Architetti e Ingegneri lavorano in ambienti sempre più complessi. A quali e quannti bisogni si deve rispondere oggi? Intervista ad Alberto Molinari
Alla fine del 2021 si contavano 243.940 ingegneri iscritti all’albo, un numero in crescita di un migliaio di professionisti rispetto all’anno precedente. Cos’è che piace di questa professione?
AssO ingegneri e architetti alla fine di questo anno compirà 20 anni ma, la carta di identità ne dovrebbe contare di più, poiché le attività dell’associazione in campo sindacale sono precedenti e ne dovremmo contare almeno altri cinque anni.
AssO ha avuto la capacità di fondere due pensieri professionali, quello dell’ingegnere e quello dell’architetto in un unico sindacato. Figure che per anni hanno viaggiato in contrapposizione, per motivi diversi, ora si sono trovate sotto una unica associazione: AssO ing e arch.
La professione in questi anni è talmente cambiata, che se dovessimo guardare all’indietro, i primi a stupirci siamo noi stessi. Si stanno delineando figure professionali diversissime in tutti i campi della tecnologia e della architettura.
I corsi di laurea in ingegneria sono diversi: civile, gestionale, dei materiali, informatica, elettronica, biomedica e tanti altri. Qual è, secondo lei, la specializzazione del futuro?
Chi pensava che ci fosse solo una staticità di indirizzi in ingegneria, da quelli classici come nei campi dell’edilizia civile, nei campi come l’elettrico, vedi l’impiantista, vedi l’elettronica, vedi l’informatica, oggi si vedono affiancati da nuovi campi che ne allargano le specifiche tecniche, perché i tecnici sono dei “problem solving” .
Oggi si va, dal gestionale, all’informazione, al biomedicale. Per non parlare della specializzazione degli indirizzi di architettura che vanno oltre le costruzioni fino ad arrivare alla gestione del territorio, alla bio architettura, alla sicurezza dei cantieri, al design, alla gestione dei Social Media.
Viviamo in una situazione fluida, dove le esigenze del mondo del lavoro si interconnettano molto velocemente e come diceva il mio professore “la più grande specializzazione è non essere specializzati, ma essere pronti a cono-scienze diverse.”
Le studentesse di ingegneria sono molte meno rispetto ai colleghi uomini, ma ottengono risultati più brillanti. Il gap uomo/donna è ancora molto evidente nella vostra categoria? Quali sono le difficoltà di un ingegnere donna?
Manca una politica per le Donne professioniste, veniamo da anni e anni di battaglie e, solo da poco, si è ottenuto finalmente il riconoscimento della maternità. Non vogliamo lamentarci, ma mi sembra che ci sia ancora molto da lavorare intorno al welfare.
Scegliendo la libera professione quali sono le difficoltà che un giovane potrebbe incontrare?
I giovani purtroppo hanno davanti un mondo di precariato dove se, da una parte le “finestre aperte” sono molte dall’altra parte la voglia di mettersi in gioco nella libera professione si sta sciogliendo. Forse una delle cause principali è stato dato dal sistema economico in cui ci troviamo. Siamo paragonati a delle PMI (piccole medie imprese, di fatto a delle “fabbrichette”) ma, non ne abbiamo le caratteristiche. Abbiamo una tassazione che ci colpisce sino al 65% e soprattutto non godiamo delle agevolazioni come i finanziamenti regionali, che provengono dalla EU e, che arrivano col contagocce alle professioni.
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Sebbene l’elevata richiesta del mercato di laureati in ingegneria, il tasso di disoccupazione tra gli ingegneri sembra crescere. Gli italiani sono tra i meno pagati d’Europa, con retribuzioni medie anche sotto al 40% rispetto a Germania e Francia. Come spiega questa contraddizione che spinge i giovani verso il mercato estero?
Non ci sembra che il tasso di disoccupazione tra gli ingegneri stia crescendo, anzi, grazie al sistema delle Industrie l’interconnessione con le Università molto spesso permette di conoscere prima i laureati e introdurli nelle proprie realtà. Il fatto contingente che risalta è che le contribuzioni non sono esaltanti, AssO ha sempre spinto per trovare una formula di assunzione sgravante per le industrie ma, che sia premiante per i neoassunti.
Quanto è importante la preparazione linguistica, e la conoscenza dell’inglese, per potersi rapportare con il mercato internazionale?
Il tasso di scolarizzazione trova ormai i giovani pronti sul fronte delle lingue, che vengono curriculate (almeno due sono nel bagaglio, spagnolo e inglese in primis ma, anche il tedesco) e apprese, grazie all’esperienza dell’Erasmus. Un esempio che andrebbe veicolato e incentivato in modo da garantire lo studio in altre nazioni, per un confronto diretto, su altri campi sia sociali che lavorativi.
Nell’ambito dei lavori pubblici il giovane ingegnere sconta non solo la crisi dell’industria e del mondo delle costruzioni, la scarsa capacità di gestire le risorse economiche pubbliche, ma trova anche un ostacolo in entrata perché il sistema di selezione è tramite curriculum vitae. Può un giovane laureato far percepire il proprio valore in questo contesto?
Se volessimo disegnare un quadro realistico della professione, da una parte abbiamo difficoltà per entrare nella professione, dovuta ad una serie di situazioni che combattiamo da anni e, si potrebbe citare la storiella di chi “andrebbe a farsi costruire il Ponte di Messina” da un neolaureato? La pratica di cantiere, la pratica aziendale, non è “inserita” in nessun campo di studio universitario, e a peccare, in questo caso è, un mondo accademico poco adatto per proporla. Dall’altra un sistema bizantino che non riconosce la professionalità se non dopo anni e anni; pertanto, spinge i giovani a non entrare nella professione, ma stare al margine oppure entrare in società di progettazione, come dipendenti, difesi da un vero welfare, perdendo lo slancio degli anni migliori o peggio ancora andare all’estero per avere un reale riconoscimento.
Energia, infrastrutture, innovazione tecnologica: gli ingegneri possono assumere un ruolo strategico per il progresso del Paese, ma quanto i sistemi formativi sono adeguati alle nuove richieste economiche e sociali?
Quello che vediamo meno sviluppato all’ interno degli studi universitari è il senso di aggregazione e del saper lavorare su più livelli, con più persone e sul campo reale!
Il nostro ambiente di lavoro, ormai ha talmente tante sfaccettature, che l’involucro edilizio, che tutti pensano statico, invero è paragonabile al corpo umano, con tutte le derivazioni nervose, che devono essere progettate con altre professionalità.
E se ci sforziamo di vedere in scala più grande e pensiamo alla Città, questa deve essere progettata nel suo insieme. Quando si progettano nuovi quartieri o si pensano di riqualificarne di preesistenti, i problemi si moltiplicano e l’interconnessione con altre professioni diventano vitali.
Sempre più l’ingegnere si trova a lavorare con altri professionisti (agronomi, architetti, informatici). Gli studi aggregati possono rappresentare delle opportunità per il futuro della professione?
Un aspetto, che è rimasto nascosto alle altre professioni, è che le Professioni Tecniche per la complessità dell’involucro da progettare e, per le soluzioni che devono essere progettate e costruite, hanno bisogno sempre di altre professionalità.
Altre professioni che vanno dal geologo, all’ingegnere strutturista, all’ingegnere che segue tutta l’impiantista, all’agronomo per le zone verdi sono anni che si incrociano e si sostengono per arrivare al risultato progettuale, sia che si tratti di un fabbricato o di un “pezzo” di città. In questo periodo ancora di più sono spinti ad aggregarsi per essere svolgere una funzione di “problem solver “.
Perché un giovane dovrebbe iscriversi a Asso Ingegneri Architetti?
Posso dire che siamo l’unica associazione dove si raccolgono professioni che “creano, costruiscono, conservano un patrimonio dell’umanità, che va sotto la formula dell’abitare, ma non solo, perché cerchiamo di dare dignità alla nostra vita ed al nostro lavoro.