Scompenso cardiaco, l’epidemia del terzo millennio. Tabagismo e cuore, ridurre i danni sembra possibile
Il cuore, le sue malattie, la telemedicina, le novità per la diagnosi precoce e per le cure. ROMACUORE 2019 è stato tutto questo, ma anche di più. Uno storico, un filosofo e un giurista hanno aperto i lavori interrogandosi sul diritto alla salute e sulla reale applicazione dell’articolo 32 della Costituzione italiana. Sul banco degli imputati un killer che sembra inarrestabile: l’insufficienza cardiaca, un “cancro” per il cuore. Lettura magistrale di Francesco Fedele, primario della Divisione di Cardiologia ed Unità Coronarica e direttore del DAI (Dipartimento Assistenziale Integrato) Malattie Cardiovascolari e Respiratorie del Policlinico Umberto I, Università “La Sapienza”, di Roma. «L’insufficienza cardiaca, o scompenso cardiaco, è una delle patologie più diffuse al mondo ed uno dei problemi clinici di più difficile risoluzione, la cui incidenza è destinata ad aumentare notevolmente nella prossima decade a causa all’invecchiamento della popolazione, soprattutto nei paesi industrializzati.
L’insufficienza cardiaca si contraddistingue per essere una sindrome clinica complessa, in grado di ridurre la capacità funzionale e la qualità della vita dei soggetti che ne sono affetti, con tassi di mortalità elevatissimi, superiori a quelli del cancro”. In Italia, oltre un milione di persone ne è affetto di cui la metà circa muore entro 5 anni dalla diagnosi. L’insufficienza cardiaca causa 165 mila ricoveri l’anno, dove un paziente su 10 non sopravvive, mentre, entro i primi 12 mesi dalla dimissione, 3 pazienti su 10 muoiono e più del 50% dei pazienti viene ri-ospedalizzato. Inoltre, sotto il profilo socioeconomico, l’ospedalizzazione e i trattamenti per l’insufficienza cardiaca rappresentano un’importante voce di spesa sanitaria: più di 600 milioni di euro l’anno a carico del sistema sanitario nazionale italiano. “Tutto questo spiega l’urgenza di introdurre misure volte a contrastare e rallentare quella che va configurandosi come l’epidemia del nuovo millennio”, tira le somme Fedele.
Tabagismo e cuore è un altro tema sotto i riflettori a ROMACUORE 2019. “Fumo e rischio, come ridurlo”. Moderatore Valerio Pecchioli, responsabile della prevenzione cardiovascolare dell’Asl di Frosinone e componente della segreteria scientifica del congresso. Relatori: Fabio Beatrice e Giuseppe Biondi Zoccai, cardiologo interventista dell’università “La Sapienza” di Roma. Interessante uno studio indipendente italiano pubblicato lo scorso 15 ottobre su un’autorevole rivista specializzata, l’International Journal of Environmental Research and Pubblic Health. Studio su fumatori che non riescono comunque a smettere. Ha dimostrato che il passaggio a sigarette elettroniche (e-cig) o a prodotti a tabacco riscaldato (Heat not Burn, HnB) riduce nettamente l’introduzione nell’organismo di monossido di carbonio (CO) rispetto a quanto accade fumando sigarette tradizionali. Se ne deduce un evidente minor danno, soprattutto sull’apparato cardiovascolare.
È un dato di fatto che nei fumatori tradizionali gli elevati livelli di CO nell’organismo possono compromettere l’ossigenazione di ogni elemento cellulare ed essere quindi una possibile concausa di insorgenza di malattie fumo-correlate.
Quando si accende una sigaretta tradizionale il rilascio di sostanze chimiche nocive si impenna. Sono oltre 4.000 sostanze, delle quali almeno un'ottantina, secondo l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), sono cancerogene. Altre favorenti altre malattie fumo-correlate non cancerogene. Tra le numerose sostanze chimiche inalate dal fumatore o respirate da chi subisce il fumo passivo, c’è appunto il CO. Il lavoro scientifico italiano ha riguardato 40 fumatori maschi (età media 50 anni, fumatori di circa 22 sigarette al giorno per una media di 31 anni), resistenti alla cessazione (riluttanti o incapaci di smettere), ma che avevano spontaneamente accettato di passare a sigarette elettroniche (e-cig) o ad un prodotto a tabacco riscaldato (HnB). Dopo sei mesi di osservazione per ciascun gruppo (e-cig e HnB) si è visto che il CO è simile a chi non fuma. Fabio Beatrice, responsabile del Centro Anti Fumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, è la prima firma del lavoro scientifico “i cui risultati – dice Beatrice - forniscono ulteriori evidenze agli operatori sanitari e ai fumatori al fine di aiutarli a trovare la migliore soluzione individuale nell’ambito dell’approccio volto alla riduzione del danno, quando l’obiettivo principale, che rimane la cessazione del fumo, non possa essere raggiunto”.
L’informazione su questo tema ha trovato l’interesse dei cardiologi. A conferma di quanto emerso da una recente indagine commissionata alla società SICS sulle “Politiche sula lotta al tabagismo e il principio di riduzione del danno” con domande rivolte a farmacisti e a medici specialisti in tutt’Italia. Le risposte a due domande meritano di essere sottolineate. Prima domanda: ritiene che la comunità scientifica debba implementare la ricerca sull’efficacia e la sicurezza di strumenti alternativi al fumo tradizionale? Le risposte sono per la stragrande maggioranza positive (in media al 78% con picchi oltre all’80% nel nord-ovest e nel sud) con uniformità territoriale e una discreta uniformità fra specializzazioni. Anche fra medici ex fumatori e medici fumatori in merito non c’è grande differenza coi primi che per il 76% sono favorevoli e i secondi per l’81%.
Seconda domanda: alcune Regioni, nell’ambito degli interventi di prevenzione, di assistenza e supporto alla disassuefazione dal tabagismo, hanno riconosciuto il principio di riduzione del danno. Cosa ne pensa? Il 57% degli intervistati è d’accordo con questa affermazione e il 34% non sa. Se si guarda alle specializzazioni dei rispondenti i più a favore dell’affermazione sono i chirurghi vascolari (75%) mentre i reumatologi hanno la percentuale minore (47%), i cardiologi sono al 56,95% d’accordo e per il 35,8%.
Il 62% degli intervistati, in particolare, ritiene che la normativa nazionale per la lotta al tabagismo non sia sufficientemente efficace.
A proposito di morti da svapo, avevano ragione gli specialisti inglesi in polemica con gli americani. La causa delle morti è stata polmonite lipoidea. Cioè da olio fumato. Quale olio? Quella alla cannabis messo nello svapatore da chi voleva farne usa. Come mettere gasolio in un motore a benzina. Il problema sono le non regole del mercato americano, dove mercato nero e venditori online la fanno da padrone. Ora le autorità hanno vietato alcuni aromi, ma non si sa né perché né su quali basi scientifiche. Forse è un'azione per disaffezionare i giovani svapatori? Allora perchè lasciare la nicotina e vietare l'aroma alla vaniglia?