Risparmio e trasparenza, un bel crocevia
È un dato di fatto attestato ormai da molte ricerche e ben noto a chi opera sul campo: la maggior parte dei risparmiatori italiani ha un’idea molto vaga e spesso inesatta di come ha investito. Si deve però rifuggire da approcci semplicistici, anche da quelli utili a vendere bene il proprio ruolo, che pure circolano: lo stato di fatto della trasparenza negli investimenti è il risultato di una pluralità di fattori, in parte relativi ai risparmiatori stessi ed in parte all’offerta di soluzioni di risparmio da parte del sistema bancario e finanziario in genere, in parte alla normativa.
Molti investitori hanno scarse conoscenze finanziarie, situazione che può essere ascritta sia ad un livello di istruzione generale insufficiente sia ad una scarsa offerta di informazione finanziaria. E fin qui molti sono o si dichiarano d’accordo. Va detto anche che in un numero non esiguo di casi le scarse conoscenze sono dovute pure ad uno scarso interesse, ad un approccio pigro nell’azione e poi magari vittimista al sorgere dei problemi. Qui invece qualche sostenitore lo abbiamo già perso e qualcuno lo perderemo anche oltre.
Non si ometta poi di considerare che il mondo degli investimenti finanziari, come altri, è un mondo complesso ed anche una persona di buona istruzione e buona propensione ad approfondire non può intendersi di tutto. Nella società complessa in cui viviamo, un certo grado di mediazione delle conoscenze, fondato sulla fiducia, è implicito ed è ineludibile. Una corrente di pensiero, poco teorizzata ma certo piuttosto forte soprattutto tra i regolatori, vorrebbe che l’investitore fosse pienamente in grado di comprendere tutto delle scelte che fa. Ebbene, questo non è possibile in medicina, nel mondo della legge, nel mondo del fisco, in una miriade di questioni tecniche e tecnologiche e non è realisticamente possibile neppure nel mondo degli investimenti.
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Sull’altro versante, quello dell’offerta, vi è appunto una naturale complessità, anch’essa in qualche misura ineludibile, salva l’ipotesi “luddista” che si voglia tornare ad uno stadio più primitivo dell’economia e della finanza. Ma vi è anche una complessità innaturale, che l’industria del risparmio spesso crea, sia per scopi di marketing – creare prodotti accattivanti, che risuonino in accordo ai timori e ai desideri di chi ha denaro da investire – sia per ragioni più direttamente legate alla generazione di utili – nascondere nella complessità del prodotto sia commissioni elevate sia spostamenti del rischio in capo al cliente –.
È dunque importante che i risparmiatori possano avvalersi di qualcuno che fa la radiografia alle soluzioni di investimento. La consulenza indipendente offre a questo riguardo una risposta efficace. Non si vuole qui negare che chi presta una consulenza organizzata e remunerata da un intermediario, pur con un catalogo di soluzioni limitato, possa essere trasparente nei confronti dell’investitore: sarebbe fare un torto alla logica ed anche all’osservazione spassionata della realtà, che vede anche buoni esempi. Né si può negare in assoluto che il consulente indipendente, remunerato direttamente dal cliente, pur nella condizione di aver ben poco interesse a non essere chiaro, possa per altri motivi assolvere male questo compito. Ma non è difficile comprendere come, almeno sui grandi numeri, il differente status del consulente abbia il suo impatto pratico.
In ogni caso quello della trasparenza è un crocevia al quale si incontrano molti protagonisti diversi, ognuno con i suoi condizionamenti. E, come detto, la soluzione non può essere semplicistica e non può prescindere da un risparmiatore che voglia davvero fare i propri interessi.