Vendere, vendere, vendere: differenze tra buyer journey nel B2B e nel B2C.

Vendere, vendere, vendere: differenze tra buyer journey nel B2B e nel B2C.

Inbound Marketing e Buyer Journey: per vendere bene occorre capire chi ci sta davanti (e non vendere aria fritta, aggiungo)

In questi giorni di “lentezza” forzata, mi sono messa a rileggere i vecchi appunti dei tempi dell’università, ispirata dai nuovi corsi di marketing di HubSpot che la mia azienda ci ha regalato. Per chi non lo avesse presente, HubSpot è un software di CRM che permette di immagazzinare i contatti e farli fiorire passandoli dal marketing alle vendite. Ovviamente, tutto dipende da chi e come lo si usa, ma tant’è. La cosa bella è che ha tutta una sezione di Academy dedicata non soltanto al software stesso, quanto a argomenti più ampi di marketing: inbound, digital e via dicendo.

Il primo corso che ho fatto è stato quello di Inbound Marketing e Sales, che per farla breve spiegava come il futuro delle vendite sia appunto nell’inbound (nell’attirare verso l’interno), e non nell’outbound (cioè nella pesca da dentro per fuori). Una regola d’oro, su cui devo dire che banalmente mi trovo totalmente d’accordo.

HubSpot si propone come tool per le vendite B2B e B2C anche se devo dire – forse per deformazione professionale – che lo trovo molto più utile per il B2B. In effetti, semplificando, il punto dell’Inbound Marketing è di coinvolgere il potenziale cliente con dei contenuti che possano essere di supporto per lui.

Non sto dicendo che non si possa fare con il B2C – è pieno di blog aziendali che raccontano come usare un ombretto, come fare una cheesecake con un philandelphia – penso solo che sia molto più efficace nel primo caso perché coi consumatori ci sono spesso altre leve – l’impulso, l’aspirazione – che non hanno peso sul B2B.

Tuttavia, penso che ci siano dei punti di incontro tra il buyer process del consumatore e del manager. Come raccontano diverse teorie della Consumer Behaviour è dalla consapevolezza dell’individuo di avere un nuovo bisogno che nasce la ricerca di un prodotto o servizio. Per altri ancora, è la comunicazione che arriva dall’esterno ad influenzare e indirizzare il cambiamento (nel mio caso, ad esempio, il fatto che un’azienda competitor y vendesse in Cina, ha fatto sì che l’azienda x ci avvicinasse per desiderio di emulazione).

La nascita del desiderio nel Buyer Process

Le cause principali che portano il potenziale buyer a desiderare un nuovo prodotto o servizio possono essere cambiamenti:

  • dello stato attuale: l’esaurimento delle scorte disponibili (o il termine di un contratto di servizi, nel caso del B2B), l’insoddisfazione o il cambiamento della situazione economica (necessità di stringere il budget o nuove risorse, nel mondo che vorremmo);
  • dello stato desiderato: il cambiamento nei bisogni e desideri, la disponibilità di nuove informazioni, l’acquisto di nuovi prodotti.

Awareness, Conversion, Decision

La ricerca delle informazioni e la valutazione nel Buyer Process

Una volta stabilito il bisogno, il buyer inizia a ricercare le informazioni (sia nella memoria, che ex novo, su internet o tra i propri contatti). Gli aspetti più rilevanti in questo momento sono il tipo di informazioni ricercate e le fonti di informazione disponibili sul mercato.

Bisogna tenere conto che:

  • sul mercato esistono più alternative tra cui scegliere (agenzia x o y, rivenditore di merendine x o y);
  • i criteri di valutazione (es. convenienza) facilitano la previsione delle conseguenze della scelta per ogni alternativa (prezzo per gestione di un social o prezzo a pacchetto di merendine)
  • l’individuo usa regole decisionali e procedure di valutazione per determinare l’alternativa da scegliere (es. “quell’agenzia di comunicazione la voglio perché è famosa”).
  • le informazioni usate per le decisioni derivano da fonti esterne così come dalla memoria del consumatore (il sito di un’agenzia come di un referral da parte di un manager di un’azienda vicina nel caso del B2B).

Le tipologie di processi decisionali in base livello di coinvolgimento: tempo e impegno

In base al tipo di coinvolgimento, un processo di scelta può durare più o meno tempo.

Prendete sempre d’esempio il famoso pacchetto di merendine: impegno e tempo saranno pochi – il rischio percepito è lieve (se sbagli al limite le dai a tuo fratello), per una macchina sarebbe già diverso.

Nel caso del B2B questo si riflette allo stesso modo, se il buyer deve comprare un servizio mensile disattivabile e poco costoso tendenzialmente non impiegherà grosse risorse per scegliere, mentre se si tratta di fronte a un impegno costoso e in lungo termine, sarà più propenso a cercare diverse fonti, confrontare più preventivi e chiedere confronti a più persone possibili.

Un altro tema è quello del livello di conoscenze disponibili, per cui si possono avere:

  • processi decisionali estensivi (es. acquisto auto nel B2C, acquisto di un servizio di marketing integrato e annuale nel B2B)
  • processi decisionali limitati (a partire dalla conoscenza della categoria di prodotto)
  • processi decisionali routinari/imitativi (schemi cognitivi e comportamentali consolidati; abitudinari/esperienziali/emozionali).

Come dicevamo, tanto più il coinvolgimento dell’individuo è elevato, tanto più la scelta prevedrà un comportamento decisionale di tipo estensivo: sarà disposto a cercare il maggior numero di informazioni disponibili perché la decisione è particolarmente rilevante. Portandovi un esempio personale, io mi occupo di Marketing in Cina: sebbene i professionisti in grado di avere una visione comprensiva di questo particolare mercato siano sempre di più, le barriere all'entrata (comprensione, tempi, costi) sono spesso un tema che spinge i miei contatti a chiedere più informazioni. Primo, perché non si tratta di informazioni sempre facili da reperire (prova a capire come fare un account WeChat senza parlare cinese...), secondo perché devo essere necessariamente approfondite caso per caso.

Quando c’è una conoscenza della categoria di prodotto accumulata nel tempo, si parla di processo decisionale limitato. In questo caso, il processo è meno impegnativo rispetto a chi deve costruire da zero la conoscenza di quel prodotto/categoria.

Ci sono poi processi routinari e imitativi che riguardano soprattutto gli scenari B2C, come per quei prodotti banali per cui non si vuole perdere tempo (es. carta igienica).

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La decisione

Tutto quello che abbiamo visto è un processo che viene denominato “Problem Solving”. Possiamo dire che è un procedimento che spiega molto bene il comportamento di un individuo nel B2B, meno quello nel B2C. Perché? Perché ci sono temi che un approccio del genere non spiega – e che non si possono certo verificare in ambiti aziendali: la ricerca della varietà e l'acquisto d’impulso (quando mai si compra una gestione annuale di un sito perché ci alza così al mattino?)

So what? Cosa ce ne facciamo di questi schemi di acquisto?

Be’, innanzitutto ci passiamo i tempi morti della quarantena…

No, scherzi a parte, sicuramente in ottica di B2C, le conseguenze sono tendenzialmente già considerate negli uffici marketing e di ricerca sul consumatore. Sul B2B invece, in cui lo studio sul comportamento di acquisto ha storicamente avuto un valore diverso, la grande implicazione è quella di considerare il processo decisionale del buyer in ogni suo momento, e quindi di stargli accanto e aiutarlo a venire a capo di una scelta difficile.

Talvolta, questo potrebbe voler dire anche consigliargli che il nostro servizio non fa a caso suo, ma d’altronde bisogna essere sinceri nelle vendite, vendersi anche la nonna paga solo all’inizio, la cosa più vera nella teoria delle Inbound Sales è la costruzione di un rapporto solido, duraturo e più sincero possibile.

E voi, cosa ne pensate? Applicate già questo tipo di approccio? Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate, any comment is welcomed!

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