Povere, discriminate e sfruttate: la condizione lavorativa delle donne
Le donne lavorano meno, in condizioni precarie e poco sicure, e sono pagate poco. Faticano a far carriera e a ricoprire ruoli decisionali. Dignità umana, libertà e autonomia passano anche dall’indipendenza economica. Per lavorare è fondamentale potersi emancipare dall’attività di cura e per farlo è necessario anche poter contare sul servizio pubblico, sulle infrastrutture e sulle politiche di protezione sociale. Avere stabilità finanziaria è vitale anche per la sicurezza.
Il part time
In Italia meno di una donna su due lavora e, secondo il documento dell’INAPP “Gender Policies Report 2022”, il part time si conferma la forma di ingresso al lavoro specificatamente femminile.
E la causa è la stessa che tiene molte donne fuori dal mercato del lavoro: il lavoro non retribuito di cura. Il report annuale di Save the Children “Le equilibriste” evidenzia come il tasso di occupazione femminile diminuisce all’aumentare dellə figliə, contrariamente a quello dei padri, che cresce se la famiglia si allarga. Questo divario si ripercuote anche su quello retributivo.
L'istruzione non ripaga
Il rendimento del titolo di studio rispetto all’occupazione per le donne non è lo stesso degli uomini. Più il titolo di studio è elevato, maggiore è il divario. E secondo i dati ISTAT per le donne straniere la situazione peggiora, fino a ridurre a un terzo le possibilità rispetto alle laureate italiane. Questo perché sono pochi i titoli di studio riconosciuti in Italia e raramente vale la pena di intraprendere un iter burocratico lungo e costoso: l’inserimento delle persone straniere nel mercato del lavoro il più delle volte non passa per il titolo di studio conseguito, si affida a reti di appartenenza e riguarda nicchie occupazionali specifiche.
Precariato e razzismo
Spesso le donne sono impiegate con contratti precari, in settori non strategici e maggiormente a rischio recessione: il tasso di occupazione femminile diminuisce dove la rete delle infrastrutture sociali è più fragile. Per molte soggettività, inoltre, entrare nel mercato del lavoro significa esporsi a ulteriori discriminazioni e violenze. Le donne razzializzate sono maggiormente e più spesso sottoqualificate rispetto alle donne bianche e sono esposte ad un rischio più alto di sfruttamento e maltrattamenti. Inoltre, l’appartenenza religiosa, quando visibile, aumenta le probabilità di essere discriminate. Il razzismo strutturale che pervade ogni ambito della società, compreso quello del lavoro, è ancora oggi, soprattutto in Italia, non preso in considerazione: basti pensare che non vengono raccolti sistematicamente dati nell’Unione Europea. Questo significa che è impossibile comprendere la condizione delle donne nere nel mercato del lavoro e disporre di un’analisi affidabile sull’occupazione femminile.
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Il gender pay gap
Il divario retributivo tra uomini e donne è un problema ovunque e ad ogni età - riguarda anche chi è in pensione - ed è un punto centrale del dibattito sulla parità di genere. Ma di cosa parliamo quando parliamo di gender pay gap? Come si calcola? Qui il primo problema: quando calcolato solo sulla retribuzione lorda - che a seconda del paese può essere su base oraria, mensile o annuale, restituendo risultati molto diversi tra loro - è definito “non rettificato” perché non prende in considerazione i fattori che influenzano il divario, come l’accesso all’istruzione, il tipo di occupazione svolta, il numero di ore lavorative. Secondo questo calcolo, per l’Italia, la media si attesta intorno al 16,5%. Come sottolinea il rapporto INAPP 2022, questo dato sottostima l’entità del divario e rischia di non fornire un quadro esaustivo del fenomeno.
Per avere una misura più corrispondente al reale, Eurostat ha sviluppato un altro indicatore che tiene conto dell’impatto di tre fattori combinati: la paga media oraria, ore medie retribuite, anche in base al lavoro part-time, e il tasso di occupazione. Secondo questo indicatore denominato Gender Overall Earnings Gap, in Italia la percentuale del divario sale al 43% mentre per l’Unione europea è 36,2%. (Eurostat 2018)
Il Gender Policies Report mette tuttavia ulteriormente in guardia: anche in questo caso il rischio di sottostimare la reale portata del divario è concreta. Perché non si prendono in considerazione le discriminazioni multiple e sovrapposte legate, oltre al genere, all'età, alla condizione di disabilità, al colore della pelle, all’origine etnica, alla religione, all’identità di genere e all’orientamento sessuale.
L'indipendenza finanziaria e la violenza
La vulnerabilità economica espone le donne alla violenza: D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, nel suo report 2021 sul monitoraggio delle donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza, rileva che una donna su tre è a reddito zero e solo il 37% può contare su un impiego sicuro. I dati ci dicono anche che gli autori della violenza sono quasi sempre dentro le mura di casa e non essere indipendenti economicamente rende difficile e spesso impossibile allontanarsene. Disporre di denaro e poterlo gestire è uno strumento di potere. Troppo spesso uno strumento di potere, coercizione e controllo per uomini violenti e ancora troppo poco uno strumento di emancipazione per le donne.
Il problema dei dati
Un altro aspetto fondamentale che segnala l’INAPP è la mancanza di dati. E, nello specifico, mancano i dati che diano un quadro completo ed esaustivo delle diverse condizioni che persone diverse si trovano ad affrontare in maniera diversa e specifica. Se mancano i dati come sarà possibile adottare una prospettiva di genere tenendo conto di tutte le soggettività in gioco? Come sarà possibile individuare come e dove intervenire?
Tutte le donne subiscono discriminazioni, ma parlare di donne non significa riferirsi ad una categoria omogenea. Una donna nera è più oppressa - e anche da dinamiche diverse - rispetto a una donna bianca, inequivocabilmente. Ci sono corpi che sono più esposti di altri a discriminazioni, emarginazione e violenza. Molto più esposti. Tralasciare questo aspetto significa perdersi dei pezzi significativi del discorso, impedisce di avere un quadro reale del problema e, di conseguenza, non consente di prendere misure adeguate. Il privilegio passa anche da qui.