Sono stato un mese a Pristina...

Ho lavorato e vissuto in un ostello.

Ho dormito su di un divano per una settimana perché l’ostello era pieno. 

Ho aiutato dei kosovari a montare un mobile (storto ovviamente), un frigorifero e la cappa della cucina.

Ho conosciuto australiani, israeliani, albanesi, tedeschi, belgi, macedoni, svizzeri, polacchi, giapponesi e altre varianti del genere umano.

Ho visto dei tramonti fantastici.

Ho partecipato ad eventi culturali sul senso dell’architettura post-bellica. Roba da “fricchettoni” per i benpensanti ma molto interessanti. 

Ho visto gli occhi di un popolo che ha una voglia matta di rinascere.

Ho cucinato un risotto per 12 persone di circa 8 paesi diversi. Quindi in realtà un “rizoto” per come veniva chiamato. 

Ho assistito ad un reportage di una giornalista di Aleppo durante l’assedio. Reportage vero, nudo e crudo di tutte le atrocità commesse in Siria.

Ho ascoltato i racconti della guerra, dei bombardamenti, di parenti visti per l’ultima volta in divisa, del rumore assordante e il tonfo dei missili.

Ho ascoltato “dedicato a te” cantato dal proprietario dell’ostello in un italiano-albanese straordinario. 

Mi sono reso conto di quanto siano belli i passaporti delle varie nazioni soprattutto quando pieni di timbri. 

Ma più d’ogni altra cosa ho capito il senso profondo del loro “Newborn”. Un vessillo di cui ho profonda ammirazione.

Tutto ciò non serve per raccontare qualcosa, con la prossima faccia da...vabbè, all’HR di turno ma per ricordare a me stesso che il pianeta terra è lì fuori e, mentre ci “stracciamo le vesti” chiedendo “porti chiusi” e il ritorno ad un medievale oscurantismo, c’è un’umanità intera che c’aspetta. Ed è la sola cosa per cui vale la pena stare al mondo. 

Grazie di tutto #Pristina.