Torniamo in ufficio?
Al di là delle singole scelte aziendali il tema dello Smart Working duraturo o semipermanente, in ogni caso di lunga durata, obbliga ciascuno di noi ad alcune domande e insieme, o forse prima, ad alcune ammissioni.
Ammissione 1: i colleghi mi mancano. E non solo quelli che negli anni di lavoro e confronto sono diventati amici. Mi mancano i colleghi in generale, le loro voci, il guardarsi negli occhi. Il confronto serrato. E anche qualche battuta. Mi manca quella che chiamiamo un po’ impropriamente “la squadra”. Mi mancano i collaboratori, i colleghi, il mio capo…
Ammissione 2: mi manca l’ufficio. Mi manca cioè un luogo che non sia la mia casa. Un luogo dove il lavoro prende corpo. Dove i ruoli sono distinti. Dove l’identità, il sé lavorativo prende uno spazio suo. Vive una sua alterità rispetto a quella di casa. Un luogo anche monco di qualcosa, un luogo definito anche dai non: dove non leggo i miei libri, dove non sento la voce dei miei figli, dove non preparo da mangiare, dove non vedo film o serie tv. Un luogo dove penso in modo economico, dove penso ai clienti ai partner e dove lo faccio con altri, insieme.
Ammissione 3: Appena si è potuto, nel pieno rispetto delle regole sociali, e delle policy della mia azienda sono uscito da casa di corsa e sono volato fuori, verso gli altri. Ed è stato veramente molto bello. Viaggiare, guidare, prendere il treno, confrontarsi di persona con alcuni colleghi, clienti, partner, riprendere a disegnare il futuro.
Ma quindi lo smart working? Al di là dell’azienda nella quale lavoro, che ha avuto peraltro al riguardo un approccio molto chiaro e illuminato, io trovo lo Smart Working una conquista collettiva straordinaria. Un passaggio, una verifica e un cambio di paradigma culturale tra le poche cose buone di questo periodo difficile che non dobbiamo assolutamente perderci. Qualcosa che mette la responsabilità al centro di tutto. Quell’agire come se fossimo controllati ma senza esserlo perché ciascuno di noi gode della fiducia della propria organizzazione, e valorizza questa fiducia attraverso la responsabilità. Oggettivamente, una chiave molto evoluta di interpretare il lavoro.
Tutto perfetto quindi? Io per la mia esperienza vedo alcuni limiti in una vita professionale totalmente mediata da schermi, computer, tablet. Una vita cioè vocale, e visiva ma senza corpi.
Penso che per costruire serva fiducia. E ciascuno ne aveva una riserva che in Smart Working ha impiegato e speso: con la famiglia, con il team, con i clienti, etc. Ma se dobbiamo costruire il nuovo, e dobbiamo, è necessario uscire dalla zona di comfort andandogli incontro. Nuove persone, nuovi luoghi, nuove idee, nuovi business. Serve un nuovo capitale di fiducia, per così dire, incrementale. Fiducia che è minata dai limiti che il virus impone, e quindi prudenza e accortezza ci devono accompagnare come fattori abilitanti, ma per costruirla uno schermo e delle cuffie non bastano. Serve l’incontro con l’altro. Serve la presenza. Servono i corpi, le voci, gli ambienti, gli odori. Serve visitare i luoghi. Avere percezioni. Poter essere scrutato e compreso. Serve mangiare insieme, condividere uno spazio, ospitare ed essere ospitati. Serve in pratica essere nella disponibilità dell’altro e viceversa. Per fare questo, non va affatto dimenticato quanto è accaduto, anzi, non va dimenticato che il virus ancora circola e continuerà a farlo pericolosamente, e non vanno dimenticati gli sforzi e i sacrifici fatti, e nemmeno va replicato l’eccesso di spostamenti ingiustificati che ha stressato e inquinato le persone e l’ambiente. Semmai vanno ricordati molto bene. Così bene da sapere cosa fare e non fare per ricostruire un sistema di relazioni sicure, protette, con processi corretti misurati e tracciati. Ma pur sempre delle relazioni vive, pulsanti, tra persone intere. Qualcosa che costruisca con fiducia, già da oggi, il lavoro e il mondo di domani. Al di là di qualunque schermo.
Grazie Paolo. Il tuo articolo mi è piaciuto molto perché ho sentito mie le tue ammissioni. E poi hai spiegato bene le due parole fondamentali su cui vivere il presente e costruire il futuro: fiducia e responsabilità. Mettiamoci al lavoro!
Solution Architect at Enel Italia S.r.l
4 anniAnche io lavoro in Enel, ma la mia realtà di informatico è un po' diversa: la mia squadra, da anni ormai è sparsa su tutto il territorio nazionale, quindi tornare in ufficio per continuare a lavorare con cuffia e microfono non mi darebbe nessuna marcia in più e non credo che a breve si possa tornare a gruppi di lavoro locali. Comunque anche a me un po' manca il clima dell'ufficio. Speriamo di poter tornare presto a una "nuova " normalità dove si trova un un'equilibrio migliore tra i tempi del lavoro e quelli di vita
Professore di Organizzazione Aziendale e Dean for Executive Education di MIB School of Management - Università di Trieste
4 anniBen scritto Paolo, mi ci ritrovo in pieno, ma non sarà perché siamo della X generation?
Direttore Italia Enel Group e Amministratore Delegato Enel Italia SpA
4 anni👍
Head of Direct Stores | Piemonte e Liguria |Enel
4 anniPaolo...pensieri verissimi. Ogni cambiamento, voluto o meno, transitorio o definitivo, condiviso o individuale, permette di valorizzare ancora di più i plus di ciò che si "aveva" e che manca come dici tu. Sicuramente l'intelligentia dell'uomo nell'adattamento fortunatamente favorisce la valorizzazione degli aspetti positivi di una condizione "nuova" e lo spinge a tesaurizzare i momenti che -"nuovi o non nuovi- lo fanno stare bene e sentire anche professionalmente soddisfatto.