Trade Runner

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Nell’aprile 1968 un computer batteva per la prima volta sugli schermi cinematografici un essere umano. HAL 9000, il capostipite di una serie di intelligenze artificiali sempre più instabili, non si accontentò di battere a scacchi l’astronauta Poole; dopo pochi minuti lo uccise assieme ad un gruppo di altri, ibernati nell’astronave. L’unico superstite riuscì tuttavia a disattivare il computer facendolo regredire all’età infantile e vincendo temporaneamente la guerra uomo-macchina.

HAL fu il primo esempio di computer psicotico della nostra storia. Fu poi seguito da macchine sempre più umanoidi come Ava (del film Ex machina) o i replicanti di Blade Runner, tendenti contestualmente all’autodeterminazione ed alla schizofrenia (oltre che ad una irresistibile – e talvolta condivisibile – avversione verso il genere umano).

Da allora abbiamo spostato la finzione dallo schermo alla realtà. Deep blue di IBM ha rotto il ghiaccio sugli scacchi.

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La partita sui mercati finanziari

Qualcosa di simile sta avvenendo oggi su altre scacchiere: quelle del trading finanziario. E anche qui l’uomo sta abbandonando la partita prima del tempo.

I computer non hanno la fragilità delle emozioni e le loro scelte di trading sono determinate da memorie illimitate e da una logica ferrea: fare la mossa più efficiente tra le opzioni razionali disponibili nella loro memoria. Tali esperienze, un tempo impostate ex ante dal programmatore (Deep Blue o Hal, erano due pesi massimi del calcolo istantaneo ma conservavano una memoria rigida), sono oggi sviluppate in auto-apprendimento dal computer stesso. E qui entriamo nella magia della conoscenza e dell’autodeterminazione: l’uomo determina solo come la macchina maturerà le sue esperienze, sta al computer definire, tramite algoritmi (Algos), le correlazioni chiave tra le variabili e le azioni più efficienti da effettuare.

Oggi la metà degli scambi nei mercati futures più evoluti è effettuata computer su computer, mentre un restante 40 percento di transazioni nasce in maniera passiva replicando indici o variabili chiave. Di fatto solo uno scambio su 10 è concepito da una rete neurale di origine biologica (e quindi con tutti gli elementi di forza e fragilità della mente umana). I restanti 9 scambi implicano l’utilizzo, almeno per una delle due parti, di un sistema di decisione artificiale. Nelle commodity gli algoritmi controllavano (nel 2016) oltre il 60 percento degli scambi di petrolio, il 45 percento degli scambi del grano e il 54 percento dei metalli preziosi. E il 90 percento degli scambi sulle valute.

 Le insidie degli algoritmi

Il trading automatico, anaffettivo e istantaneo, nasconde, tuttavia, insidie che non abbiamo completamente compreso. Infatti gli algoritmi che collegano tra loro diverse variabili, aprendo o chiudendo in frazioni di secondo migliaia di posizioni finanziarie, generano un processo che massimizza il peso delle variabili di breve o brevissimo termine, dei newsflow di maggior frequenza e dei dettagli che arrivano dalle regioni economiche più trasparenti. Si perde il peso dei fondamentali, mentre aumenta il ruolo delle correlazioni di breve termine e degli arbitraggi temporanei. Inoltre, non viene considerato in alcun modo se il segnale di prezzo sia adeguato a costruire un business sostenibile. L’obiettivo del trading quantitativo è lo scambio al Margine, non l’individuazione di una posizione da mantenere per 12-18 mesi come facevano anche gli operatori più rapaci, gli hedge fund tradizionali.

Inoltre si sta attenuando la peculiarità di ogni singolo mercato (che sia quello del petrolio o del rame o del caffè), mentre aumenta il peso delle informazioni macroeconomiche per guidare le scelte sui singoli settori.

Insomma un processo così quantitativo porta a estremizzare il valore dei dati di input, massimizzando il peso delle correlazioni delle variabili pubblicate con maggior frequenza (che nel processo di deep learning diventano ancor più rilevanti), e limita lo sguardo al brevissimo termine (dove la correlazione tra i dati, come nelle previsioni del tempo a poche ore, è più immediata e diretta).

 La ritirata dei trader umani

L’aspetto più sinistro del trading Algos è però l’uscita degli operatori tradizionali e del loro contributo quotidiano. Infatti la difficoltà di operare in mercati così complessi e troppo volatili, spinge gli umani (come gli scacchisti Poole o Kasparov) a rinunciare. Paradossalmente sono gli stessi attori che venivano accusati di alimentare la volatilità dei mercati, gli hedge fund, a pagare il conto.

L’idea di poter identificare un punto debole del mercato attraverso la conoscenza dei fondamentali è travolta dalla rapidità di analisi dei quantum fund che assicurano rendimenti più elevati. I grandi e storici hedge fund sono costretti a chiudere (manco fossero le librerie di quartiere spazzate via da Amazon). Nel 2018, sono rimasti operativi sulle commodity appena 130 hedge fund dei 368 presenti sei anni fa.

Andy Hall, soprannominato “Dio” per le sue qualità di prevedere l’andamento dei prezzi del greggio, ha chiuso nel 2017 il suo Astenbeck Capital Management Commodity Fund. La stessa cosa hanno fatto anche i fondi specializzati di Clive Capital e Centaurus Capital. E Brevan Howard ha chiuso a novembre 2018. Anche sul cacao, il famigerato “Chocfinger”, al secolo Anthony Ward ha chiuso il fondo nel 2017. Secondo Ward il trading automatico in passato creava distorsioni tra il 10-15 percento rispetto ai valori dei fondamentali, un livello “fastidioso ma gestibile”. Oggi quel valore sarebbe tra il 25-30 percento. L’ascesa delle macchine sta iniettando una grande volatilità nei mercati e “investire nelle attuali condizioni di mercato, utilizzando un approccio basato principalmente sui fondamentali è diventato sempre più impegnativo”. Scriveva così Andy Hall sulla lettera di epitaffio del proprio fondo.

Stiamo abbandonando la partita e ci stiamo gustando l’ebbrezza del trading digitale. Invochiamo la necessità di un focus sul lungo termine, di un mercato più equo e meno speculativo, ma allo stesso tempo stiamo applicando un modello sempre più oscuro, volatile e corto di visione.


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