Words Therapy.
Il bello dello scrivere i propri pensieri è vedere che ognuno ci legge cose differenti. Non necessariamente quello che noi avremmo voluto trasmettere.
Ma l’importante è stimolare, se non una discussione, almeno una riflessione.
Questo dà forza ed aiuta ad abbattere le barriere che ci auto infliggiamo, nel timore di scrivere parole che verranno scansate, rifiutate o ignorate.
Sono convinta che non ci sia nulla di più sbagliato che fermarsi alla superficie delle cose, delle parole, delle persone. E chi non è pronto ad intraprendere questo viaggio, perderà molto di se stesso.
Per questo ed altro mi ritrovo ancora a scrivere.
È un’esigenza. Un modo per non distanziarmi troppo da ciò che sta accadendo.
Ed è proprio per non distanziarmi troppo che mi sorprendo a volte a guardare in maniera quasi ossessiva i telegiornali, non per morboso attaccamento ai numeri (numeri, lasciatemi dire, spesso piatti, svuotati di ogni loro capacità di analisi del contesto, privati della corretta interpretazione e storytelling), ma per sentirmi più vicina ad una realtà che se pur così prossima, appare allo stesso tempo lontanissima perché osservata attraverso il filtro del nostro isolamento; rischiando in questo modo di diradarsi, alleggerirsi e svanire.
E questa è l'ultima cosa che vorrei.
È difficile spiegare tutto ciò alle mie figlie che non per superficialità, ma al contrario, per caparbietà, affrontano un giorno dietro l'altro con passione, dedizione, senza soffermarsi e senza indugiare nelle malinconie che invece aggrediscono noi e rischiano di diffondersi con la stessa letalità del virus che serpeggia in questo momento nelle strade, nelle case, nei luoghi che amiamo.
E non parlo solo del nostro Paese, ma di tutti quei luoghi che abbiamo visitato in un passato, anche recente, dove abbiamo lasciato sospesi ricordi, momenti, vita.
Sospesi e cristallizzati in attesa di essere nuovamente visitati in un tempo normale.