Recruiting, Algoritmi e Deficienza Artificiale!
Quello che stiamo vivendo, a prescindere dallo specifico delle crisi economiche e sanitarie, burocratiche e gestionali, pandemiche o isteriche, è un momento di profonda trasformazione del mondo del lavoro, di quel mercato che, del mondo, ne è parte importante. Come già il secolo scorso, anche questo, che ci vede attivi e protagonisti, ognuno a suo modo, con le proprie competenze, capacità sogni e aspirazioni, è un continuo cantiere d’innovazione. Nonostante i limiti che tutti noi abbiamo, nessuno escluso. Un secolo che, pur non essendo il mondo nuovo di Huxley, o il 1984 di Orwell, evolve a tutto vapore, velocemente e inesorabilmente, che si trasforma, muta forma, cancella consuetudini, ne installa di nuove, rassicura e inquieta nello stesso momento.
In questo nostro secolo, le rivoluzioni sono forse meno visibili ai più, rispetto a quelle che hanno caratterizzato l’era industriale del ‘900, con le sue rumorose conquiste, i suoi veloci successi, quelle rivoluzioni che hanno cambiato la consuetudine di vita dei nostri nonni, il loro modo di viaggiare, comunicare, diffondere le informazioni. Che, di conseguenza, hanno determinato anche il nostro modo di vivere. Il motore a scoppio, l’aeroplano, l’elicottero, la ferrovia, l’automobile, l’elettricità, il cinematografo. Ma anche l’evoluzione della medicina e della psichiatria, con la nascita della psicoanalisi, delle nuove tecniche chirurgiche e delle terapie che hanno svecchiato l’ambiente sanitario.
Il nostro secolo è più silenzioso, meno appariscente, ma nella sua capacità d’innovare, è forse ancora più clamoroso. Internet su tutti, che ha cambiato ogni singolo modo di fare e di pensare la nostra quotidianità, ma anche l’affinamento e l’evoluzione continua di ogni cosa nata nei due secoli precedenti, partendo da quelle idee, spesso rozze e rudimentali (limitate dalle conoscenze dell’epoca) per giungere a ritrovati talmente sofisticati da lasciarci a bocca aperta. La Blockchain, per dirne una, ma anche la robotica, la realtà aumentata, l’intelligenza artificiale…
E in tutto questo, viviamo un paradosso, uno scontro tra settori, tra differenti velocità, tra apertura o rifiuto del cambiamento. Mutano i modi di dire, come anche quelli di sentire e vivere la realtà circostante. Il mercato del lavoro ci dice che di lavoro ne abbiamo a disposizione meno del fabbisogno totale, richiedendo professioni e abilità sempre nuove, in continua evoluzione, in quel moto perpetuo che spazza via chi, a quel cambiamento, cerca strenuamente di opporsi. Di conseguenza, molte aziende lamentano l’irreperibilità di determinate figure professionali, a soddisfazione della loro ricerca e delle loro esigenze. Quindi, da una parte “non c’è lavoro”, dall'altra “non c’è voglia di lavorare”. E nel mezzo, troppo spesso, la scarsa preparazione, il mancato adeguamento ai tempi, alle nuove aspettative, di coloro che dovrebbero coniugare la domanda con l’offerta, andando oltre i preconcetti o le standardizzazioni, per riuscire a mettere in comunicazione queste due anime dello stesso concetto.
E’ indubbiamente un problema di produttività e di formazione. Spesso il Recruiter è costretto, per una fredda questione di numeri, di KPI, di obiettivi, di tabella di marcia da seguire e osservare, a smettere di valutare i candidati, limitandosi a scremare ciò che ha sul tavolo, quei curricula inviati con tanta speranza negli occhi e nel cuore da chi, sistematicamente, verrà scartato, cestinato, senza nemmeno essere preso in esame e valutato nel suo insieme, eliminato sulla base di tabelle, di algoritmi, di preconcetti resi procedura.
Questo modus operandi è indubbiamente agevolato dalla fretta, dalle necessità produttive, dai tempi sempre più ristretti e dall'abbondanza di offerta (candidati) a fronte di una conclamata scarsità (posizioni da occupare).
E tutto ciò può anche essere compreso, addirittura condiviso, ma come si coniuga con la necessità di avere collaboratori sempre migliori, che rendano l’azienda sempre più all'avanguardia? Come si raggiunge questa supposta necessaria eccellenza, se molti Recruiter discriminano i candidati sulla base di una parola chiave, di un numero, di un dato? Che fine fanno le tanto decantate Soft Skill, così tanto di moda (come la Blockchain, di cui tutti parlano ma solo in tre l'hanno capita davvero) se nemmeno si prendono in considerazione determinate capacità, inclinazioni, attitudini?
Un professionista è la somma, la risultante, di ciò che ha vissuto, studiato e fatto, nella sua vita. E' fatto anche i motivazioni e ispirazioni, non solo di titoli accademici. Esistono anche i perché, non solo i come! Impensabile quindi ammettere o escludere, dalla prossima fase della selezione, un soggetto solo sulla base di un piccolo dettaglio, dettato magari dalla poca conoscenza della psiche umana o dei moderni modelli comportamentali applicati all'ambiente professionale. Di oggi, non del 1950.
Forse, il mercato del lavoro, dovrebbe operare un'attenta riflessione e una produttiva analisi per capire la questione, per formare meglio, quindi aggiornare e rendere coerenti, i suoi protagonisti. La poca esperienza (o la cattiva esperienza, quando gli anni di lavoro sono tanti), unita alla scarsa formazione, troppo spesso scarta candidati che, in quella posizione, sarebbero letteralmente una bomba. Bisogna andare oltre la mera valutazione di un dato, di un numero, smettendo di seguire sterilmente una tabella, uno standard, una lista preimpostata. Tornare a essere umani, con la propria sensibilità, con il bagaglio d’esperienza che, ognuno di noi (il Recruiter non fa eccezione) porta con sé e che può davvero operare una scelta depurata da stereotipi e preconcetti, da falsi positivi, da storture soggettive, da elaborazioni binarie.
Umani per umani. Diversamente basterebbe un computer e un questionario a risposta multipla gestito da un algoritmo, sicuramente meno oneroso dello stipendio di un addetto alla selezione delle risorse umane (che triste definizione delle persone che lavorano, frutto di una Costituzione che, al suo primo articolo, fonda la Repubblica Italiana su di una merce di scambio: il lavoro). Se l’essere umano cede all'automatizzazione, alla standardizzazione del suo stesso pensiero, all'impoverimento delle sue capacità cognitive professionali, perché mai dovrebbe continuare a essere pagato per fare ciò che, da solo, un computer ben programmato può fare? Se lasci che un computer scelga per te, ben presto, quel computer ti sostituirà in toto. Stiamo disegnando, con le nostre stesse mani, un futuro per nulla improbabile e nemmeno tanto distopico, a ben pensarci.
E’ davvero questo, ciò che parte della categoria vuole?
Le persone devono essere valutate come persone e da persone, nel loro quadro d'insieme, in quella meravigliosa opera che è composta da hard e soft skills, formazione ed esperienze lavorative, caratteristiche comportamentali e caratteriali. E quant'altro serva a capirlo e a valutarlo, quel benedetto ritratto. E quel risultato va necessariamente preso in considerazione e valutato, nella più stretta contestualità specifica. Non per linee generali. Spesso invece ci si impantana su un solo frammento, sul dato anagrafico, per dirne uno a caso, scartando in automatico un 46enne, solo perché per la posizione è previsto un 45enne. Ma questo è solo un banale esempio di standardizzazione.
Reclutare un professionista non è pane da intelligenza artificiale, ma una questione di sensibilità umana, di pensiero pensato, di elaborazione critica, di sguardo d’insieme e di valutazione del dettaglio nell'insieme che, quell'insieme, concorre a formare.
E un algoritmo, tutto questo, non saprà mai farlo.
Founder e brand designer Banana Splint ➤ Progetto il tuo brand dalla D alla S (sì, faccio loghi 😉) ➤ Mi occupo di brand e personal brand su LinkedIn ➤ ho creato Furbes ➤ <2K contatti, ma conto di scendere
4 anniPer questo articolo, serviva la reaction "ovazione" ma non c'è. Non cambierei una parola, Christian. È giunto il momento di tornare alle relazioni vere. La tecnologia può aiutarci, sia chiaro, non sono assolutista (le posizioni troppo ferme sono sempre pericolose a mio avviso) ma e l'individuo ad essere al centro di tutto. Complimenti.
Educatrice | educando sempre prima me stessa • Scrittrice | scrivendo per passione e per lavoro • Coordinatrice | pubblicità & marketing
4 anniIo e il PC ...dobbiamo ancora fare molta strada per diventare amici! 🤣
Design e Grafica | Unico Artefice di ILLUSTRAZIONECREATIVA.COM | Ai enthusiast
4 anniIl problema vero è che il computer, velocizza, applica standard (che molto spesso sono necessari), facilità, connette, ma non inventa -per ora - ciò che non si ha in mente. Una mente geniale, sfrutterà al massimo le potenzialità tecniche del computer, una mente ottusa farà fare al computer cose ottuse, solo in modo più rapido. Una nuova potenzialità di un software - parlo del campo grafico creativo - sarà un novità originale per un po', poi sarà utilizzata in modo banale e sempre uguale, da menti con idee banali (o senza idee). Le menti creative useranno le nuove potenzialità per una nuova creatività. "Se lasci che il computer lavori per te..." prima o poi sarai certamente rimpiazzabile, o da un compiuter che fa anche il poco che facevi o da chi sa sfruttare il lavoro del computer in modo molto più "creativo" (e "creativo" sta anche per "produttivo").