Umberto Veronesi: la scienza sta all’immaginazione come l’arte sta alla fantasia
L'oncologo Umberto Veronesi, nato a Milano il 28 novembre 1925 e morto l'8 novembre 2016

Umberto Veronesi: la scienza sta all’immaginazione come l’arte sta alla fantasia

Cosa hanno in comune gli uomini di scienza e gli artisti? È la domanda con cui iniziò il mio incontro con l’oncologo Umberto Veronesi, grande appassionato di musica e padre di Alberto, direttore d’orchestra. Avvenne all’inizio del 1999, nel suo studio privato di via Tommaso Salvini a Milano. Ne venne fuori un racconto fiume sulle proprietà dell'arte sonora, ivi comprese quelle terapeute. È un'intervista inedita che, a un anno esatto dalla morte del professore (avvenuta l’8 novembre 2016 a Milano), mi piace condividere su LinkedIn.

Umberto Veronesi, cosa hanno in comune il mestiere dello scienziato e quello del musicista?

«Scienza e arte hanno molti elementi in comune. Anzitutto l’immaginazione e la fantasia, che alimentano la capacità creativa, così come l’uso di tecniche e strumenti per esprimersi e per rendere comprensibili agli altri le proprie realizzazioni. L’elaborazione del linguaggio musicale si avvicina ancora maggiormente all’elaborazione del linguaggio matematico o fisico – ricordate quell’immagine del Nobel Einstein abbracciato al violino in occasione del suo cinquantesimo compleanno? –, perché in ambedue i casi si tratta dello svolgimento di un’attività ideativa astratta anche se, sia per la musica che per le scienze fisiche o matematiche, vi sarà poi una traduzione nel mondo concreto. La ricerca medico biologica si stacca viceversa dalla ricerca musicale per il suo carattere deterministico. L’obiettivo non è più solo speculativo, ma rivolto alla salute dell’uomo. Ambedue, però, si sviluppano in seno alla tradizione solo fino a quando la tradizione è una necessità essenziale al mantenimento degli scopi primari. In campo musicale possiamo fare l’esempio della dodecafonia – secondo Schönberg una pura “necessità” determinata dal corso della musica del XIX secolo – che ha rotto a suo tempo la tradizione musicale, con coraggio, ma con il rischio di creare una frattura tra il mondo della produzione musicale, dei compositore e quello della fruizione musicale, cioè degli ascoltatori: un rischio, che sembrava quasi materializzarsi all’inizio del secolo, ma che fortunatamente non si è realizzato. In campo medico, la ricerca clinica più attuale, fondata sulla manipolazione del DNA, rischia di creare una frattura tra il mondo della ricerca biomolecolare e il resto dell’umanità, che dovrebbe, viceversa, essere l’oggetto finale cui applicare i risultati della ricerca».

Ci si può “ammalare” di musica?

«La musica nasce negli esseri viventi prima della parole e il primo strumento musicale è rappresentato dalle corde vocali. Basi pensare alle capacità musicali dell’usignolo per rendersene conto. Le nostre cellule cerebrali, quindi, sin dai primordi si sono organizzate per percepire la musica, o una successione di determinati suoni, come un linguaggio vero e proprio. Ma il nostro sistema nervoso è anche forgiato per “elaborare” il messaggio musicale e farlo proprio. Una struttura musicale elementare è facilmente e rapidamente assimilabile (come nella musica popolare o come accade nelle caserme per il suono della tromba che suona la sveglia al mattino e il silenzio la sera), mentre una composizione musicale complessa è accettata dal sistema nervoso centrale con maggiori difficoltà e in tempi più lunghi. Una volta però entrata nella corteccia cerebrale vi rimane permanentemente depositata e può essere immediatamente riportata alla coscienza sotto lo stimolo del riascolto. Il processo di riascoltare un brano musicale già noto – cito Mahler e la Settima, seguendo il filo d’Arianna della musica e della fisica, che proprio nel 1905 innescava il principio della relatività – crea un senso di piacere e diviene naturale il sorgere del desiderio di questo piacere. Siamo vicini a un meccanismo di “condizionamento” relativo, non dissimile agli altri più comuni condizionamenti. La prima sigaretta, come tutti sanno, crea una forma di rigetto e, solo dopo molte sigarette e molto tempo, il fumatore prova piacere».

Meccanismo analogo all’“assuefazione” musicale?

«Certamente. Se a una persona musicalmente non coltivata somministriamo un quartetto di Beethoven – ad esempio l’opera 133, “ora libera, ora rigorosa” come scrisse l’autore nell’edizione originale in fuga verso la pura geometria delle quattro note (B=Si bemolle, A=La, C=Do, H=Si... è il nome di Bach, perbacco!) che suturano l’intera composizione, avremo un rigetto iniziale, ma dopo molti ascolti si potrà giungere all’apprezzamento e al piacere che, con il progredire degli ascolti e con l’aumento delle varietà degli ascolti, diventerà sempre più intenso. Questo condizionamento alla musica può avvicinarsi alla condizione della malattia. Essere “malato di musica” non è una frase fatta, ma una condizione di vita per cui, per mantenere un buon equilibrio o per godere di un livello adeguato di serenità – pensiamo solo a Filippo di Spagna “guarito” dalla depressione grazie agli acuti di Farinelli oppure ai pazienti di un ospedale parigino sottoposti alle cure intensive del pianismo di Liszt – la musica diviene una necessità. In molti casi, la carenza di musica può condannare alla solitudine psichica, mentre un brano musicale amato può rappresentare una preziosa compagnia. Queste sono anche le ragioni che danno spesso alla musica la funzione di accompagnare un particolare evento, amplificandone il significato. Basti pensare alla musica sacra che si accompagna alle rappresentazioni rituali degli atti liturgici – che so, il sermone del vespro del Venerdì Santo incorniciato l’11 aprile del 1727 dalla Passione secondo Matteo di Bach – o alla musica da film, che sottolinea gli eventi percepiti visivamente – dal leitmotiv maestosamente “russo” di Ivan, uscito fuori dal cilindro di Prokofiev, al tema fiorito dell’oboe di padre Gabriel all’inizio di Mission, girato da Joffé a suon di Morricone».

La musica, dunque, è un bisogno vitale?

«Poiché la musica crea delle emozioni e le emozioni sono gli elementi vitali per eccellenza, possiamo dire che essa può diventare un bisogno del nostro elaboratissimo sistema nervoso centrale. Da questo condizionamento, o se si vuole da questa malattia, non si guarisce, anche perché nessuno vuole guarire. È un condizionamento non pericoloso, una malattia molto benigna, anche gradevole, come tanti altri condizionamenti o malattie psichiche, prima tra tutte l’innamoramento. L’innamoramento, nella sua fase più acuta addirittura una malattia, è certamente un condizionante, ma chi è innamorato non desidera abbandonare questa condizione di esaltazione psicologica. È così anche per l’ammalato di musica, dal momento che non ha nessuna voglia di guarire».

Il tumore non guarda in faccia a nessuno. Lo dimostra la fine sofferta di Cimarosa, Rossini, Brahms, Debussy, Puccini, Gershwin, Rachmaninov, Bartók, Casella, Sibelius, Grainger, Graziani, Battisti e De André. Statisticamente parlando, fa più vittime il cancro o la cattiva musica?

«Le vittime dei tumori sono tragicamente molte, anche se la mortalità per questa malattia comincia a declinare. Chi però sopravvive ritrova se stesso in una condizione filosofica nuova, più consapevole, più matura, fatta di saggezza e di capacità ad appropriarsi dei valori essenziali dell’esistenza, trascurando gli aspetti della controversa quotidianità. Chi è vittima della cattiva musica, o che comunque convive con la cattiva musica o addirittura chi ama la cattiva musica, mai si riscatterà. Va però sottolineato che buona o cattiva musica sono definizioni soggettive, legate anche al periodo storico, alle abitudini, alle mode e a influenze di vario tipo, orientali, africane, americane e via dicendo».

Angelo Berardi, compositore e teorico bolognese del XVII secolo, sottolineò come la musica fosse «attissima à rendere la sanità del corpo», dimostrando che «i più famosi medici sono stati insieme musici di gran nome». Che musica suonano i bisturi di Umberto Veronesi?

«La musico-terapia (o meloterapia) è ormai vecchia di secoli. Che sia in grado di attenuare tensioni psichiche e che sia quindi efficace nelle malattie mentali, non vi sono dubbi. Molti medici famosi – penso ad esempio a Giorgio Baglivi, considerato il maestro dei clinici italiani – la propugnarono anche per malattie organiche come il diabete o infettive come la malaria. Io penso che le applicazioni della musica in senso terapeutico dovrebbero essere allargate e più ricerche dovrebbero essere dedicate a questo mondo da noi ancora poco esplorato. Negli Stati Uniti, nello Stato del Michigan, è stata istituita una seguitissima cattedra universitaria che conferisce diplomi in musicoterapia alla fine di un corso di studi quadriennale. Sarebbe importante intraprendere anche da noi un tentativo di applicazione della musica in campo terapeutico, dando ampio spazio al suo insegnamento».

@filippo_poletti

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Veronica Roberto

AM Sales & BD at Teleconsys SPA | #ICT #ModernApp #CyberSecurity #DigitalTransformation #OpenInnovation | Luxury, Fashion, Retail, University, Pharma.

7 anni

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Lara Albania, PhD

Presidente @Innovasteam | ★Innovation in STEM: R&D consultant and EU project manager ★Diversity and Inclusion in STEM: consultant, career coach/teacher

7 anni

Il pensiero moderno ci ha insegnato a separare spesso troppo rigidamente mente e mondo, fatti ed emozioni. Tuttavia se guardiamo agli innovatori del passato, questi non sono mai stati catalogalizzabili ad una disciplina, ad una specializzazione, ad un singolo mondo scientifico od umanistico. Come a dire che l'apertura mentale si rende necessaria...e viceversa diventa un lerning transfer, di metodi ed approcci, ma con una visione e una sfumatura contestale differente. Valorizzazione dell'apurteru mentale.STEAM!

Cesare orlandini

libero professionista cardiologo ed endocrinologo

7 anni

Non mi risulta che abbia scoperto alcunché. Abilissimo nelle public relations e nel fare fumo.

Cesare orlandini

libero professionista cardiologo ed endocrinologo

7 anni

Forse intendeva l'immaginazione sul miglior modo di fare soldi .

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