Siamo media, non mediocri.
Purtroppo non è la prima volta che succede che qualcuno muoia per qualcosa che viene scritto o detto online. Succedeva e succede ancora anche se lo fanno i giornali, la radio, la TV; succede tutte le volte che l'ennesima gogna superficiale, sommaria e approssimativa, è condotta da media usati in modo irresponsabile, vecchi come nuovi. Se lo fa un influencer o un giornalista, o un influencer giornalista, o una giornalista influencer, beh, poco cambia. Se non il morto di turno, a cui era stata posta la lettera scarlatta da parte dell'ultimo Savonarola, improvvisato o titolato che sia.
Ma in tutti i casi, probabilmente da quando l'uomo ha la possibilità di esprimersi uno a molti, da quando c'è un podio, un balcone, uno stadio, da cui ergersi sopra tanti credendo di essere al di sopra, il minimo comune multiplo è sempre l'uso del mezzo di comunicazione, del medium, come una sorta di clava, più o meno 2.0. Con il bullo mediatico del momento sempre pronto a colpire, dall'alto del suo seguito (spesso nemmeno così meritato) il mal capitato passante, dove questo ha spesso l'unica responsabilità di essere uscito in qualche modo dal gregge ed essersi fatto vedere. Certo, è fondamentale che la vittima incarni perfettamente la catalizzazione di tutti i mali del momento, in modo da permettere allo smargiasso di esporre opportunamente il capro espiatorio alla berlina, come un perfetto Robespierre moderno, e far sfogare la folla ignorante e deliverante, in preda all'isterismo di massa più violento e becero.
Ma è davvero il bulletto con tanti lettori, tanti ascoltatori, tanti telespettatori, tanti follower, il solo responsabile di questa brutale meccanica da schiacciasassi, che sembra tanto nuova ma almeno a me appare così vecchia? O forse quella violenza, quella brutalità, questa totale mancanza di empatia umana, è in primis in noi lettori, ascoltatori, telespettatori, di noi follower? Quando il pubblico, noi, diventiamo tiratori di pietre verso la frettolosamente eletta Maria Maddalena del caso, con i nostri like e i nostri commenti non facciamo altro che dire: "meglio lui/lei che me, per stavolta non sono io". Quando la verità è che chi si accanisce lo fa solo per sembrare come il cane che ha morso, sperando quasi che così il branco lo protegga, non lo attacchi. E più si è feroci, più si crede di essere di quasi di "esempio", come una gara a chi è più bestia. E non è il caso di opporsi a queste dinamiche, perché si pensa di finire lì in mezzo, come l'ultimo martire, e nessuno vuole esserlo dove averne visto crocifiggere uno e aver partecipato a mettergli i chiodi per non essere escluso.
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Tutto questo è forse (o dovrebbe essere) evidente almeno quanto dovrebbe apparirci tribale, inaccettabile, sbagliato. Una civiltà moderna dovrebbe riconoscere, condannare, distanziarsi da tutto questo. Dovremmo farlo come collettività, come singoli. E invece siamo qua, con settimane di parole, di articoli, di trasmissioni radiofoniche e televisive, di post sui social. Dimenticando il morto, i morti. Dimenticando che i morti hanno amici e parenti. Dimenticando che i morti, potremmo essere noi, io e te. Potrebbe essere nostro padre, nostra madre, nostra sorella o fratello. La nostra amica, il nostro amico. Chi lavora con noi, chi vive con noi, chi mangia o dorme con noi. Dimenticando che siamo essere umani. E invece diventiamo come pesci, muti e omertosi, allineati e istintivi, trascinati dalla corrente, perdendo di vista la prospettiva dell'acqua, la visione d'insieme: di non essere solo un'onda, corrente, ma di poter essere anche grandi, immensi, come mare. Che potremmo andare in profondità, mentre ci accontentiamo troppo spesso di restare in superficie.
Forse possiamo essere meglio di così. Magari ricordatelo anche tu, la prossima volta che sparli di questo o quella illudendoti di stare meglio, di essere meglio; di quanto metti quel like all'ultimo odiatore seriale, di quando scrivi quel commento violento che potresti evitarti. Ricordati di non fare male, per non essere male. Starai meglio, staremo meglio. E non saremmo solo pesci cane, ma oceani, in cui tornare a nuotare senza paura di affogare. Lo so, penserai che è utopia. Beh, lo penso anch'io. Ma preferisco ogni utopia a qualsiasi abisso.
Account per lavoro - Comunicazione e Società Unimi per passione
11 mesiGrazie, come sempre articolo molto interessante 👍🏻