È possibile salvare il comparto turistico in corso di Covid-19?
Il Covid, banale affermarlo, ha rivoluzionato le nostre vite. Non abbastanza.
La seconda ondata al cui montare stiamo assistendo in queste settimane, ne è la riprova.
In Italia siamo stati virtuosi per 3 mesi, ma una volta allentati gli obblighi anti assembramento la maggior parte di noi si è riversata nei luoghi di svago, come un assetato nel deserto si abbevera all’oasi per tanto tempo vagheggiata.
Ciò ha determinato un effetto rebound: occorreva rifarsi dell’isolamento con bagni di folla, come se ormai il pericolo fosse scampato, il Covid finito, e ciascuno potesse riappropriarsi della vita ante-pandemia.
Non è così.
Se il Covid dovesse prorogarsi fino alla prossima primavera gli effetti per l’economia, in particolare quella turistica, potrebbero essere devastanti e in parte già lo sono stati, il che obbliga a un ripensamento del comparto al fine della sua stessa sopravvivenza, con effetti a lungo termine che, per quanto anti-democratici, potrebbero, per una volta, salvare capra e cavoli e anche rapanelli: sconfiggere il Covid e far guadagnare al turismo, con effetti positivi anche sull’ecosistema e il benessere del pianeta.
3 vantaggi al prezzo di 1: lotta al coronavirus, profitti per il turismo, lotta all’inquinamento.
Negli anni 50 e 60 del secolo scorso Venezia non pativa l’orda di turisti che l’avrebbe sommersa nei decenni a venire grazie al turismo di massa indotto dal credito al consumo. E lo stesso vale per ogni altro esercizio turistico.
Il Covid ha avuto se non altro il pregio di far riemergere la necessità di ridimensionare “la massa” grazie ai divieti anti assembramento.
E allora la ricetta sembra scontata, quanto lapalissiana: evitare gli assembramenti significa per un esercizio commerciale votato al turismo garantire (in maniera effettiva e non fittizia come questa estate) i giusti spazi al cliente. In una sala da 500 posti, ad esempio, garantire l’accesso solo a 50 persone. Certo, direte voi, a queste condizioni, agli stessi prezzi, conviene chiudere.
Le spese infatti sono le stesse: la luce, le tasse per il locale, il gas per i fornelli, gli stipendi per cuochi, camerieri, buttafuori, dj e guadagnando 1/10 non ci si sta più dentro.
Ma in realtà basta agire sull’altra variabile, quella dei prezzi, per trovare la quadratura del cerchio.
Il ristoratore, il gestore di discoteche, piscine, palestre, l’albergatore, la compagnia aerea hanno la soluzione a portata di mano e stupisce che non l’abbiano ancora messa in pratica.
Se gli ingressi vengono decimati, è sufficiente al contrario decuplicare i prezzi di ingresso, senza subire alcuna contrazione negli incassi.
Non più quindi un turismo di massa ma elitario, di nicchia che mantiene però vivo il tessuto economico di uno dei settori più rilevanti per il nostro Bel Paese, e non solo.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che l’approccio non è democratico, ma, come noto, le leggi del mercato non sono democratiche e ciò permetterebbe vantaggi indiscutibili in termini di economia ed ecologia senza più orde chiassose di turisti indisciplinati.