A #Enna, un’altra ragazza morta suicida a soli quindici anni per ragioni ancora da accertare ma che appaiono legate a episodi di #bullismo e #revengeporn. Un altro nome che si aggiunge a un elenco già lunghissimo.
Abbiamo fallito e continuiamo a fallire, da adulti, da decisori pubblici, regolatori e Istituzioni e dobbiamo dircelo senza farci sconti e senza cercare nessuna forma di assoluzione.
Non abbiamo fatto abbastanza, non stiamo facendo abbastanza per proteggere i #minori nella dimensione fisica e in quella digitale della loro esistenza. Dobbiamo chiedere scusa ai familiari delle vittime consapevoli che le scuse servono a poco e, soprattutto, ai bambini e agli adolescenti dai quali tanto spesso le pretendiamo. Ma soprattutto dobbiamo prendere atto che siamo davanti a un’autentica emergenza.
Dobbiamo mettere da parte ogni altra questione e concentrarci tutti sullo stesso obiettivo: capire cosa non funziona – perché è evidente che qualcosa non funziona – nel sistema integrato di educazione e protezione che dovrebbe garantire ai più giovani il più elementare e fondamentale di tutti i #diritti ovvero quello di vivere la loro età al riparo da violenze che arrivano da loro pari e che si consumano in luoghi fisici e digitali nei quali dovrebbero poter vivere sereni.
Non si può morire a quindici anni perché un compagno/a condivide in una chat immagini scattate o registrate per rimanere private o perché ti indirizzano frasi capaci di annientare la tua autostima.
Non possiamo rassegnarci e considerarlo ineluttabile e inevitabile. Non possiamo cercare rifugio nella statistica, nei numeri, nelle fragilità dei singoli, nei casi particolari e eccezionali. Non possiamo piangere ogni nuova vittima come se si trattasse della prima, parlare per qualche giorno della tragedia e poi ricominciare a correre dietro a priorità diverse.
Ma di tutto questo dobbiamo parlare il prima possibile in altre sedi. Qui, ora, oggi, mentre sui media e sui #social si discute e si discuterà, anche se troppo poco, di questa nuova tragedia credo sia importante ricordare a tutti ragazze, ragazzi, bambine, bambini e loro genitori che se qualcosa va storto, che se si inciampa nel bullo o nella bulla di turno, se qualcuno decide di rendere pubbliche immagini nate per restare private non si è soli, non ci si deve sentire soli.
Genitori a parte con i quali parlare, c’è un referente per il cyberbullismo a #scuola, ci sono strumenti online come #Takeitdown resi disponibili dalle grandi piattaforme digitali, c’è la Polizia Postale e c’è l’ Autorità Garante per la protezione dei dati personali alla quale si può chiedere aiuto.
Vale la pena ricordarlo perché ho la sensazione che tra i tanti fallimenti dei quali dobbiamo prendere atto, da adulti e da Istituzioni, ci sia anche quello di non aver fatto abbastanza perché i più giovani sappiano che non sono soli e che il più delle volte c’è una soluzione anche per ciò che sembra non averla.