La trappola delle vacanze

La trappola delle vacanze

Le vacanze sono una trappola linguistica e mentale, ma non per le ragioni che girano online. Non è certo una questione di "mancata produttività": una delle cose che ci servono, nei nostri ritmi, che siano un allenamento, la veglia o il lavoro, è il riposo. 


E allora? Permettimi di fare un passo indietro di carattere linguistico e uno biologico/psicologico. 

Le vacanze sono una creazione umana: non esistevano fino a pochi decenni fa. E sono una manipolazione linguistica chiamata dicotomia, una divisione artificiale in due parti, che esclude tutto il resto. 

Noi funzioniamo per categorie e ci concentriamo su quello che è davanti ai nostri occhi: se entriamo in una "pizzeria", diamo per scontato che dovremo mangiare una pizza, anche se la loro pasta è buonissima. 


Nelle dicotomie, escludi tante scelte e poni le persone davanti a un dilemma. Vuoi carne o pesce? Mi aiuti o no? Mare o montagna? Lavoro o tempo libero? La persona, automaticamente, si concentrerà su quelle due scelte, escludendo il resto. 


Nella costruzione della vita della persona media - che, in una recente survey, ha dichiarato, nell'80% dei casi, di detestare il proprio lavoro - le vacanze fanno parte di una dicotomia artificiale lavoro/tempo libero. Non spendo parole sul fatto che il tempo senza lavoro sia definito "libero", perché se no non finiamo più. 


Ora, tra fine settimana e vacanze, la persona media ha 150 giorni "liberi". Il sistema dice alla persona "riposati". Per 150 giorni? Non ti sembra un po' eccessivo? 


Una grande industria è nata da questa dicotomia: come ha detto una manager di una multinazionale con cui ho lavorato "benedetto il fine settimana, le persone al lavoro non spendono". Quindi, le persone che detestano il lavoro, sono "invitate" a riposarsi per 150 giorni all'anno. Pagando per servizi, intrattenimenti e tanto altro. Prima lavorano, poi spendono per sopportare il lavoro. L'economia così regge. La persona un po' meno.  


Prova a pensare se avessero detto: il sabato è il giorno per lo sport e avessero dato servizi, e creato un mercato, per questa giornata. Ci saremmo riposati comunque molti giorni, ma molte persone sarebbero molto più in forma. E molte altre sarebbero ancora vive. 

Oppure "la domenica è il giorno della lettura": avremmo avuto tre scelte: lavoro, riposo, lettura. E saremmo state persone molto più libere mentalmente. 

Invece c'è questa enorme dicotomia che le persone prendono alla lettera e che le annulla, proprio perché nel riposo "non si fa nulla". Certo, poi alcuni leggono, si sta in famiglia, ma senza un progetto, senza una direzione. Quindi, il lavoro assume un'importanza enorme, totalizzante, perché è l'unico progetto di molti, un progetto che tra l'altro detestano. 


Non è finita, ti prego di seguirmi ancora per un po', poi trarrai le tue conclusioni - lungi da me importi il mio pensiero. 

Parlavo di un secondo elemento biologico/psicologico. 

L'essere umano tende a compensare piuttosto che a risolvere. Se io torno stressato dal lavoro, non mi preoccupo del fatto che sono stressato tutto il giorno, ma mi siedo davanti alla televisione, magari con un gelato o delle patatine. Il cibo spazzatura è uno dei modi con cui milioni di persone compensano il loro malessere. Funziona, nel brevissimo termine. Milioni muoiono, e altre ancora stanno male, nel lungo. 

Così, chi non sta bene nella relazione in cui è tradisce, invece di risolvere, chi sta male beve qualche bicchiere di vino in più, oppure addirittura si droga. Chi ha tanta rabbia dentro, invece che gestirla e farla scomparire, la scarica su figli e figlie, colleghi e colleghe e chiunque capiti a tiro. 


Le vacanze sono state create proprio per questo meccanismo: diamo un lavoro alienante alla persona, ma diamo anche tanto, tanto tempo per recuperare, per compensare. Così accetterà quel lavoro, perché sopportabile. 

Se tu ami il tuo lavoro ed è parte del tuo progetto di vita, avrai capito che questo articolo non è per te ed è tempo di lasciarmi.

In effetti, l'ho pubblicato adesso, alla fine delle vacanze, proprio perché volevo che chi ha invece un grande nodo allo stomaco a pensare di tornare in ufficio, senta le sensazioni che in questi giorni la assalgono. 


 Se la vacanza è compensazione, se non vedi l'ora che arrivi il fine settimana o la vacanza perché "non ne puoi più" e vedi il lavoro come una prigione, il mio consiglio è quello di fare un grande, enorme passo indietro e impedire che questa dicotomia artificiale che ti hanno imposto pervada la tua vita. Perché, anno dopo anno, la vita sarà sempre uguale: lavoro, riposo, due/tre settimane al mare, fino alla morte. Lascio a te decidere se è la vita che vuoi. 


Non sono quindi contro le vacanze, anche perché sono diventato un "professionista del riposo". Vedo però che non funzionano per niente: le persone tornano dal fine settimana con giusto l'energia per sopportare un'altra settimana. E tornano a settembre con giusto l'energia per tirare fino a Natale. 

 Se fai parte di questo gruppo, il mio consiglio è quello di riflettere e magari non accettare più una dicotomia rigida come quella lavoro/tempo libero perché, permettimi, è una grande fregatura. 

 Non per produrre di più, ma per essere molto più felici. 


  

Condivido la tua riflessione sulla dicotomia tra lavoro e tempo libero e come possa influenzare le nostre vite.  Mi ritrovo in una frase di Confucio: "Fai il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno della tua vita". Ho seguito questa citazione per tutta la mia vita professionale, è estremamente motivante. Non è sempre stato facile lo riconosco, ma anche nei momenti difficili ho sempre cercato di indirizzare le mie forze nel rendere le collaborazioni appaganti e stimolanti. Oggi trovo entusiasmo e realizzazione personale nel mio lavoro e nella mia vita.  È vero però, che è più facile compensare anziché risolvere le sfide, ma credo che possiamo superare questo comportamento quando mettiamo amore in ciò che facciamo. Potrebbe sembrare una frase sdolcinata, ma trovare una professione che ci appassioni può spezzare il ciclo di stress e compensazione, trasformando il lavoro in un'opportunità di crescita e realizzazione, dobbiamo cercare un equilibrio che ci permetta di vivere vite più appaganti e serene, per noi e per chi ci sta accanto. Spero che sempre più persone possano scoprire la gioia di svolgere un lavoro che ama, raggiungendo la realizzazione personale che non farà sentire l’esigenza di “staccare”.

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