Spotify acquisisce Gimlet: e ora?
Che impatto avrà sul Digital Audio l’acquisizione di Gimlet da parte di Spotify (quantomeno secondo noi)?
Partiamo dalle dimensioni di questa operazione: Gimlet Media, nata nel 2014, è una società che crea contenuti audio di alta qualità, e che a fronte di ricavi annuali pari a tre milioni è stata pagata circa 230 (verosimilmente, il valore in sé della società oltreché una cospicua cassa con cui potenziarne ulteriormente la capacità produttiva).
È la metà del budget 2019 stanziato da Spotify per dotarsi di contenuti esclusivi: l’anno prossimo lo raddoppieranno.
Il senso di tutto ciò? Questi valori misurano la determinazione con la quale Spotify stia ampliando la sua mission e sono indicativi del valore che il management ritiene i podcast possano rappresentare per il suo business.
Com’è noto, oggi Spotify è il principale ambiente nel quale 200 milioni di persone - di cui circa 9 in Italia - fruiscono di contenuti musicali per circa due ore al giorno: questa immagine, relativa al ranking di Webcast Metrics dello scorso Ottobre nel mercato US dà una misura della sua dominanza nell'offerta streaming, sia verso altri pure players, sia verso quella dei Broadcaster (2.5 milioni di Average Active Sessions = streams simultanei secondo le regole IAB).
Due anni fa, si dice su proposta di un gruppo di dipendenti che già li ascoltavano, venne deciso di affiancare i podcast all’offerta musicale: oggi Spotify è diventata la seconda piattaforma di distribuzione di contenuti parlati nel mondo, e ha potuto quindi acquisire una mole considerevole di dati con cui ha analizzato con precisione le conseguenze di questa iniziativa (e mica su base statistica, per quanto scientificamente corretta: è il digitale, bellezza... 😉)
È emerso che chi ascolta podcast su Spotify raddoppia il tempo di permanenza sulla piattaforma e non di rado poi sottoscrive un abbonamento Premium, chi invece fruisce di contenuti musicali inizia spesso ad ascoltare anche quelli parlati; insomma: ampliamento della base utenti e crescita significativa dell’inventory pubblicitaria, un “due piccioni con una fava” da manuale.
Non bastasse, i podcast sono per Spotify una tipologia di contenuto molto “conveniente” in quanto non gravata dal costo dei diritti musicali: se la stima di Daniel Ek di un 20% circa della loro utenza interessata a contenuti non musicali fosse corretta (e con i dati di cui dispongono è altamente probabile lo sia), Spotify erogherebbe un quinto del suo prodotto senza dover alcunché alle case discografiche.
Infine e soprattutto: disponendo già Spotify di accordi con le Major per l’impiego di musica in modalità on demand, cosa le impedisce di produrre podcast che la contenga creando un'offerta "blended" tra musica e parole ancor più assimilabile a quella dei broadcaster?
Attenzione, non parliamo di una playlist con un conduttore "live", che con ogni probabilità continuerà ad essere il “core” dell’offerta di valore dei Broadcaster, ma di contenuti di qualità che contemplano anche l’uso di musica: storytelling, fiction, interviste, biografie, documentari e quant’altro sarà possibile creare per intrattenere utenti e veicolare i messaggi di un Brand.
E se quanto discusso fin qui dovesse davvero essere nei piani di Spotify, sicuri che basterà ancora dire “si, ma la Radio è ben altra cosa”?
Con chiarezza, e non ci stancheremo mai di ripeterlo: oggi Spotify non ė un pericolo per la Radio ma crediamo possa diventarlo in un futuro non troppo distante, stante quanto fin qui raccontato; di contro, i Broadcaster hanno 90 anni di esperienza nella produzione di contenuti audio, musicali e non, e senza il supporto di alcun algoritmo.
È quindi prioritario che la Radio si doti delle competenze e delle tecnologie con le quali definire un modello di business applicabile nel contesto digitale, quello proprio di Spotify per capirci, da affiancare in logica complementare a quello "classico", ché con buona pace degli ultras dello streaming e dei mujaheddin dell’FM, qui non è questione di lineare o on demand, ma di lineare e on demand.
A bearded dude with over 20 years of adv experience who rides the line between be punk and be hipster.
4 anniE poi Lydia Frances Polgreen, ex direttore di HuffPost diventa Head of Content di Gimlet, per dire.