Anastasija Nikolaevna Romanova, per i più Anastasija Romanov, era la quarta figlia dello Zar Nicola II e di Alexandra d’Assia, ed è stata protagonista di una delle più note leggende della storia.
Come i suoi fratelli, Ol’ga, Tat’jana, Marija e Alexej, visse in una delle corti più raffinate d’Europa, quella russa degli inizi del ‘900.
Dal Palazzo d’Inverno alla dimora di Carskoe Selo tanto amata da Nicola e da Alexandra, dalla residenza estiva di Livadija, in Crimea, allo yacht imperiale Standart, tra vestiti e gioielli meravigliosi, le quattro granduchesse e lo zarevich ricevettero un’educazione molto più rigorosa di quanto si possa immaginare.
Dormivano in brande da campo e la servitù si rivolgeva a loro in modo molto informale, chiamando i giovani Romanov per nome e sgridandoli all’occorrenza.
Quando la Russia entrò nella Prima Guerra Mondiale, Nicola face bandire la carne dalla tavola imperiale, un gesto di rispetto nei confronti del popolo russo che soffriva la fame, e le figlie e la moglie svolsero – senza trattamenti speciali riservati alla loro condizione – il duro lavoro delle infermiere negli ospedali, tra sangue, malattie e amputazioni.
Questi piccoli ma importanti gesti di educazione che ogni casa reale d’Europa avrebbe dovuto prendere ad esempio, non bastarono a modificare la realtà dei fatti: Nicola II era un uomo mite e arrendevole, molto diverso dall’imperatore che fu suo padre, lo zar Alessandro III.
Per di più, consigliato dai ministri di sempre, Nicola si ostinava a mantenere un assetto di potere accentrato – l’unica formula che conosceva – dimostrandosi incapace di adeguarsi ai tempi che stavano prepotentemente cambiando.
Arrivarono la guerra, la fame e le prime rivolte. L’esercito zarista iniziava a schierarsi dalla parte del popolo e Nicola abdicò in favore del fratello Michail – Aleksej era troppo giovane e per di più malato di emofilia.
Per la dinastia Romanov iniziava il conto alla rovescia.
Dopo gli arresti domiciliari nel Palazzo di Czarkoe Selo, i prigionieri furono inviati a Tobol’sk, in Siberia, e da li nella loro ultima dimora, la cosiddetta “Casa a Destinazione Speciale” di Ekaterinburg.
Ebbe inizio il periodo peggiore per la famiglia imperiale che viveva in condizioni di disagio assoluto, tra stenti e angherie che i soldati non risparmiavano ai prigionieri.
Soprattutto le giovani granduchesse, tutte piuttosto belle, erano quotidianamente insultate e umiliate.
Le cose cambiarono con l’arrivo del commissario Jakov Michajilovic Jurovskij, che impose ai soldati di non avere contatti con i Romanov e permise a un vicino di convento di portare viveri all’interno della Casa Speciale.
Un pò di rispetto concesso agli ignari condannati a morte, che stavano per subire un’ultima grave umiliazione.
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1917, lo zar, la sua famiglia, il medico Botkin, l’inserviente Trupp, il cuoco Charitonov e la dama di compagnia Anna Demidova, furono convocati all’ultimo piano della casa, con la scusa di scattare una foto che doveva documentare il loro imminente trasferimento in un altro luogo, forse verso la salvezza.
Probabilmente l’intenzione non fu quella di prendersi gioco dei prigionieri in un momento del genere, più che altro una maniera di radunarli in moto veloce e ordinato.
Il plotone di esecuzione era composto da alcuni ex prigionieri di guerra austroungarici, perché quasi tutte le guardie rosse si rifiutarono di sparare, soprattutto alle granduchesse: la studiosa e intelligente Ol’ga, la bella e autoritaria Tat’jana, la dolce Marija e Anastasija, la più giovane e la più vivace delle sorelle, quella che si divertiva a fare le imitazioni alla sua famiglia e al personale del palazzo, e che faceva impazzire i precettori con i suoi scherzi durante le lezioni.
La strage ebbe inizio, con grande sorpresa di Nicola e la sua famiglia che si aspettavano di trovare un fotografo e non undici soldati pronti a sparare.
Ad avere la peggio furono proprio le sfortunate ragazze che, a causa di alcuni gioielli che avevano cucito nei corsetti, non furono trapassate direttamente dai proiettili: i soldati dovettero finirle a colpi di baionetta.
Fu proprio questo macabro dettaglio a dare vita alla leggenda che una delle figlie dello Zar, proprio grazie a questi gioielli, si fosse salvata.
Le aspiranti granduchesse si fecero avanti, proprio come nella versione Walt Disney della storia, e il caso che fece più parlare fu quello di Anna Anderson, una donna malata di mente che pure, grazie alla somiglianza fisica con la giovane granduchessa e alle sue sorprendenti conoscenze della vita alla corte dei Romanov, riuscì a convincere molti di essere Anastasija.
Dei resti dei corpi ritrovati a Ekaterinburg, confermati essere dei Romanov dai test del DNA effettuati nel 1994, mancavano tracce di Aleksej e di una delle granduchesse, probabilmente Anastasija o Marija.
Nonostante la sua convinta autodichiarazione, la Anderson rifiutò sempre di sottoporsi al testa del DNA, e la sua morte – il corpo fu cremato su sua richiesta – portò il mistero nella tomba.
Ma la sua occasione di essere ricordata come la granduchessa Anastasija andò perduta nel 2007, quando furono ritrovati le spoglie dei due giovani Romanov mancanti, riconosciuti ufficialmente come quelli di Marija e Aleksej.
Fu ipotizzata l’identificazione di Anna Anderson con una certa Franziska Schanzkowski, una donna con seri problemi psichici di orgine polacca.
Ma la verità è che la sua identità rimane tutt’oggi avvolta nel mistero, come non si saprà mai da chi avesse appreso tutte quelle informazioni e dettagli sulla vita a corte prima della rivoluzione.
Nessun membro della famiglia imperiale russa si salvò dalla strage di Ekaterimburg, e forse già si sapeva.
Ma la brutale esecuzione, e gli sguardi dolci delle quattro principesse che abbiamo visto tante volte tra fotografie e ritratti dell’epoca, hanno tenuto viva per tanti anni la speranza che almeno una di loro, forse proprio la vivace e indisciplinata Anastasija, si fosse salvata.
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