Working, smart.
Molte aziende sono riluttanti a concedere lo smart working. Smart working viene tradotto per l'azienda in fake working, e subito dopo in un semplicistico: come controllo il lavoratore?
Questo approccio deriva dall'assunto (inconscio, implicito) che la partita tra employee and employer sia win-loose. Se una cosa è buona per l'azienda, non lo è per il lavoratore. E viceversa. Va da sé che in quest'ottica non solo lo smart working non sarà mai appetibile per il datore di lavoro, ma anche che tra le due parti ci sarà sempre una tensione competitiva, agonistica.
Lo smart working è un esercizio difficile per il lavoratore. Non significa trascinarsi in pigiama dal divano alla cucina, o lavorare con il gatto in braccio e Netflix in sottofondo mentre la testa ti cade sul cuscino.
Significa essere capace di grande disciplina, per separare autonomamente il momento del lavoro dalla vita privata: e per cui ora non rispondo, ora non stendo il bucato, ora non controllo se devo comprare le uova. Significa anche sapere organizzare il proprio lavoro, distinguendo tra cosa fare in ufficio, cosa fare da remoto, o poter contare su un ambiente privato confortevole e silenzioso, oppure rilassante e informale. Non solo. Per chi, come me, ha anche la responsabilità di gestire risorse, significa instaurare un rapporto di fiducia con il proprio team, trovare strumenti tecnologici e operativi per essere tutti costantemente aggiornati sullo status reciproco, ottimizzare il tempo lavoro, non sopravvalutare le attività in presenza, tagliare le riunioni fiume, imparare a lavorare da remoto con conference e virtual call, educandosi anche ad abbattere le trasferte e gli spostamenti.
Cosa significa questo per l'azienda? Personale più autonomo, con maggiore capacità organizzative, più efficiente, più disciplinato, più responsabilizzato. E' vero: una lavatrice, un passaggio alla posta, una lettura del gas possono interferire con il normale flusso di lavoro. Ma inchiodare un dipendente alla propria scrivania non lo rende affatto efficiente né produttivo, e a conti fatti non potete neppure sapere se stia lavorando. Lo smart working non solo incide positivamente sulla staff, ma ha anche un effetto fidelizzante, reputazionale e rappresenta un saving economico.
Abbiamo già metabolizzato e imparato a ordinare da mangiare dal nostro divano in un ristorante dall'altro capo della città, flirtare dalla nostra cucina con una sconosciuta a 600 km di distanza, scegliere durante un trasferimento in treno dove trascorrere il viaggio di nozze o comprare da una camera d'albergo le scarpe più adatte alla nostra falcata.
Qualcuno liquiderà il tema con: "per noi è differente", "noi abbiamo bisogno di lavorare in presenza", o "noi siamo troppo grandi/troppo piccoli". Ebbene, ci sono studi che prevedono che il 70% del lavoro negli USA tra pochi anni sarà in modalità “smart”. E quello che succede lì, con il tempo di diffusione di un'eco, arriva qui. In un attimo, ci si troverà ad essere anche troppo vecchi.