SENIGALLIA E IL SISMA CHE NON C’E
Leggo oggi sui social che un terremoto ha interessato la città. Gente che chiedeva, incuriosita, cosa avesse provocato tutto quel movimento che avevano sentito.
Ebbene era un terremoto di magnitudo 2,5 a pochi km di distanza: praticamente nulla.
La cosa ha portato a chiedermi se la mia città possa mai essere pronta a fronteggiare un’emergenza come quella che ha colpito il centro Italia nel 2016: anche perché Senigallia è già stata colpita da un forte terremoto localizzato proprio in città nel 1930, che ha fatto danni ingentissimi ed in certi casi definitivi con decine di morti, e sono terremoti con un tempo di ritorno (cioè ogni quanti anni tendono statisticamente a ripetersi) di poche centinaia di anni.
Siamo quindi a rischio, e la faglia attiva seppure piccola è proprio qui!
Mi è tornata in mente una discussione in tal senso con il Sindaco poco tempo dopo i miei sopralluoghi in zona terremotata del 2016, dove avevo visto quante attività si fossero rese necessarie ex post dato che niente era stato predisposto in previsione di eventi catastrofici: un monte di operazioni che si accumulavano a quelle già necessarie per la messa in sicurezza della popolazione e dei luoghi. Ricordo ancora la risposta: a Senigallia non c'era predisposto nulla. Sono rimasto in silenzio basito, perché ricordo di aver avuto la forte impressione che non stessero minimamente considerando la cosa nonostante quello che era accaduto a pochi km da qui. Fortunatamente poi ho letto che nel 2019 il Comune ha assoldato un Disaster Manager, una figura specifica tecnica che, per come lo interpreto, dovrebbe ovviare a queste mancanze redigendo un piano per l’emergenza sismica basandosi su valutazioni e recuperando quante più informazioni e schemi possibili per impostare le successive fasi di contenimento e superamento dell’emergenza: in pratica quello che è stato fatto “sul campo” ad Amatrice e Norcia. Se fosse così sarebbe già un buon primo passo. I successivi dovrebbero portare questo tecnico ad individuare le varie strutture unitarie di edifici ed isolati in cui è costituito il territorio comunale, a cui far confluire le informazioni già note come quelle catastali e quelle indicate sul P.R.G. online, e stabilire delle priorità su quali edifici e quali infrastrutture sarebbero necessarie in caso di emergenza in modo da progettare e programmare una rapida ed eventuale messa in sicurezza. Uno di questi dovrebbe essere stata la scuola Elementare Pascoli, che infatti ha già avuto degli interventi di messa in sicurezza proprio di recente. Successivamente dovrebbe pensare a come portare ad una messa in sicurezza la più ampia possibile del costruito. Nota dolente: con un Disaster Manager in attività da un anno scarso probabilmente non si è ancora iniziati ad impostare la seconda fase, dopodiché si dovrebbero trovare fondi per le eventuali ulteriori messe in sicurezza di edifici e infrastrutture strategiche: come si vede non è affatto un lavoro semplice né rapido.
Purtroppo la mia esperienza sul campo ha confermato che non esiste una programmazione capace di identificare e risolvere tutte le possibili problematiche, ma è necessario che siano pronti piani di emergenza che possano possedere un adeguato livello di elasticità. Non a caso la Protezione Civile opera proprio con piani simili da decenni, con ottimi risultati, ricordando alle Amministrazioni di fare altrettanto. Ma quello che ho potuto riscontrare sul campo mi ha anche portato a valutare, seppure speditamente, le situazioni presenti in città ed immaginare quali situazioni problematiche potrebbero accadere. Principalmente la domanda è: qual è la capacità di resistere del nostro costruito attuale ad eventi sismici come o peggio di quello del 1930?
Purtroppo ritengo che restino in ogni caso molte vulnerabilità, sia per mancanza di manutenzioni nel tempo sia per le tecnologie costruttive utilizzate ed infine per la qualità e la resistenza dei materiali: non si può dimenticare che il cemento armato, il materiale da costruzione principe, ha una durata che si può valutare in decenni.
Provo a fare una estrema sintesi di queste mie valutazioni riferite ai vari contesti.
CENTRO STORICO
Il centro storico è stato quello che al tempo ha sofferto i danni maggiori, per ovvii motivi.
Il fatto che i danni nel 1930 avessero riguardato soprattutto i piani alti porta a dire che la componente maggiore del sisma fosse proprio quella “sussultoria” rispetto a quella ondulatoria che determina le oscillazioni fuori piano delle pareti. Questo conferma che il sisma fosse concentrato sotto la città, dove poi è stata scoperta la faglia, oltre al fatto che danni altrove fuori dall’area comunale non furono così grandi come qui da noi. E’ quindi probabile che il futuro sisma possa essere simile.
La scelta al tempo fu quella di demolire tutti i piani alti che erano stati i più danneggiati, abbassando gli edifici e al contempo rinforzandoli dove possibile con cordoli o addirittura anche generosi pilastri in c.a. inseriti nella muratura portante. Là dove questo non era possibile o non sufficiente, si sono chiuse anche alcune finestre e porte ed inserire catene metalliche a più non posso. Sono presidii che si prestano a dare fiducia, e che assieme alla presenza di muratura portante di spessore sostanzioso dovrebbe limitare al massimo nuovi danni al centro storico: ciò non toglie che il cemento armato ha fatto il suo tempo, che si tratta di materiale di resistenza più bassa dell'attuale e che per giunta si è ridotta con l'invecchiamento, con pochi ferri d'armatura spessissimo di piccolo diametro e staffe risibili (soprattutto nelle costruzioni private); le catene non sono mai state ri-tesate, quindi gran parte della loro funzionalità nel tempo si è ridotta; i solai sono datati e sono stati sovraccaricati da mobili ed altri pesi necessari per la vita moderna ma assolutamente non previsti in passato; le murature non sono state rinforzate e nel tempo le malte peggiori hanno perso caratteristiche o, se esposte, si sono polverizzate.
La vulnerabilità maggiore in ogni caso arriverà da quegli interventi di ristrutturazione parziale degli edifici del centro, dove si sono mischiate tecniche e sistemi costruttivi diversi e non omogenei. Oppure per edifici dove situazioni congenite potrebbero comportare danni gravi, per esempio sull’edificio del primo porticato (ex Liceo Classico) dove al di sotto “spinge” la fondazione di un vecchio torrione medievale che già aveva spinto in passato provocando infatti molti danni.
Se si escludono casi particolari, l’aspettativa è che il centro tutto sommato subisca danni contenuti e che questi non ingenerino crolli disastrosi come nel passato. Restano i casi di quelle abitazioni costruite o ricostruite negli anni successivi con materiali già poveri o di qualità scadente.
PRIMA PERIFERIA
Si tratta delle aree edificate dopo il terremoto, e alla luce di quell’evento pure molti edifici dovrebbero presentare una struttura a muratura portante rinforzata da cemento armato. Anche qui, salvo casi patologici come quelli di prima o in caso di ristrutturazioni fatte male, ritengo che si possa stare ragionevolmente al sicuro. Si tratta inoltre di edifici tendenzialmente non troppo alti, quindi con un basso modo di vibrare dove la presenza massiccia di muratura portante coadiuvata da travi/cordoli perimetrali di c.a. aiuta molto nel comportamento "scatolare" in caso di sisma, con migliore ripartizione delle sollecitazioni.
SECONDA PERIFERIA
Con questo termine intendo tutto ciò che è stato costruito dagli anni 60 in poi, dove man mano si è sempre più fatto uso della tecnica costruttiva dei telai in c.a. tamponati da murature leggere.
Qui a mio parere possono determinarsi i casi più preoccupanti, anche perché solo dal 1992 abbiamo un regolamento tecnico sismico accettabile e che è stato poi nettamente migliorato dal 2008 con le nuove norme tecniche sulle costruzioni che prevedono le verifiche agli Stati Limite. Se poi si considera che la prima vera normativa sismica nazionale è del 1974, e comunque portava a calcolazioni semplici alle tensioni ammissibili, si può facilmente arrivare alla conclusione che ci sono almeno 40 anni di costruzioni che sono potenzialmente vulnerabili.
Si tratta purtroppo dell’età della maggior parte del costruito, in particolare i condomini (incluso quello del sottoscritto) costruiti con molti piani di altezza. Chi vive qui, come me, dovrebbe avere timore di un nuovo evento sismico, che insisterebbe su edifici che o non sono progettati per resistere ma solo armati in base all'esperienza delle ditte esecutrici e a qualche calcolo di ingegnere oppure sono calcolate ma sulla base di metodologie superate perché molto semplificate. Tantopiù che, come già detto, sono stati costruiti con materiali che hanno resistenze più basse rispetto a quelli attuali e per giunta ridotte ulteriormente a causa dell’invecchiamento.
In conclusione, il Disaster Manager (se c’è) dopo aver valutato gli edifici strategici dovrebbe anche pianificare una gestione dell’emergenza concentrandosi sul problema delle periferie degli anni '50-'80 considerando che molte delle nostre periferie potrebbero non resistere, e predisporre piani di intervento o di facilitazioni della messa in sicurezza privata. Già ci sono i vari bonus statali ma almeno per i condomini non sono quasi usati per la difficoltà operativa unita alle divisioni tra condomini nel voler eseguire o meno dei lavori costosi e che inevitabilmente li porterà a non poter vivere nelle loro case per la durata dei cantieri.
Serve una forte campagna di facilitazione degli interventi e promozionale, anche locale, che faccia capire alle persone la necessità di intervenire quanto prima: altrimenti sarà troppo tardi.
Senior Project Manager SubissatiLegno
4 anniSenigallia ha un Piano di emergenza di Protezione Civile, che contempla anche lo scenario di rischio sismico. Nessun disaster manager è mai stato incaricato...