QUALE COMUNICAZIONE?
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QUALE COMUNICAZIONE?

Se è vero, come è verissimo, che comunicare vuol dire relazionarsi, risulta allora difficile accettare un fatto: sempre meno persone riescono a farlo. Molti individui riversano su chi li ascolta fiumi di parole, frasi e discorsi più o meno opportuni ed interessanti. Ma sanno anche relazionarsi? Comunicare, infatti, non vuol dire buttare fuori tutto quanto passa per la testa. Ciò che diciamo rivela davvero qualcosa di noi o si tratta un puro esercizio fonetico? Tutti parlano, pochi dicono e ancor meno ascoltano.

Mi sembra che questa tendenza si sia aggravata negli ultimi anni, nell’era dell’informatizzazione e della comunicazione globale. Non diamo però colpa alla società, come talvolta si fa per ignoranza o per convenienza. Un balzo in avanti incredibile è stato compiuto da un punto di vista tecnologico ed è ancora in atto, con innumerevoli vantaggi per tutti i cittadini ma, come spesso accade nel fare i salti, qualcosa viene perso per strada. E’, allora, il modo in cui si procede che va cambiato. Ho l’impressione che dando sempre più importanza all’informazione, al dato nudo e crudo, si rischi di perdere il contatto con la dimensione più vera e profonda dell’uomo, cioè la sua capacità relazionale, fatta di partecipazione emotiva, vicinanza, affettività, empatia, gestualità, espressione, un mondo immensamente più ricco e variopinto rispetto a quello che ci viene proposto.

La gente è sempre più attratta da ciò che succede altrove, da immagini, numeri, statistiche, previsioni e trascura di vivere pienamente l'unico tempo che le è dato vivere: il presente. E nel presente c'è l'altro, con la sua storia, la sua personalità, i suoi bisogni.

Corriamo davvero il rischio di confondere la comunicazione vera e propria con l'informazione. Probabilmente ciò è dovuto ad un'idea che si è fatta sempre più strada: comunicare significa vendere.

Ma la missione dell'uomo è quella di un essere per l'altro e in questa relazione la vendita è un mero strumento, non il fine.


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