Welfare al femminile tra occupazione e conciliazione

Welfare al femminile tra occupazione e conciliazione

Dalle linee guida del PNRR emergono tra gli obiettivi fondanti delle strategie di rilancio dell’economia e della società italiana il supporto alle donne e ai giovani. Queste due categorie hanno sofferto più di altre dell’impatto del lockdown, con una difficoltà soprattutto femminile, di conciliare, assistenza ai genitori anziani, cura dei propri figli.

Gli ultimi cinquant’anni la partecipazione femminile al mercato del lavoro a sud conosciuto un significativo incremento pur rimanendo meno remunerata e più esposte a rischi di discriminazione, segregazione e interruzione soprattutto in occasione di gravidanze.

Ciò ha generato una diffusa disoccupazione femminile per una fascia d’età conseguente alla maternità e dunque con una maggiore difficoltà di rientro nel mondo del lavoro mancando spesso strumenti di supporto sociale e incentivazioni oppure non essendo queste misure equamente disponibili per aziende di dimensioni diverse o in territori differenti.

Serve una cultura e una politica di inclusione sociale più diffusa che possa progressivamente ampliare alcuni interventi già messi in atto da diversi imprenditori “illuminati” e in diverse realtà aziendali.

Due sono i fattori che dovrebbero spingere in modo particolare misure di quel ferro aziendale a favore della passione e conciliazione vita lavorativa-vita familiare al femminile:

  1. è innegabile che la presenza di una autonomia economica al femminile sia un elemento importante per l’autodeterminazione della persona, per lo sviluppo della sua autonomia, e per la sua piena partecipazione come “cittadino attivo” alla vita politica e sociale del proprio paese
  2. confrontando paesi con politiche diverse e più favorenti la flessibilità lavorativa e il supporto alle madri, vari indicatori economici indicano in quei paesi una maggiore crescita economica complessiva (Del Boca e al. 2012)

A livello internazionale si parla di “Womenomics”, un neologismo costituito dalla somma delle parole “women” (donne) e “economics” (economia). Questo termine vuole rappresentare le varie dimensioni economiche della valorizzazione delle donne, specialmente nel mondo del lavoro, sulla base della convinzione che lavoro femminile possa essere il più importante motore dello sviluppo economico mondiale (Matsui e al. 1999).

In un documento stilato da Eurofound (2020) viene sottolineato come in Europa le donne siano maggiormente presenti in ruoli di cura e assistenza alla persona, di commercio e nel settore delle pulizie, mentre sarebbero poco rappresentate a livello apicale e di rappresentanza in tutti gli altri settori sia privati che pubblici nonché a livello politico. Qualora anche una donna rivesta lo stesso ruolo la stessa mansione di un uomo con le medesime competenze la retribuzione e le potenzialità di crescita apicale risulterebbero molto minori. Questo fenomeno è stato descritto come “segregazione di genere”.

La pandemia da COVID e il lockdown hanno accentuato ulteriormente questo divario di “genere”, sovraccaricando la figura femminile, in modo particolare, delle azioni di cura verso i figli e verso i genitori spesso impossibilitati a frequentare i primi a scuola e i secondi limitati negli spostamenti e nelle normali attività di socializzazione presso centri diurni o altre strutture ricettive. Molte donne non torneranno più al lavoro o troveranno molta difficoltà nel reinserimento lavorativo a causa della pandemia e dei cambiamenti permanenti che ciò comporterà a livello produttivo, sociale ed economico.

Nella speranza che una situazione analoga a quanto vissuto tra il 2020 e il 2022 non si ripresenti, nasce spontanea una richiesta di una maggiore flessibilità e personalizzazione delle offerte che un’azienda può mettere in campo per il rientro al lavoro di una donna, ma, proprio per sostenere la logica dell’inclusione sociale che dovrebbe permeare tutta la nostra cultura e i tutti i nostri settori, servirebbero formule contrattuali molto più elastiche e tutelanti dei vari fattori di crisi che una famiglia può trovarsi ad affrontare. La stessa problematica femminile può riguardare il rientro al lavoro dopo il COVID in presenza per esempio della sindrome di Long Covid, dopo una malattia grave e prolungata, in presenza della necessità di assistere un familiare in grave difficoltà e per il quale i benefici legati permessi di una legge 104/92 potrebbero risultare totalmente insufficienti.

I dati che man mano giungeranno dai vari osservatori economici, sociali, clinici, dovranno essere attentamente valutati e, si spera, considerati come variabili determinanti da inserire nella progettualità dei vari bandi che giungeranno tramite fondi e bandi PNRR, i quali avranno successo solamente se investiranno su un reale cambiamento dei processi di welfare aziendale sociale, di sostenibilità e di “diversity& inclusion”. Per fare ciò sarà necessario fare tesoro dei dati di sofferenza del sistema economico, sociale, familiare, relazionale, e dei cambiamenti senza ritorno ai quali tutti noi siamo stati sottoposti.

Serve un’attenta valutazione dei bisogni reali delle persone reali affinché anche i fondi erogati portino a dei risultati non solo misurabili ma anche apprezzati dalle singole persone perché ne migliorano sensibilmente la qualità di vita e il benessere rispondendo ai bisogni che hanno potuto le stesse persone esprimere chiaramente. Vanno dunque previste misure di qualità di vita percepita sul breve, medio e lungo termine oltre che misure dell’impatto sociale e culturale ma integrate con misure di benessere percepito sul posto di lavoro, migliore appartenenza e migliore conciliazione tra vita e lavoro.

Dunque il metro dell’efficacia delle scelte che si faranno dovranno essere le persone beneficiarie dell’intervento più che metriche economiche o di altro genere, almeno fino a quando una cultura dell’inclusione non si sarà diffusa ampiamente e stabilmente.


Fonti: www.inps.itosservatoristatistici

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