AD OGNUNO IL SUO
Ad ognuno il suo (capo) e la sua (organizzazione): sembra una frase fatta, ma dietro di questa si nasconde una grande verità, che è quella del non casuale abbinamento tra lavoratore e contesto. Certamente l’abbinamento vuole il proprio tempo, ed è per questo che esiste il periodo di prova, entro il quale entrambe le parti hanno la facoltà di rescindere il rapporto. Così come in ogni matrimonio esiste il fidanzamento ben prima, andare a ricontrattare i termini ed i contenuti dell’unione ex-post risulterà molto più difficile: è quindi davvero il caso di evitare sanguinose liti ed esose separazioni giudiziali, le valutazioni del “giusto abbinamento” vanno cioè fatte ben prima.
Analogamente ai fidanzamenti di decenni fa, che comprendevano appunto i “patti prematrimoniali”, esiste una fase di “mutua conoscenza prima” che farei corrispondere al processo selettivo: è una fase importante e delicata, in cui entrambe le parti devono annusarsi e piacersi. Non deve solo piacere all’azienda il candidato, vale anche l’opposto: cosi’ come l’aspirante collaboratore presenta se stesso ed i punti di forza della sua persona (il curriculum serve a questo!), allo stesso modo l’azienda è invitata a presentare se stessa e le aspettative sugli assumendi. Non è questione di lana caprina, ma un modo serio di selezionare, nonché sicura prevenzione di abbandono da parte del lavoratore, il che è sempre un investimento sbagliato da evitare. Già restituire al candidato il diniego è prassi rara in Italia, ma ciò deve valere non solo in caso di “non idoneità” del lavoratore, ma pure della stessa organizzazione.
La verità è lapalissiana e bisogna prenderne atto: così come ci sono candidati buoni e candidati cattivi, allo stesso modo lo sono le organizzazioni. Mi spiego: ci sono organizzazioni che vogliono crescere (penso al settore business) ed altre che non vogliono/possono crescere (penso alla pubblica amministrazione). Possiamo chiamarle A e B. I collaboratori in giro non sono uguali, c'è chi vuole crescere (A) e chi no (B). I processi selettivi e quelli di sviluppo del personale fanno spesso cilecca nel combinare A con A e B con B. Il lavoratore “in crescita” cerca un contesto che lo faccia crescere (A-A) mentre il lavoratore statico, che non vuole/può crescere, cercherà un’organizzazione altrettanto statica (B-B). Ora - viva Dio!- che costa dichiararlo nel processo selettivo? Semplicemente, perché non dichiararlo fin nell’annuncio di lavoro? Si eviterebbe di selezionare persone inidonee in partenza a cui nessuno, però, ha spiegato l’inidoneità del contesto. Faccio un esempio: se è l’Esercito a selezionare soldati, è importante che i candidati sappiano che l’organizzazione si aspetta soggetti abituati a sottostare al comando e ad eseguire gli ordini. Se in quel contesto selettivo passa un esperto in balistica ma pacifista nell’anima, è importante fermarlo per tempo e non dopo l’assunzione. Questo cattivo abbinamento sarà semplicemente un costo economico e sociale che è bene evitare: l’esercito pagherà inutilmente uno stipendio, il soldato vivrà molto male la vita militare, fino al punto di sentirsi un fallito.
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Restando sulla metafora di A e B, è importante dirsi (e dirlo ai selezionatori) se si vogliono geni o fedeli esecutori: dobbiamo cioè depurare il giudizio di valore competenziale e lavorare invece sull’adattamento. Cito l’esempio dei contesti di cura, in cui non è importante che i lavoratori siano dei geni, ma che sappiano “stare” nelle situazioni assistenziali. Non è importante che una badante sia anche infermiera e che voglia crescere (crescerà licenziandosi!), è invece importante che questa lavoratrice sia adattabile ad un tran-tran statico e ripetitivo (per cui, magari, assicurerà stabilità nel tempo). Le organizzazioni, per funzionare, non hanno bisogno di premi nobel creativi, ma di persone adatte al compito. Al contrario, quando c’è invece da innovare e progettare, è necessario soggetti di tipo A: si eviti quindi di dare compiti di questo tipo a chi, per decenni, ha funzionato da B.
Occorre quindi non solo valutare i punti di forza e di debolezza del candidato, ma la corrispondenza tra la sua personologia ed il tipo di organizzazione. In ciò bisognerebbe evitare l’italico vizio di valutare il lavoratore A o B a seconda dell’età: non è per nulla detto che i giovani siano A e gli anziani B: anzi! La capacità di crescere è un fatto personale, non anagrafico, questo va colto già durante lo screening dei curricula, se il selezionatore sa leggere tali dinamiche. E’ più che legittimo che un over 50 con tanta esperienza voglia mettersi in gioco, egli non va quindi escluso a priori: se lo screening riguarda invece la retribuzione (perché un giovane costa di meno) bisogna che ce lo diciamo. D’altra parte “giovani con esperienza” cui proporre un apprendistato sembra una contraddizione che ci rende buffi agli occhi del mondo.
A o B? Facciamolo decidere al candidato, è un fatto suo essere come è, anzi è sacrosanto che lo dichiari. Sta però all’organizzazione capire cosa si aspetta da un candidato-tipo e dichiararlo apertamente nell’annuncio. Possiamo dirlo? Le corrispondenze A-A e B-B sono un indicatore della buona selezione.