Black Friday tra etica, consapevolezza e neuromarketing
“Non scrivere mai un annuncio che non vorresti che fosse letto dalla tua famiglia. Non racconteresti bugie a tua moglie. Non raccontarle alla mia”.
Ce lo raccomandava David Ogilvy nelle sue “Confessioni” nel lontano 1963. Uno dei “padri dell’advertising moderno” puntava insomma i riflettori attorno all’importanza dell’etica nella comunicazione e della sua applicazione pratica. Abbiamo seguito i suoi insegnamenti? A noi posteri l’ardua sentenza: no, decisamente no.
Che poi, se l’animo umano già di per sé è propenso (facilmente) a raccontare bugie, la notizia non dovrebbe in alcun modo stupirci. A stupirci, invece, potrebbe essere la tendenza dei consumatori (sì, tutti noi insomma) a credere a tutto ciò che ci viene proposto da ogni possibile fonte mediatica ad oggi presente.
Prendiamo quindi in esempio uno dei più coinvolgenti fenomeni di marketing in arrivo tra una settimana: il Black Friday.
Di fronte a una scontistica selvaggia, quanti di noi si chiedono se e quale sia l’affare da non perdere? Il 60% di sconto è applicato davvero al prezzo di listino oppure quello mostrato è semplicemente un importo rialzato? Beh, basta osservare i dati reali per trovare delle risposte. Prendiamo come esempio il grafico che il mio amico Alessandro Lorenzi ha condiviso con il nostro gruppo di amici dopo aver interrogato Keepa. Si nota come sì, i prezzi sono scontati ma hanno subìto una variazione (in eccesso) proprio nel periodo precedente a questa fatidica settimana “nera”. Insomma, l’intento del markettaro immorale è quello di creare l’illusione dell’affare del secolo ai suoi acquirenti. Invece di un (realistico-forse) 10% di sconto dal prezzo listino, può così comunicare di aver applicato un 30% (?) e l’effetto è assicurato. Perdonate i numeri a caso (la mia fama di grande matematica mi precede), ma immagino a questo punto che il concetto sia chiaro a tutti.
Consigliati da LinkedIn
Perché allora “ci facciamo fregare” così?
Il Black Friday non è certo un fenomeno nuovo, prende il via addirittura nel 1924. Ormai dovremmo essere più che vaccinati alle truffe e persino pieni di armi di difesa a nostro favore (prima della Seconda Guerra Mondiale non potevamo certo controllare i flussi di prezzi online). E invece i dati dicono proprio il contrario: l’analisi presentata da PwC non lascia spazio ai dubbi. Black Friday Survey 2024 mette infatti in luce come l'interesse degli italiani per il Black Friday rimanga costante a livelli molto elevati: l’86% di noi consumatori intende fare acquisti (la percentuale, tra l’altro conferma il Bel Paese come lo Stato con la più alta partecipazione in Europa).
Le ragioni, allora, possiamo trovarle nelle leve psicologiche attorno alle quali ruota tutta la logica dietro a questo fenomeno. Tra le principali, la fatidica “FOMO” (Fear of Missing Out): non vorrai certo perdere qualcosa che tutti gli altri possono avere? Non vorrai essere fuori dal giro mentre tutti gli altri attorno a te sfruttano il Black Friday?
E ancora, tra le tecniche di neuromarketing più semplici da raccontare, potremmo menzionare quella dell’ancoraggio del prezzo e della scarica di dopamina. In breve, ancoraggio del prezzo significa che tendiamo a valutare uno sconto in base a un prezzo di riferimento iniziale, anche se quest’ultimo è stato gonfiato. Si tratta di un meccanismo che sfrutta la tendenza del cervello a fissarsi sul primo dato fornito, rendendo l'offerta "scontata" più attraente di quanto sia realmente. La scarica di dopamina, invece, è ciò che avviene nel nostro cervello di fronte alla promessa di un risparmio o di un affare esclusivo. Un processo, quindi, che aiuta a rendere l'acquisto impulsivo più probabile, anche se il vantaggio economico è solo percepito e non reale.
Insomma un bel teatro orchestrato a dovere, dove il confine tra la persuasione e la manipolazione è labile e sottile. Ti invito – tu consumatore – ad acquistare il mio prodotto in modo onesto (persuasione) oppure ti convinco a far tuo un prodotto facendo leva sulle tue (nostre) umane debolezze?
Le armi le abbiamo proprio tutte, oggi.
Markettari e consumatori hanno grandi strumenti di attaco e difesa tra le mani. Saperli sfruttare in modo etico (o tutelante) è la grande sfida di oggi, di ieri, di domani. Mettere una piccola goccia di consapevolezza in più è però forse un modesto passo per una comunicazione etica.