Vision2030; tra ombre e prospettive
Da diversi mesi sto ormai svolgendo un intenso lavoro di preparazione per un articolo da pubblicare sulla rivista IAPSS chiamata Politikon. Oggetto di tale articolo dovrà essere appunto il programma Vision 2030; più precisamente il modo in cui potrebbe cambiare l'Arabia Saudita.
Ma andiamo per gradi.
Innanzitutto debbo esplicitare una premessa che probabilmente richiamerò anche in seguito, dando così a questo mio intervento una chiusura circolare. Se qualcuno pensa che questa sia una sede di esclusiva denuncia riguardante la violazione dei diritti fondamentali nel paese in esame eviti di leggere quanto segue; così come dovrebbe farlo chiunque ritenga che, parlando del Regno Saudita, altro non si debba trattare se non la questione dei diritti umani.
Ovviamente le tematiche sopra menzionate rappresentano una questione più che mai fondamentale che pretende di essere approfondita; ma qui ci si concentra sui risvolti geopolitici di un fenomeno troppo spesso ignorato in nome di uno strano "perbenismo" che oggi affligge il modo di condurre la politica estera dell'Occidente, il quale un tempo sapeva essere molto più cinico e calcolatore. In politica estera bisogna saper abbandonare ogni morale così da abbracciare l'unico suo vero fine: soddisfare i propri interessi nazionali.
Ebbene eccoci giunti al nostro punto focale.
L'oggetto della nostra analisi risulta essere il corollario degli effetti prodotti dal programma Vision 2030 nel panorama saudita. Ci domandiamo, da un punto di vista squisitamente politologico, quanto un programma nazionale nato per diversificare l'economia possa in realtà modernizzare anche la società della nazione promotrice. Inoltre, in seconda battuta, dobbiamo poi sapere se tutto questo possa costituire un'opportunità anche per noi in veste di attori esterni.
Partiamo dal primo quesito. Come già anticipato, Vision 2030 nasce per traghettare l'economia saudita dalla specializzazione sul petrolio ad una gamma di settori diversificati. Che cosa significa? In breve: ragionare sul futuro. Le risorse si stanno esaurendo e il mondo guarda con buon occhio all'abbandono dei combustibili fossili in favore dei loro nuovi sostituti rinnovabili. E un paese fino ad ora rinomato per essere uno degli esportatori di risorse fossili per eccellenza si pone degli interrogativi sul proprio ruolo nell'economia del domani.
Dunque la parola d'ordine è diversificare. A partire dalla seconda metà degli anni Dieci, ovvero quando il progetto è stato implementato, si è cominciato a perseguire una vasta serie di obiettivi che continueranno a susseguirsi sino al 2030; anno scelto convenzionalmente come termine della missione di rinnovamento. In effetti, guardando il sito ufficiale del programma (tra i link allegati in calce), la varietà di obiettivi e programmazioni proposte è impressionante. Si passa dal minerario all'immobiliare, dall'arte all'informatica, dalla logistica alla difesa.
Ma se ci fosse di più? Se questa diversità, generata da continui investimenti, producesse una modernizzazione sociale e non solo economica; il punto è come.
Aprendo il manuale di Scienza Politica al capitolo trattante i cosiddetti regimi non democratici troveremmo a un certo punto la descrizione di quelli che in gergo politologico sono chiamati "regimi sultanistici" od anche "tradizionali". Stati che si reggono su una sorta di oligarchia basata sulla cooptazione di una classe dirigente fedele al sovrano e tenuta insieme esclusivamente dal perseguimento dei propri fini personali. Difficile che in un contesto simile si possano intravedere dei cambiamenti positivi, diranno i più. Possibile. Ma, scorrendo di un capitolo la nostra immaginaria lettura del manuale, scopriamo che esiste anche una particolare fenomenologia detta "democratizzazione" attraverso la quale s'intersecano dei processi capaci di condurre un paese autoritario, o comunque non democratico, sulla via maestra della democrazia. Come è facile da intuire si tratta di un procedimento complicato e duraturo, ma tra i suoi fattori determinanti prevede sicuramente la presenza di "ingerenze" esterne; ovvero delle influenze provenienti dall'estero che siano in grado di apportare fiducia per i canoni del vivere democratico all'interno del paese interessato. Trattasi di elementi di natura composita: economici, sociali, politici, culturali, religiosi...
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Se ora torniamo ad osservare le meccaniche di funzionamento di Vision 2030, ci accorgiamo che gli investimenti stranieri occupano un posto fondamentale in tutta la strutturazione d'insieme. Influenze esterne di natura economica...
Qualcuno però dirà:"Dove sono effettivamente questi cambiamenti?"; e qualcun'altro osserverà:"Stanno arrivando e già s'intravedono". Appare chiaro che queste variazioni di cui parliamo, se mai dovessero realizzarsi, saranno riscontrabili tra il medio ed il lungo periodo; ma aggiungiamo al nostro portato qualche dato concreto.
Città di Al-Ula; sito di particolare rilevanza culturale protetto dall'UNESCO. Una commissione ad hoc creata per gestire la sua riqualificazione coordina la sezione di Vision 2030 deputata a far mettere a terra gli investimenti riservati a questo territorio. Il risultato? 120 miliardi di contributo al PIL in valuta locale, 2 milioni di visitatori annui previsti per il 2035, sostenibilità dei consumi locali e 38000 nuovi posti di lavoro. Cosa ha a che fare tutto questo con la democrazia? A prima vista niente; ma in realtà il turismo e la vitalità culturale di quel luogo potrebbe avere molto da offrire in termini di democratizzazione.
Passando adesso alle conclusioni, quello che possiamo dire è che siamo di fronte ad una storia dal finale aperto. O meglio, ritardato. Per sapere davvero se tutto ciò che abbiamo descritto vedrà mai una luce definitiva occorrerà aspettare altri anni; ma nel frattempo dovremo rispondere all'altro quesito che ci rimane.
Se è vero che fattori esterni possono giocare un ruolo significativo nell'aiutare un contesto nazionale a democratizzarsi per propria evoluzione naturale e senza l'uso della forza, allora dovremmo considerare valida l'idea di contribuire noi stessi agli investimenti in seno a Vision 2030. In primo luogo perché aiuterebbe anche la nostra economia, in secondo luogo perché potremmo potenzialmente agevolare la riuscita di qualcosa di più grande.
E a chi continuerà a sostenere che stiamo parlando dello stesso paese in cui gli oppositori vengono decapitati e i giornalisti brutalmente ammazzati, si dovrà replicare che è tutto vero e che va denunciato. Ma poi c'è la realtà. Oggi l'Arabia Saudita è un paese in transizione che cerca di illuminare le proprie ombre di una luce nuova. Domani, democrazia o no, sarà un'economia dall'abnorme potenziale a metà tra il blocco asiatico autoritario e quello occidentale liberaldemocratico. Con chi avrà quel regno desertico dei rapporti più floridi? Con chi non ha fatto altro che risaltare le sue colpe senza far niente per contribuire a risolverle o con chi avrà investito "sporcandosi le mani"?
LINK:
https://www.vision2030.gov.sa/
https://ucl.rcu.gov.sa/en/investment