuseppe Garavaglia in riferimento al numero catastale dell'edificio in Foto 1.
Come accennato in precedenza, quest’ultimo aveva avuto modo di ammirare in Russia un intrattenimento che lo colpì profondamente e, una volta acquisita la licenza dell’osteria, cominciò a pavimentare parte della collina con assi di legno inserendovi dei piccoli binari. Fece costruire dei carrelli a ruote metalliche per farceli viaggiare sopra e in men che non si dica, dopo Parigi, anche Milano ebbe le sue prime montagne russe. Se si considera che la ferrovia russa venne presentata in Italia la prima volta nel 1888 a Bologna durante l’Esposizione Emiliana(Foto 3)
Foto 3-Le montagne russe all'Esposizione di Bologna
e ufficializzata Genova nel 1892 con l’esposizione Italo americana, allora Milano fu in anticipo sui tempi di almeno settant'anni. Certo la nostra era assai primitiva ed essenziale ma nulla del genere era stato visto fino a quel momento.
Di notizie riguardanti questo monte\giostra ce ne sono giunte in abbondanza grazie a scrittori e poeti del periodo come il Canonico Luigi Mantovani (Diario politico ecclesiastico), Giuseppe Rovani (Cent’anni) e Il nostro inarrivabile Carlo Porta (On Funeral-El Miserere).
“In seguet fan el nomm “In seguito fanno il nome
A paricc ostarij Di parecchie osterie
In dove gh’è vin bon, ost galantomm, Dove c’è vino buono, oste galantuomo,
e mejor compagnij. e migliori compagnie.
Vun loda l’ostaria de la Nos, Uno loda l’osteria della Noce,
l’olter el Monte – Tabor, l’altro il Monte Tabor,
e poeù tracc a dò vos e poi tracch a due voci:
Domine…asperges me… Signore…mi aspergerai...
Anche autori successivi come Otto Cima, Alberto Lorenzi e Alex Visconti non poterono esimersi dal narrare storie e vicende legate a quel luogo; esso viene addirittura citato nell'ottocentesco dizionario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini
Insomma, il Monte Tabor meneghino era addirittura più celebre del suo mistico omonimo in Terrasanta.
Quando le montagne russe vennero aperte il prezzo del biglietto era di 25 centesimi ma col trascorrere degli anni aumentò fino a 70. La pista era lunga circa 150 passi e in sette minuti si riuscivano ad effettuare fino a 32 discese tanto che il Garavaglia giunse a guadagnare più di 1000 Lire austriache al giorno: una cifra iperbolica per quell'epoca se consideriamo che negli spericolati carrellini poteva accomodarsi un solo cliente alla volta. Ma dato che il gestore consentiva tranquillamente che si scendesse anche in due tenendo in braccio un’altra persona, dopo svariati feriti e contusi, le autorità intervennero ponendo il divieto.
La consueta fila di carrozze che intasava Via Marina e i vicini Bastioni si spostò presto in Corso di Porta Romana creando ingorghi clamorosi: dall'alba fino alla mezzanotte centinaia di milanesi si recavano incessantemente in quello spensierato luogo di divertimento, suscitando lo sdegno dei più anziani o dei prelati…Sì, perché quello svolazzare di gonnelle era uno spettacolo irresistibile per i maschietti dell’epoca che attendevano solo di poter ammirare una caviglia senza veli. Come sono cambiati i tempi!
Rimanendo in tema di beltà private del pudor nel 1825 un episodio del Monte Tabor rimasto celebre, riguardò l’Arciduchessa e Viceregina d'Austria Maria Elisabetta di Savoia-Carignano nonché sorella di Carlo Alberto. Recatasi presso le montagne russe in compagnia altri cinque vicereali tra cui l’Arciduca Ranieri attese il proprio turno per poter scendere. La folla presente cominciò a sghignazzare, strepitare e applaudire ad ogni reale capitombolo ma quando toccò alla bellissima Maria Elisabetta e nella discesa le si alzarono le sottane, mettendo in bella vista un paio di gambe ben tornite, il fragore fu epocale: se ne parlò per settimane.
Disordini, schiamazzi e contusi erano ormai la regola attorno al Monte Tabor: fortuna che l’ospedale della Ca’ Granda non era lontano. Già nel 1820 la polizia revocò la licenza al Garavaglia, ormai ricco ben oltre le sue più rosee aspettative, chiudendo osteria e montagne russe. Le attività furono rilevate da Valentino Nicolassi che mise in sicurezza la discesa, rese gratuita la corsa ai clienti dell’osteria, anch'essa ristrutturata, e allietò il tutto con concerti, spettacoli e balli. Ma di lì a poco, nella primavera del 1821, il Monte Tabor fu teatro del piano più ardito della Compagnia della Teppa passato alla storia come Il Ratto dei Nani: uno scandalo che coinvolse molte signorine altolocate compresa la Signora Franchi Traversi, moglie di un famoso avvocato e amica intima del Viceré. (Per approfondire sul sito Viveremilano.info oppure sempre su questo profilo, La compagnia della Teppa-Storia e vicende che portarono lo scompiglio nella Milano dell’Ottocento).
Dal 1823 la proprietà passò al Signor Carlo Conti rimanendo poi in mano ai suoi figli fino al 1866. Le prime montagne russe di Milano, dopo svariate chiusure, videro la propria definitiva fine sotto questa gestione ma la trattoria resistette fino a fine secolo e l’ultimo proprietario fu Luigi Panighi. Dopo alcuni anni di oblio l’area fu messa a disposizione della gloriosa società di ginnastica Forza e Coraggio(Foto 4).
Foto 4: sottolineato in rosso Il Monte Tabor come sede della Forza e Coraggio
Nel 1907, spianata l'area, venne edificata una bella palazzina in stile liberty adibita a stazione funebre (Stazione Funebre di Porta Romana-Foto 5)
Foto 5-La Stazione Funebre di Porta Romana appena terminata
dal quale partiva un sinistro tram diretto ai cimiteri che i milanesi ribattezzarono ironicamente La Gioconda. Come potete notare il fabbricato è rimasto invariato fino ai nostri giorni. In seguito esso ospitò un teatro, poi una locale discoteca (il Ragno d’oro) e infine le Termemilano.
L’area del Monte Tabor, come tante in città, è emblematica perché rispecchia appieno l'anima della nostra Milano: un passato variegato, eterogeneo e difficile da scorgere ma sempre presente.
Riccardo Rossetti-Viveremilano