Scusa, posso sbagliare in pace?

Scusa, posso sbagliare in pace?

Non mi nascondo dietro a un dito: ho convissuto a lungo con  la tensione al perfezionismo.

La novità è che, da un po’ di tempo a questa parte, sto curando questo fastidio insidioso.

Partiamo dall’inizio. Appartengo alla generazione che ha imparato a scrivere usando il sillabario, vale a dire quello strumento didattico tramite cui la maestra ci insegnava la “g” di “ gatto”, la “a” di “albero” e via andare con queste amenità.

Per farci diventare padroni incontrastati e indomabili dell’alfabeto, il compito da eseguire era questo: riempire interi quaderni di lettere vergate in corsivo minuscolo e corsivo maiuscolo in bella grafia.

Detta così sembra niente.

Ma quando ripenso alla maestra che controllava se la “gambina” della “a” usciva dal rigo in misura conveniente o se la “pancina” della “g” misurava la taglia 44 o la 50 e se non rispettavo il canone della “decenza e tollerabilità grafica”, dovevo ripetere l’esercizio per 30 pagine…mi sento ritornare quel morbillo che, un altro po’, e mi manda all’altro mondo.

 Raggiungere il più alto grado possibile di perfezione diventava un must. Quella della perfettibilità non era un’opzione praticabile. Anzi, non era proprio un’opzione.

 E sì, che i miei genitori non pretendevano niente e scuotevano la testa in segno di disapprovazione quando consumavo le mie tragedie personali per via di un sette in latino al posto del mio solito otto oppure quando mi feci travolgere dal dolore perchè, crescendo, la mia voce passò da soprano drammatico a mezzosoprano (eh, grande problema…)

Ma ci ha pensato la vita a mettermi a confronto con i veri talenti, a farmi fare i conti con i miei limiti e difetti. All’inizio è stata dura perché non centrare l’obiettivo mi creava un importante  scompenso interiore.

Poi, la prospettiva cambiò (in peggio, ché già così non bastava) quando, al mio  giudizio su me stessa, sovrapposi il giudizio altrui.

Senza rendermene conto avevo spostato il focus dal mio errore alla percezione dell’errore da parte degli altri.

In sostanza, mi preoccupavo più del fall out giudicante che dello sbaglio in sé o della sua entità e persino della mia sensibilità.

Temevo la perdita della fiducia e della credibilità da parte dei componenti il mio tessuto relazionale.

Per una strana alchimia ( o forse solo perché “chi si somiglia si piglia”) a un certo punto dell’esistenza ho smesso di essere l’unica perfezionista di mia conoscenza. Mi ero ritrovata in ottima compagnia ed è stato come guardarmi allo specchio.

Ci sono voluti circa due anni, ma lentamente mi sono ritrovata a riflettere alla pessima qualità della vita di cui, sotto questo profilo, disponevo.

Iniziai a rendermi conto che il rischio dell’errore è sempre in agguato e non lo si elimina cercando di tenere tutto sotto controllo.

Per una ragione molto semplice: perché esiste l’imponderabile, cioè quell’elemento imprevisto e imprevedibile che è in grado di sparigliare senza che ci rendiamo conto di come sia accaduto.

E mi resi conto, anche, di altre due cose.

In primo luogo che la mia postura mentale di fronte agli errori altrui mirava a comprendere la ragione dello sbaglio ( e mi ponevo così anche davanti agli inadempimenti delle mie controparti o agli scivoloni tecnici dei miei colleghi difensori della controparte)  e poi che esistevano persone che, con molta semplicità, riconoscevano di aver sbagliato e affrontavano le conseguenze con lucidità senza preoccuparsi del giudizio altrui. 

 Sono stati anni di palestra nell’accettazione della parte fallibile di me: ci sono voluti tanto tempo e ancora più fatica a sotterrare l’idea della perfezione per direzionarmi soltanto verso la tensione a fare le cose al meglio delle mie possibilità.

Ma insieme ai rintocchi dell’incipiente cinquantina e, maggiormente, al superamento di questa soglia d’età sono arrivata alla consapevolezza che il tempo passato a rincorrere il “top” è un tempo perso.

Il tempo ( assieme alla salute e al lavoro) è la risorsa più preziosa che abbiamo e perderlo è peccato mortale. Va investito.

 Spendere tempo a cercare il primato per non cadere in fallo, perché la gente possa dire “Come lui/lei nessuno mai”, per avere sempre l’ultima parola anche a costo di dire stupidaggini…è un tempo perduto che disegna un buco nero e incommensurabile al centro dell’anima.

 Impiegare le proprie energie al miglioramento di sé nei campi speculativi e umani di nostro interesse, partendo dall’accettazione dei nostri limiti per arrivare alla comprensione di noi stessi…è un tempo ben investito che accresce non solo il nostro benessere, ma anche la qualità della vita di relazione.

 In tutto questo percorso ho avuto due preziosi alleati: l’autoironia e la scrittura.

 L’autoironia – da non confondere con l’autoreferenzialità, la self-deprecation e l’autopunizione- è il mezzo tramite cui prendiamo coscienza di noi stessi e della nostra condizione di vita. Sorriderne da soli o con qualcuno è solo la conseguenza di quella presa di coscienza.

Allenarsi all’autoironia come sintomo e non come causa del cambiamento ha un effetto positivo su chi la pratica e su chi lo circonda.

 La scrittura è la regina degli strumenti esistenziali. Mettere su carta i nostri pensieri, le impressioni, le osservazioni, l’analisi degli eventi, le emozioni ha il senso di formalizzare, davanti a se stessi, il mondo che coltiviamo al nostro interno.

 Scrivere è un atto identitario che non ha uguali.

Perché la scrittura di noi stessi è formata dalle nostre parole e dall’uso delle nostre parole. E anche se le parole che posso utilizzare io sono, anche solo parzialmente, uguali a quelle che puoi usare tu (e non può che essere così dato che entrambi siamo stati formati allo stesso codice linguistico), risulteranno sempre diverse perché diversa è la rispettiva postura mentale così come la sensibilità.

 Perciò, alla domanda “ scusa, posso sbagliare in pace?” risponditi sempre di sì e scrivi: dei tuoi errori, delle tue ansie da errore, di come ti poni tu nei confronti degli errori altrui, delle aspettative e di tutto quello che l’idea dello sbaglio ti causa.

 E se hai già affrontato la questione, parlane nei commenti a questo articolo. Condividere le esperienze aiuta noi stessi e il nostro prossimo.

Che è più prossimo di quanto può sembrare.

 


Barbara Galli , PCC Coach

Executive, Career & Life Coach ICF Certified 🫂 Team Coaching & One to One Coaching 📈 Talent & Performance Advisory, Research based 🧠 Emotional Intelligence Expert 👩🎓 Economia & Psicologia 🌎 ITA & ENG

3 anni

Cara Katia Bovani ohi guarda che se la tua terza vita prevede il Coaching mi devi avvisare eh? Così collaboriamo 🙃🙃🙃 Articolo stupendo, ricco di vita e consapevolezza ❤️

Nataliya Hrushetska

Coach Professionista | Ti accompagno affinché tu possa finalmente raggiungere i tuoi obiettivi scoprendo le tue potenzialità | Comunicazione Efficace | Medico nella vita precedente | Essere prima di fare e di avere 🌞🍀

3 anni

Ciao Katia Bovani 😊 Ho sempre cercato di fare ogni cosa nel modo migliore, di dare il massimo. Quando a scuola prendevo il voto diverso da "ottimo" rimanevo quasi male. Finita scuola con la medaglia d'oro (tutto ottimo). L'università - laurea con lode. Se tornassi indietro ,forse, passerei un po' meno tempo nelle biblioteche e dedicherei più tempo allo svago 😊 Quindi, è una netta tendenza al perfezionismo. O la convinzione nelle proprie capacità? Che posso fare di più, di meglio. Era difficile accettare qualche piccola sconfitta. Riprovavo. Riuscivo. Ma non credo che dipendessi dal giudizio altrui o non più di tanto, forse. Non piace sbagliare. Forse, e questo è il punto. Adesso sono molto più permissiva con me stessa anche se cerco.comunque di svolgere i compiti al massimo della mie possibilità. Tendenzialmente 😃

PAOLA BERGAMASCO

EXECUTIVE ASSISTANT | ASSISTENTE COMMERCIALE AMMINISTRATIVA | ORGANIZZAZIONE MEETING, EVENTI VIAGGI | BACK&FRONT OFFICE

3 anni

Ti leggo Katia Bovani e sento la tua voce e rivedo me stessa. Sì, è vero, la soglia dei 50 ti cambia la prospettiva, forse perché sai che è più il tempo che hai vissuto e che la vita ti ha regalato che quello di cui disporrai ancora. Imparare dell'errore, non avere tutto sotto controllo, essere pronti ad affrontare gli imprevisti, mai come in questa pandemia ho perso e ritrovato me stessa... e una buona guida, una buona amica 🥰

enrica bardetti

Collaboratore Freelance in redazioni online e web radio; Giornalismo culturale

3 anni

Buongiorno Katia, Regalarsi la possibilità di sbagliare sembra un traguardo facile, ma è invece un percorso difficile e impegnativo. Anch'io faccio parte della generazione dei sillabari e di un mondo scolastico che premia solo chi raggiunge la perfezione e non per l'impegno a raggiungere il massimo consentito dai propri limiti personali. Non siamo tutti uguali, dici bene, ognuno di noi ha dei limiti che se compresi e accettati possono trasformarsi in una risorsa. Crescere in un mondo che non ne tiene conto invece comporta frustrazione e appiattimento. Per scrollarseli di dosso ci vuole tempo per acquisire consapevolezza dei propri limiti, per accettarli e infine, e questo credo sia l'ostacolo più difficile da superare, trasformarli in risorsa. Grazie per lo spunto di riflessione.

Mariangela Ottaviani

Writers Coach - Editor - Ghostwriter - Ascolto le parole dentro di te

3 anni

Katia Bovani anch’io sono nata negli anni in cui si scrivevano pagine di “a” e di “g” con pance e gambette da far rientrare nelle righe, prima più larghe, per arrivare a quelle più strette. Poi ho studiato musica e li, se non “disegni” le note in maniera corretta rispettando spazi e linee, è un attimo passare da un “fa” ad un “sol”! Io però non vedo la spinta verso la perfezione come una cosa negativa. Per me la ricerca della perfezione significa dare il meglio in ogni occasione che ci veda attori protagonisti. Fermarsi ad un livello inferiore non costituirebbe, per il mio carattere, un risultato gratificante. Questo non significa voler dimostrare orgoglio piuttosto che modestia. Chi pensa in questa direzione deve chiedersi “perché, o per chi, vuole essere perfetto”. La risposta che do a me stessa è in primis “per me”. Se mi accontentassi di un risultato inferiore, a che pro avrei investito il mio tempo per approfondire conoscenza e tecnica ? Se sbaglio, sfrutterò l’errorecorre come insegnamento per il futuro. Ma la mia prima guida nella vita mi ha insegnato “che non si vede il tempo impiegato, si vedono i risultati”. Questo concetto, nella sua accezione più positiva, è diventato il mio mantra. Finora non mi ha mai deluso.

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