Se l’azienda è INCLUSIVA si lavora meglio (e si cresce di più) di Luisa Adani
La diversità è una ricchezza non solo sociale e culturale ma anche economica.
Partendo da questo dato, confermato da più ricerche negli ultimi anni, le organizzazioni dovrebbero porsi l’obiettivo di valorizzare al massimo il contributo unico di persone differenti fra di loro per caratteristiche visibili (etnia, età, genere, apparenza fisica, abilità), invisibili (sessualità,religione, abilità) e di pensiero (formazione, istruzione, personalità, esperienze di vita) per poter dare così vita a un ambiente in cui ognuno possa sentirsi coinvolto, rispettato, apprezzato e parte di un gruppo.
Un contesto che offra quindi un clima rispettoso e accogliente in cui ognuno possa giocare anche tutta la propria vera personalità offrendone il contributo al team e all’azienda.
La diversità è un elemento strutturale nel mondo, non è certo un ostacolo, ma al contrario una ricchezza.
Il nostro asset sono le persone che ci permettono proprio con i loro differenti sguardi e punti di vista di individuare, sviluppare e offrire ai nostri clienti servizi coerenti con i loro bisogni.
La sfida è quindi cogliere le potenzialità e le caratteristiche distintive di ogni collaboratore offrendogli la possibilità di svilupparle in un ambiente che sappia accogliere il portato innovativo e in qualche verso dirompente di ognuno».
Molti i progetti in cui l’azienda si cimenta con un cruscotto di comando che le permette di monitorare i dati e i risultati. L’obiettivo è acquisire una pluralità di sguardo e di pensiero. Pluralità che non si ottiene automaticamente creando un ambiente eterogeneo ma agendo con una leadership inclusiva in modo che tutti i membri del team sentano di essere trattati in modo rispettoso ed equo, siano valutati correttamente e quindi sviluppino senso di appartenenza. Se la diversità si abbina all’inclusione i vantaggi si moltiplicano.
I numeri
Secondo i dati raccolti le differenze di pensiero stimolano la creatività e migliorano la capacità d’innovazione dell’azienda del 20%; permettono ai gruppimanageriali di identificare i rischi, riducendolidel 30%; genera flussi di cassa per dipendente 2,3 volte più elevati suitre anni,potenziandola reattivitàdifronte ai cambiamenti e la capacità di implementare soluzioni. Oltre a ciò, la leadership inclusiva, migliora il clima aziendale e sviluppa del 17% la probabilità che i team abbiano fiducia nelle loro capacità.
Cosa fa un leader inclusivo?
Deloitte ravvisa sei tratti, eccoli:
- Si impegna per rendere la diversità e l’inclusione una priorità personale.
- E' umile e sa ammettere i propri errori.
- E' consapevole dei suoi pregiudizi e si impegna per la realizzazione di una meritocrazia.
- E' curioso, aperto mentalmente e sa ascoltare.
- E' sensibile e attento alle culture diverse dalla sua e sa adattarsi.
- Presta attenzione alla diversità di pensiero e alla serenità psicologica.
Chiudiamo con alcuni consigli, sempre di Deloitte, a un manager che desidera essere inclusivo:
- Chiedi feedback per sapere come sei percepito, specialmente da persone diverse da te e racconta una narrazione avvincente ed esplicita sul perché essere inclusivi è importante per te e per il business.
- Cerca la differenza: dai alle persone con le quali ravvedi minori affinità la possibilità di esprimersi.
- Controlla il tuo impatto: stai ottenendo le risposte attese?
- Chiediti infine anche se c’è chi trova il tuo modello di ruolo così efficace che lo fa suo.
La manifestazione di Bologna sul «Global inclusion» Matrix e gli algoritmi per imparare dai successi degli altri.
Se non includi, escludi; non c’è alternativa e il mondo in cui viviamo è un crogiolo di differenze.
È una convinzione ancora prima che una sensibilità che molte aziende stanno acquisendo, raccogliendo forse prima della società stessa la ricchezza di una realtà plurale.
Saranno i principi della responsabilità sociale, saranno le logiche organizzative e di marketing ma ormai è chiaro: è una logica miope ridurre a un monocolore culturale le organizzazioni o limitarsi ad unico punto di vista.
Bastino due evidenze.
I clienti e stakeholders a cui le aziende si rivolgono sono «diversi», «diverso» deve essere quindi lo sguardo per rispondere alle loro necessità e richieste.
L’innovazione e la creatività — è dimostrato e insegnato — nascono in contesti in cui è sollecitato lo scambio di posizioni.
L’inclusività va quindi coltivata e valorizzata e rimossi gli ostacoli, anche nel mondo produttivo e della formazione.
L’eterogeneità — di cultura, di genere, di orientamento sessuale, di opinione, di formazione, di salute, di abilità, di caratteristiche fisiche— è un’opportunità e una leva nella creazione del valore. Da questo punto di vista, la tutela delle differenze, sancita dalla nostra Costituzione, è opportunità di inclusione.
Uno sguardo sulla diversità che oltre a essere etico è anche economico.
Il mondo produttivo guarda troppo spesso alla tecnologica come a un elemento salvifico, mentre la vera trasformazione poggia su modelli e pratiche di innovazione sociale.
Le aziende che vogliono cogliere, ascoltare e agire un reale cambiamento devono necessariamente essere inclusive. Da questo punto di vista è necessaria una contaminazione fra non profit e profit».
Riferimenti: Deloitte; Juliet Bourke, «Which two heads are better than one?», «How diversity team create breakthrough ideas and make smarter decision» (Australian Institute of Company Directors)