SOSTENIBILITÀ E TECNOLOGIA: un incontro possibile
Quando si parla di sostenibilità difficilmente la si collega alla tecnologia: sembrano due argomenti separati, distanti, che viaggiano su due binari paralleli e che quindi per loro natura non si incontreranno mai.
Studiando un po’ più a fondo, però, risulta subito chiaro come i due temi non solo siano correlati, ma anche potenzialmente vantaggiosi uno per l’altro, rafforzandosi reciprocamente. E allora perché non trarre beneficio da questa vicendevole correlazione?
Prima di poter rispondere alla domanda, è forse necessario fare un passo indietro e partire dal concetto stesso di sostenibilità.
La parola “sostenibilità”, ormai fin troppo usata (spesso a sproposito), ha in realtà un significato specifico la cui definizione va ricercata in un altro concetto, quello di “sviluppo sostenibile”. Questa locuzione viene ufficialmente coniata durante la Conferenza delle Nazioni Unite nel 1972 a Stoccolma, occasione in cui però il reale significato di questo concetto resta vago e ancora molto aderente a una visione di “sviluppo” legata alla pura crescita in termini economici. Per avere una definizione ufficiale, infatti, dobbiamo aspettare 15 anni: nel 1987 la Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo (WCED), in quell’anno presieduta dal premier norvegese Gro Harlem Brundtland, redige un rapporto sullo sviluppo umano, “Our Common Future”, in cui per la prima volta viene sancita sistematicamente la definizione di sviluppo sostenibile. Si tratta della stessa che utilizziamo ancora oggi: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che incontra le necessità attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.
In quella stessa occasione, altri argomenti di discussione di natura economica, sociale e ambientale vengono portati all’attenzione di tutti. Ne scaturiscono 3 sintetici punti:
Emerge in maniera più esplicita la correlazione e l’interdipendenza tra quelli che saranno definiti i 3 pilastri della sostenibilità: economico, sociale e ambientale. Solo nel 1992 però, durante la Conferenza di Rio, questi vengono resi ufficiali costituendo la cosiddetta triple bottom line, che diventa chiave portante del concetto di sviluppo sostenibile, soprattutto in corrispondenza del Summit delle Nazioni Unite del 2015. Nello stesso anno, infatti, con il lancio dell’Agenda 2030, le Nazioni Unite definiscono 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), ampliando e modificando ciò che era già stato proposto con la Dichiarazione del Millennio nel 2000. I Millenium Development Goals (MDGs) anticipavano già alcuni temi ripresi negli attuali obiettivi, ma utilizzavano un approccio e uno storytelling decisamente diverso, puntando l’attenzione su problemi (solo) apparentemente lontani dal mondo occidentale (la fame nel mondo, la mortalità infantile o la cura di HIV/AIDS o malaria) e chiedendo a quest’ultimo di intervenire tramite forme di sussidi e beneficienza. La grande novità dell’Agenda 2030 e dei suoi obiettivi è il coinvolgimento attivo globale: non si tratta di un documento con valore legale ma mira ugualmente all’azione e all’impegno politico mondiali. Tutti i paesi sono potenzialmente coinvolti nel raggiungimento di questi obiettivi in ogni ambito e settore, senza trascurare e lasciare indietro nessunǝ.
“Leave no one behind” è proprio il motto che accompagna l’Agenda: nessunǝ esclusǝ.
Avere ben presente gli obiettivi da perseguire può essere utile ma anche molto astratto. Osservando l’immagine scopriamo che la dichiarazione di intenti di questi obiettivi è davvero molto alta: si parla di porre fine alla fame del mondo, di sconfiggere la povertà o di ridurre le disuguaglianze mondiali; tutto questo entro il 2030. Verrebbe da dire che non ce la faremo mai, che siamo troppo distanti da questi obiettivi per poter anche solo immaginare di fare qualcosa per raggiungerli. Potremmo reagire così o invece guardarli da un punto di vista diverso, più aperto e proattivo. Scopriremmo che può essere utile considerarli dei validi riferimenti: possono diventare dei punti sintetici da consultare per definire la propria mission, facendo al meglio delle proprie potenzialità e con gli strumenti che si hanno a disposizione. Data la loro trasversalità, nessunǝ è escluso dall’utilizzarli: sono facilmente applicabili a qualsiasi sfera professionale, anche quelle meno intuitive. Forse disporli in una visualizzazione più consona e confacente al proprio settore o ambito lavorativo può aiutare a intuirne le potenzialità. In quest’ottica potrebbe rivelarsi utile fare riferimento alle Six Transformations, uno strumento coniato da alcuni ricercatori proprio per raggiungere e concretizzare più facilmente gli apparentemente astratti SDGs. Infatti, questo tipo di catalogazione delineata secondo 6 focus tematici ci porta facilmente a comprendere la stretta interconnessione esistente tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Ragionando in termini di trasformazione tutto sembra assumere una forma più concreta e tangibile: non solo risulta più semplice e immediato il cambiamento da perseguire e quindi la trasformazione da mettere in atto per raggiungerlo, ma diventa anche più facile capire come il proprio settore/ambito professionale, pur perseguendo i propri interessi, possa contribuire positivamente allo sviluppo sostenibile.
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Ed è qui che si inserisce il legame tra sostenibilità e innovazione e quindi tra sostenibilità e tecnologia. Nell’era dell’industria 4.0, spesso il concetto di innovazione viene implicitamente associato alla tecnologia e a tutti quei nuovi tool/dispositivi tecnologici che mirano a facilitare lo svolgimento di un’attività o semplicemente a renderla “nuova” attraverso l’uso del digitale. Tutto ciò è assolutamente indispensabile, ma rischia di non essere più sufficiente. Forse serve un piccolo ulteriore passaggio per renderci un po’ più al passo coi tempi e in linea con l’idea di sviluppo sostenibile; forse è necessario che la tecnologia venga messa a disposizione per il raggiungimento di un bene comune, un obiettivo più alto in cui al centro ci siano le persone e i loro reali bisogni. Senza togliere in alcun modo dignità alle attività tecnologiche di puro intrattenimento o di ingaggio commerciale, forse dovremmo riflettere sul fatto che anche queste possono assumere maggior valore se integrate di altri principi. Perché se è vero che la tecnologia è un valido strumento per facilitare il raggiungimento di quei famosi obiettivi prima citati, allora può valere anche il contrario: inglobare nella propria mission almeno alcune delle 6 trasformazioni può rendere più competitive e appetibili, oltre che più etiche e giuste, tutte le realtà impegnate in un processo di innovazione tecnologica. Ragionando secondo quest’ottica scopriamo ben presto come sostenibilità e tecnologia non siano su linee d’onda differenti, ma anzi possano viaggiare di pari passo e addirittura rafforzarsi a vicenda.
Redrim nasce proprio da questa convinzione e dalla volontà di unire insieme professionistǝ e competenze apparentemente molto distanti, ma ben inseriti in un meccanismo di reciproca collaborazione. Lavorano in Redrim non solo appassionatǝ ed espertǝ di tecnologia digitale, ma anche architettǝ, visual & sound designer, senior coach, espertǝ di leadership aziendale e di formazione manageriale, consulenti legali e specialistǝ del marketing strategico e di organizzazione d’impresa. Far convergere visioni e approcci spesso molto distanti tra di loro non è sempre banale, ma è quello che ci sforziamo di fare ogni giorno, convintǝ che ci sia del valore aggiunto nel mettere a fattore comune diverse peculiarità professionali e che questo sia il miglior modo per fare davvero innovazione. La ricchezza di un team multidisciplinare è qualcosa che ci ha da subito contraddistinto, insieme alla costante voglia di imparare e di confrontarci con altri mondi e realtà.
In linea con quanto esposto finora, lo scorso anno abbiamo preso parte a un webinar organizzato da Avixa (associazione internazionale di riferimento per il settore audio-video di cui siamo partner) dal titolo “Le trasformazioni necessarie per un’evoluzione sostenibile dell’umanità – Leave no one behind”. Il webinar si focalizzava su tre delle 6 trasformazioni esposte prima: la prima puntata ha affrontato il tema “Educazione, genere e disuguaglianze” puntando l’attenzione sulla parità di genere, la seconda si è concentrata su “Salute, benessere e demografia” e in particolare sul tema della telemedicina e infine il terzo e ultimo appuntamento è stato dedicato alla “Rivoluzione digitale per lo sviluppo sostenibile”, argomento cardine nell’offerta di Redrim che racchiude un po’ tutte le altre. Le tre puntate sono ancora pubbliche e disponibili sul sito di Avixa, a questo link (aspettiamo di sapere cosa ne pensate tra i commenti).
Sappiamo che il percorso per far incontrare sostenibilità e tecnologia è sicuramente ancora lungo e a tratti tortuoso, ma questo non significa che non abbia senso percorrerlo con ulteriore forza d’animo e convinzione. O siamo forse noi a sognare troppo?
Articolo a cura di Giulia Vogliolo
Business Developer | Interaction Designer | Comunicazione e Marketing
2 anniUn articolo molto interessante e di grande #ispirazione ☺️