Siamo abbastanza intelligenti per l’intelligenza artificiale?
Approfitto del report ricevuto ieri da italiani.coop che cura (assieme a istituti di rilevamento opinioni affidabili) l’annuale Rapporto Coop, uno dei monitor sullo stato delle cose italiane, o meglio sui sentiment, opinioni e atteggiamenti degli italiani. In questo caso si tratta di una integrazione rilevata con una sorta di metodo delphi basato sulla intervista di circa 600 esperti, consulenti, studiosi e manager: insomma una sorta di “testimoni privilegiati”, osservatori che per professione e competenze dovrebbero essere in grado di intercettare i “sentiment trends” in corso negli animi italici.
I temi trattati da questa appendice integrativa del rapporto sono numerosi: mi concentro su quanto riguarda la percezione-sentiment relativa alla AI. Scelgo questo argomento per due buoni ragioni: la prima è personale e contingente, visto che dovrò tenere in novembre un incontro (con uomini di azienda) sulla “psicologia e AI” (e quindi sto rifocalizzando questo tema che fa comunque parte dei megatrend da monitorare), mentre la seconda può essere di interesse più generale. Con ciò mi riferisco al fatto che proprio negli ultimi mesi il tema della AI nelle aziende è tornato prepotentemente alla ribalta, dopo essere già emerso qualche tempo fa per essere poi parzialmente sopraffatto dai temi più “umanistici” del tipo “persone al centro”, tanto per intenderci. Oggi però le aziende, e il mondo degli osservatori e consulenti che ruotano intorno ai temi aziendali e organizzativi, avvertono che l’ingresso reale della AI nelle aziende si sta intensificando e che i progressi della “generative AI” capace di interagire, dialogare, produrre testi e video e creatività (ovviamente ci sarebbe da discutere) , certamente di elaborare masse incredibili di big data trovando nessi e pattern e sviluppando ipotesi che forse il cervello umano non potrebbe permettersi, sono assai veloci e impressionanti. Il tutto condito un po' di ansie e un po' di speranze, irrorato di considerazioni sulle differenze tra intelligenza e coscienza, tra logica artificiale e logica degli umani, infiorato da fantasticherie sui possibili rapporti “empatici” tra umani e robot e, sullo sfondo, l’immagine di Elon Mask e del suo neurolink che potrebbe permettere una connessione immediata stabile e permanente tra il cervello umano e non solo una AI di supporto mentale ma anche qualsiasi apparato digitale.
In questo clamore abbastanza confusivo, basato per lo più su una scarsa reale conoscenza della natura della AI e orientato dal mix di speranze paure e fantasie che circondano sempre le novità (o presunte tali) le aziende si interrogano su cose più concrete: quali i riflessi sui posti di lavoro? quali reskilling bisognerà attivare? quali nuovi lavori emergeranno? le prestazioni della AI si limiteranno a vicariare le prestazioni esecutive standard e quelle di servizio o potranno integrare o sostituire (almeno fino a un qualche livello) la presa di decisioni? le “macchine produttive” potranno essere affidate completamente alla gestione e alle valutazioni della AI? la AI potrà fungere da coacher e tutor e da formatore?....e così via. Sarebbe bene che prima di soffocarci di domande cercassimo di chiarire di cosa si parla, evitando di cadere preda di fantasie da fantascienza approssimativa: ne riparleremo, e per ora mi accontento di segnalare che quelli che meno credono nella possibilità di una AI “superiore” alla HI (Human Intelligence) sono gli informatici che si dedicano alla AI, e gli psicologi. I primi perché ben conoscono i limiti del loro “prodotto” (pur consapevoli delle grandi possibilità che offre e continuerà a offrire in misura crescente), i secondi per la semplice ragione che non hanno ancora capito cosa diavolo sia l’intelligenza, ma certamente non si tratta solo di una questione di “soluzione razionale di problemi, in modo efficiente secondo parametri quantitativi”.
In questo variegato quadro vediamo i dati offerti da questa ricognizione su “sensori culturali” vicini alle imprese, offertaci dal gruppo di lavoro de Rapporto Coop. Ovviamente si tratta di “percezioni e sentiment”, o se preferite “opinioni”: dicono qualcosa non sul fenomeno in sé, ma su come lo stiamo (gente comune, non superesperti) vivendo. Ciò detto, veniamo ai dati che scelgo di proporre alla Vostra attenzione.
In buona sostanza la percezione largamente maggioritaria è che la AI rappresenta un cambiamento non solo importante, ma addirittura “epocale”. Qualcosa insomma come la diffusione della energia elettrica o l’ingresso del Web nella vita quotidiana, o lo smartphone….In realtà dovrebbe essere qualcosa di ancora più disrupting, perché per la prima volta verrebbe a incidere sul nostro modo di utilizzare il cervello, un diverso modo di usare la mente: sempre che riusciamo ad usare la mente per capire come usare la AI, evitando (come accaduto con il telefonino, ad esempio) di affidarci a una tecnologia di cui in realtà non sappiamo nulla gestita da una setta di informatici chiusi in un loro mondo a parte….
Il profilo di rischi ed opportunità offerte dalla implementazione diffusa della AI sembra coincidere perfettamente con le attese degli analisti specializzati nel campo per quanto riguarda le opportunità. La salute e i servizi (a partire da quelli finanziari e assicurativi, già oggi attivamente utilizzatori di AI, per es. in Svizzera) sono in effetti i settori più “caldi”, come pure la logistica e i trasporti e la gestione dei rischi (per es metereologici o sismici, grazie alla integrazione di una massa enorme di dati resa possibile dalla convergenza digitale e dai supercomputer quantici). Sull’aumento della produttività si può osservare che tutto dipenderà anche da quanta povertà l’introduzione della AI potrebbe generare (almeno in una prima fase) a causa della perdita di lavoro per una serie di categorie….ma vedremo.
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Sui rischi è molto interessante che ci si preoccupi di più della manipolazione della informazione che non della erosione delle competenze umane e dell’aumento della disparità (il digital divide diventa un fossato incolmabile): ma d’altro canto da qualche tempo il sistema dei media insiste proprio -guarda caso- sulla AI come fonte di manipolazione della informazione e di sostituzione di giornalisti, scrittori, sceneggiatori….Il che dimostra che anche senza AI la manipolazione della gente da parte della informazione funziona benino, tutto sommato…
Ed eccoci infine alla situazione relativa alle aziende: qui non si tratta di opinioni o sentiment, ma di testimonianze su ciò che sta accadendo di fatto nelle aziende in cui o con cui questi testimoni privilegiati hanno a che fare. Il dato che così emerge indicherebbe che solo un quarto delle aziende stanno già avendo a che fare davvero con la AI (spesso però si tratta semplicemente di centralini capaci di rispondere in automatico, o di algoritmi di gestione del magazzino). Quasi il 30% ha buone intensioni, ma un po' meno del 50% (46%) sembra incerta ed esitante, o per ora non interessata.
Quindi? Tanto rumore per nulla, o per poco? Non si avverte il bisogno, o si esita perché ancora non si capisce bene di cosa si tratti e come possa aiutare l’azienda e il business e la crescita delel persone dell’azienda? Come che sia, in molte parti del mondo le aziende stanno galoppando verso la AI, o meglio verso una azienda a convergenza digitale e ad automazione intelligente. E alcuni paesi “arretrati” stanno cercando di colmare il loro gap utilizzando il booster della automazione digitale intelligente, un po' come ha fatto anche la Cina. L’Italia è cauta, ma almeno sarebbe utili porre il tema un po' più al centro, rifletterci su, capirci qualcosa: non continuare a rimanere nel vago affidandoci a timori e fantasie. La AI verrà usata costruttivamente da chi saprà usare la propria intelligenza umana, ma per farlo bisogna cominciare a conoscere, discutere seriamente, progettare concretamente. Non fare del giornalismo sensazionalistico per vendere non tanto la notizia ma le speculazioni fantasiose. Prima di preoccuparci della Intelligenza Artificiale, sarebbe forse bene preoccuparci della nostra intelligenza naturale.
Giovanni Siri