Priorità nell'emergenza

Priorità nell'emergenza

Il Recovery Fund schiude molte possibilità di natura diversa al nostro Paese. Si tratta di un debito così grande come non ne abbiamo mai avuto, il che implica responsabilità enormi d'indirizzo, di gestione e di controllo.

           E' una grande occasione per tutti: per l'Unione europea, che così dimostra di non essere solo una sigla da difendere talvolta in modo imbarazzato, per l'Italia, che con una consistente liquidità potrebbe avviare quella stagione di riforme di cui tutti parlano e che non si attua mai, per il malaffare, pronto a mettere le mani su un malloppo mai visto. Quest'ultimo aspetto è quello più importante anche perché, in Italia, se ne parla meno di quanto non si faccia all'estero. Alle accuse dei Paesi rigoristi (v. Olanda) di faciloneria, d'incompetenza e di ritardi ingiustificabili, si aggiunge quella di essere una comoda cinghia di trasmissione di denaro pubblico alle multinazionali del crimine che, vedi caso, hanno la loro origine proprio in Italia.

           Non è un mistero per alcuno che, ormai, grazie a un sistema giudiziario elefantiaco, buonista e, nella sostanza, impotente, una buona metà dell'economia nazionale è, direttamente o indirettamente, nelle mani della 'ndrangheta, in virtù di molte antiche complicità, più o meno palesi, con il sistema politico. Soprattutto nel Mezzogiorno, la principale vittima della mafia, il sistema politico e amministrativo è ostaggio di una violenza mafiosa che si esercita in molti modi diversi, coercitivi e violenti, non solo con l'assassinio. Le improvvise fortune elettorali nel Meridione di questo o di quel partito sanno di bruciato. A tutti è noto ma si fa finta di nulla.

           Quando l'Unione europea mette al primo posto delle necessarie priorità italiane il Mezzogiorno, identifica il ventre molle dell'incapacità nazionale di porre fine al cancro della criminalità organizzata. E un po' un paradosso che dopo decenni di centinaia di miliardi buttati al vento e di proposizioni altisonanti di meridionalismo di maniera, di tutto si parli, in questi giorni, nel Paese, tranne che di Mezzogiorno, e che solo la Comunità punti il dito su questa piaga dolente. Chi ha lavorato o lavora nel sud conosce a menadito l'impotenza dei funzionari e dei servizi dello Stato. Lo Stato non c'è, impastoiato da regole formali e da limiti spesso oscuri, pilotati da pressioni esterne. L'unico vero potere esistente è quello dell'antistato, che opera dovunque e la cui “giustizia” colpisce subito e in modo inesorabile. In cambio, distribuisce lavoro e quattrini. In queste condizioni, ha una forza irresistibile. Lo Stato, quello vero, è impotente e le imprese, se possono, evitano di andare nel Meridione, dove sarebbero costrette a praticare prezzi più elevati o a a ridurre i profitti per pagare il pizzo alla mafia. Lo sanno tutti, ma si fa finta di nulla. E così prospera la malavita e muore il Meridione e con esso il Paese.

           Mafia, camorra e 'ndrangheta, con strutture diverse, sono entità criminali nei cui confronti non possono sussistere compiacenze di alcun tipo. Sono un nemico mortale per l'economia italiana, l'antistato per definizione. Quando si parla di guerra alla mafia e si esalta il sacrificio di alcuni caduti, in realtà, si fanno solo dei proclami cui non seguono comportamenti coerenti ed efficaci. Troppe collusioni fra politici e criminali ci sono state in passato per dubitare che non ce ne siano ancora oggi.

           Questo inusitato flusso di denaro che dovrebbe arrivare dall'Unione europea è una grande occasione, forse, per rimettere in piedi il Paese ma è anche una straordinaria opportunità di lucro per la mafia. Prima ancora di parlare di chi e di come si dovrà gestire questo denaro, occorre preoccuparsi di chi pensa già di lucrarci sopra tra appalti, sub appalti e sotto appaltini, corruzione e ricatti, e magari qualche omicidio ammonitorio, secondo un vecchio e noto sistema ben collaudato. Se poi questo non funziona, c'è sempre la motocicletta di turno che entra all'impazzata in cantiere e ammazza il capomastro o chi di dovere, oppure una macchina bruciata al sindaco o all'assessore onesto, come avvertimento, oppure, ancora, esplodono autocarri e mezzi per il movimento di terra. Per tutta risposta, il magistrato apre un'inchiesta. Non è una reazione sufficiente. I motociclisti scompaiono nel nulla, le bombe e le minacce sono anonime, ma anche se ben noti sono i mandanti, in uno Stato di diritto occorrono prove per condannare qualcuno. Se non ci sono, anche con la certezza morale di chi sono i mandanti, non si può fare nulla.

           La questione è se lo Stato di diritto, in realtà, è in guerra contro la mafia o no. Io credo che dovrebbe essere in guerra e che altre regole siano necessarie. Loro sparano e noi sventoliamo i codici. Loro uccidono e noi, al massimo, li mettiamo in galera. Mi pare un po' poco, un rapporto molto squilibrato. In questo modo, quando parliamo di guerra alla mafia, che guerra è? Praticamente, è una resa incondizionata.

           Con il Recovery Fund il campo di battaglia si amplia a dismisura. Sono in gioco centinaia di miliardi. Un piatto appetibile. C'è chi sogna un nuovo Rinascimento italiano ma c'è anche chi pensa a come dirottare questi soldi nelle proprie tasche. Lasciamo il Rinascimento ai sognatori ma preoccupiamoci della realtà, che è molto più squallida. Occorre rafforzare i sistemi di sicurezza e di controllo, semplificare le procedure e ridurre le discrezionalità, essere presenti, realmente ed efficacemente, nelle regioni meridionali. Non occorrono leggi speciali che ci riportano al giudizio civile e penale normale, ma leggi di guerra.

           Questa dovrebbe essere la nostra prima priorità nell'approccio ai temi della ristrutturazione. Siamo portatori sani di un male mortale. Vaccinarsi è un obbligo, non una possibilità.

Roma, 27/07/2020

Prof. Stelio W. Venceslai


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