Sul 25 aprile di un partigiano minore
Il Partigiano "Gianduja", mio padre.
Mio padre fu partigiano, anche decorato con due medaglie tra l'altro.
Non è che lo ricordo solo oggi che è il 25 aprile, lo ricordo spesso, oggi forse un po' di più.
Tra qualche anno sarò uno dei più giovani figli di partigiani, uno degli ultimi ad aver sentito il proprio padre parlare di quei tempi. Non il nonno. Il padre. E' diverso.
Non è che facesse tanti discorsi a casa, li faceva in giro, specie se aveva bevuto qualche bicchiere di Barbera.
E io mi annoiavo anche un po', non li stavo a sentire poi così attento. Erano i suoi ricordi, parziali, intimi, di chi ha vissuto momenti difficili senza rendersene pienamente conto.
Mio padre salì in montagna scappando dai lavori di costruzione dell'aeroporto tedesco a Saluzzo, nell'inverno '44: un mattino, quando il treno rallentò alla stazione di Busca, saltò giù insieme a suo cugino e si incamminarono per Brossasco, Valle Varaita. Avevano evidentemente le informazioni giuste. Suo cugino resistette un mese, poi tornò a casa e si nascose fino alla fine della guerra.
Mio padre entrò nei GL di Giorgio Bocca, di cui conservò sempre una grande stima.
A dire il vero, non lo abbiamo mai visto festeggiare il 25 aprile e nemmeno presenziare a raduni o altre cerimonie.
Mio padre fu un partigiano minore, di quelli meno appariscenti.
Utile perché sapeva fare il pane, perché era un biondino gentile, parlava in dialetto e i montanari gli davano volentieri farina, uova e latte e lui cucinava, aiutava a preparare la sbobba insomma.
Aveva nome di battaglia "Gianduja", figuriamoci che paura faceva.
Il nome di un dolce. Esattamente lui.
Ogni tanto partecipava a qualche azione, saltò su una mina a Venasca, a Costigliole d'Asti si guadagnò gli onori della medaglia per un atto di eroismo.
Dalle motivazioni, mia sorella ed io non lo riconosciamo, quel giorno doveva essere proprio incazzato.
Perché mio padre fu forse l'uomo più mite che ho mai conosciuto e non avrebbe mai fatto la guerra, avesse potuto scegliere.
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Scelse, a 18 anni da compiere. Ed io sono orgoglioso della sua scelta ancor oggi, figlio di partigiano irriconoscente.
Fece la scelta giusta e mi insegnò che non bisogna mai stare dalla parte degli arroganti.
Lui non sapeva niente di politica, non era né fascista né antifascista, non è vero che fino al 25 luglio tutti erano fascisti.
I poveri, in campagna non erano niente, non sapevano quasi niente e semmai detestavano le cerimonie fasciste e i sabati a fare i buffoni con i moschetti di legno.
I poveri potevano capire una cosa sola: non stare dalla parte della violenza e dell'arroganza.
Mio padre aveva la quinta elementare. Quando leggeva Fenoglio non capiva niente. Quando leggeva Bocca o Nuto Revelli o Casavecchia capiva e borbottava o approvava o piangeva un po', perso nei ricordi.
Sono figlio irriconoscente di uno che per 15 mesi della sua vita rischiò la pelle per qualcosa di cui non aveva certezze assolute.
Grazie. Solo questo posso dirgli ora.