È nelle notti più buie che nascono i sogni più grandi.
CDC/Alissa Eckert, MS; Dan Higgins, MAMS

È nelle notti più buie che nascono i sogni più grandi.

In questo periodo, in cui per forza di cose siamo tutti più “soli”, ho spesso la fortuna di “parlare” davvero con tante persone, forse anche quelle solitamente molto lontane e distanti da me, ma pressoché tutte con problemi più o meno gravi, sia personali che lavorativi, che questa pandemia ci sta inevitabilmente obbligando a vivere. La situazione è indubbiamente e sempre più difficile, probabilmente la più complessa che abbiamo mai vissuto come generazione (parlo soprattutto di noi che abbiamo fra i 30 e i 40 anni, ma probabilmente vale per tutti), so di non dire qualcosa di nuovo o originale se non fotografare banalmente l’ovvio.

Una parte di noi è sicuramente più fortunata di un’altra, per tanti motivi anche economici (e anche per questo abbiamo una doppia responsabilità verso gli altri), però resta in corso una guerra senza macerie fisiche, ma comunque umane, morali, sentimentali, professionali, e quindi non meno gravi. C’è chi in questo istante sta vivendo perdite, distanze, assenze, mancanze, solitudini, e la narrazione mediatica fagocita tutto questo non lasciando nemmeno il tempo di prendere fiato, di elaborare i lutti. Le ferite aumentano e sono sempre più profonde, senza un momento per curare questi strappi, per ricucirci. Ma almeno noi siamo qui, ancora, e siamo vivi, nonostante tutto. E dobbiamo farci carico: più che mai in questa assenza serve la nostra presenza.

È come ogni crisi che l’umanità ha vissuto, anche questa può e deve diventare un’opportunità, lo scrivo senza alcun cinismo ma con sano e docile pragmatismo. Un’occasione per ripensare i nostri rapporti, le nostre relazioni, il nostro lavoro, e anche il nostro tempo libero. Cercare e ricercare. E anche le nostre speranze e i nostri desideri, le nostre ambizioni e i nostri sogni. Per rivedere le priorità. Come Paese abbiamo giustamente scelto di preservare la vita in senso stretto (quella che gli antichi greci chiamavano “zoé“), ma non dobbiamo dimenticare la vita in senso ampio (ovvero la “bíos”, cioè il modo in cui viviamo) che non è quindi solo diritto alla salute ma anche diritto al lavoro, a costruire legittimamente la propria felicità, il proprio intorno a misura di sé stessi.

Ora che siamo obbligatoriamente più divisi in senso fisico, almeno le idee giuste e i sentimenti veri dovrebbero unirci ancora più saldamente e profondamente, anche quando troppo spesso sembra non essere così. Come persone siamo chiamate ad ascoltarci di più, come cittadini ad essere responsabili, ma ad esempio come imprenditori possiamo essere un collante in questa società. Sappiamo che molte delle nostre imprese non ce la faranno a resistere (purtroppo sono anche i numeri a dircelo), soprattutto se restano ancora da sole, disunite, frammentate; ma molte di queste, insieme, possono diventare davvero qualcosa di nuovo. Possono fare la differenza. Sono intrinsecamente delle micro società in una macro società, e su questa possono incidere, e cambiarla: in meglio. Sono un architrave su cui poggia la nostra collettività.

Il buon Keynes (spesso citato a sproposito) ci insegna come in situazioni di contrazione (come ad esempio una recessione o una depressione economica) una delle medicine salvifiche sia appunto la strada delle aggregazioni, soprattutto in ottica di acquisizioni e fusioni, oltre al classico intervento dello Stato imprenditore, a volte inevitabile per rilanciare l’economia in settori a rischio (cosa che già si sta facendo, ad esempio con CDP), perché è proprio quando il mercato si ritira che è il momento giusto per investire (e chi lo farà ora verrà premiato nel medio-lungo periodo). Il 2021 sarà quindi l’anno del M&A, ma starà a noi trovare nuove forme per fare rete fra le imprese (le grid company sono un esempio in questo senso, ma non sono l’unico). La creatività imprenditoriale si vedrà quindi anche in questi nuovi scenari e modi di fare sistema per creare così ecosistemi forti e virtuosi.

È perciò il tempo non più procrastinabile di superare il provincialismo nostrano di “piccolo è bello” e andare oltre l’ossatura geografica e familiare, tipica di molte delle nostre aziende, e mettere in comune sani interessi (e asset) per creare realtà più forti, più grandi, superando personalismi, egoismi e campanilismi, cercando un’autentica dimensione nazionale e un vero respiro internazionale delle nostre piccole e medie imprese; solo così si potrà sopravvivere a questa come ad altre prossime tempeste (che arriveranno, diciamocelo), perché già questa chiamata COVID-19 e Coronavirus ci ha fatalmente dimostrato che in molti (troppi) non erano pronti e preparati.

Alcuni di noi stanno già facendo questo non facile quanto tortuoso percorso, chi per volontà e chi per necessità, e probabilmente raccoglieremo domani i frutti di queste scelte difficili e coraggiose; ma le stesse vanno prese proprio oggi, ora, adesso. Perché il futuro si costruisce davvero dal prossimo minuto, senza attendismi. Non dobbiamo aspettare la politica, i corporativismi, un governo, uno Stato più o meno assistenzialista, ma essere noi i protagonisti di ciò che verrà, singolarmente e assieme, affinché la parola cambiamento non resti solo una parola senza alcune accezione davvero positiva.

È proprio in un momento come questo, in cui siamo tutti confinati nelle nostre ristrettezze e piccolezze, che è necessario fare uno sforzo a usare questo tempo sospeso per provare a pensare in grande. So che dirò qualcosa che risulterà retorico, illusorio e sognatore, perché sono parole difficili da dire già nella normalità, ma in questa nuova normalità è quanto mai necessario tentare di non avere confini in questi confini. Di lanciarci oltre l’ostacolo, di guardare oltre quell’orizzonte che ora ci sembra solo nero e senza sol dell’avvenire.

Quello che nessun lockdown deve infatti limitare sono i nostri pensieri, la nostra capacità di reinventare il presente per immaginare un nuovo futuro possibile. Perché se davvero muore questo, muore tutto. Se si spegne sul serio il mondo che abbiamo dentro, non ci sarà alcun mondo possibile fuori. Quindi il mio piccolo grande augurio per tutti è che questo nostro apparente e momentaneo indietreggiare possa essere solo una promettente rincorsa verso i traguardi che meritate, che meritiamo. Che come ogni fine, sia solo un nuovo inizio. Perché è proprio nelle notti più buie che possono nascere i nostri sogni più grandi.

Paola Frateschi

Responsabile marketing digitale presso Made in Media Communication e Wiseup Comunicazione

4 anni

Unirsi, creare delle sinergie e delle contaminazioni di competenze e obiettivi è possibile, occorre superare la visione individualistica che ci ha da sempre contraddistinti come italiani, per condividere davvero risorse e strumenti, nel mio piccolo lo sto già facendo con altri professionisti. Grazie per le belle parole e per gli spunti!

Gianluca Martinengo

Passione, curiosità e attenzione alle tecniche comunicative e di relazione: i motori della mia creatività per dare voce alle idee e facilitarne la diffusione.

4 anni

Presente. Non in prima linea, certo, ma sicuramente nemmeno nelle retrovie.

Ester Memeo

Founder Podstar | Podcast per Business che vogliono farsi notare e dal forte impatto sociale e culturale | Podcast Coach e Producer

4 anni

È vero, non abbiamo nemmeno il tempo di elaborare io lutto, qualunque esso sia. L’impatto emotivo è forse più grande di quello che immaginiamo oggi e si aggiunge a quello lavorativo, economico e sociale. Quindi elaboriamolo, viviamolo questo sentimento perché è un passaggio necessario per trovare la grinta che serve a rinascere insieme.

Giulia Bezzi

Head of SEO | Content Marketing | Social Media per portare business online sostenibile, crescere i team digital, portare pubblico fidelizzato. Vivere divulgando e insegnando la mia esperienza il mio grande sogno.

4 anni
Fabrizio Bisio

Costruzione, ristrutturazione e mediazione immobiliare

4 anni

Noto che tra aziende c’è più solidarietà nonostante la grande solitudine sociale. Non per polemizzare o per scrivere l’ennesimo pensiero: come mai non vengono lasciati aperti tutti gli esercizi commerciali con l’ingresso di una o due persone distanziate, come si fa tipo dal panettiere ma obbligare alla chiusura un paese già sofferente? Fin dall’inizio, durante il primo lockdown, credo che sia stato voluto....nemmeno dai politici ma bensì dal piano superiore.

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