BOT e customer experience
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Le discussioni sui bot sono ormai sulla bocca di tutti coloro che si occupano di marketing. Non solo quello digitale, tra l’altro. Cerchiamo, dunque, di vederci chiaro.
I bot, a volte denominati chatbot, sono delle applicazioni di intelligenza artificiale in grado di simulare il nostro modo di conversare e compiere delle operazioni automatizzate, come, ad esempio, indire una riunione, prenotare un volo, fare acquisti online.
L’idea in sé non è nuovissima. Io, ad esempio, ricordo ancora la buffa e noiosissima graffetta-assistente di Office che alla fine degli anni ’90 compariva automaticamente quando l’utente avrebbe potuto, presumibilmente, aver bisogno di aiuto. Annoverato tra 10 peggiori prodotti di Microsoft, l’assistente di Office era un primo esempio di bot.
Da allora molta strada è stata fatta, tanto che un po’ tutte le aziende stanno ponendosi, strategicamente, delle domande sul tema. Da Apple a Facebook, tutti sono alla ricerca di un modo più semplice, naturale e a basso costo di conversare.
Gartner sostiene che entro il 2018 il 30% delle nostre interazioni con la tecnologia avverrà attraverso meccanismi conversazionali. Research and Markets stima che il mercato dell’intelligenza artificiale passerà da 420 milioni di dollari del 2014 ai 5 miliardi del 2020: insomma, sembrerebbe che siamo di fronte ad una rivoluzione.
Uno degli ambiti che i bot promettono di rivoluzionare è la customer experience, ovvero il disegno delle modalità di relazione con i clienti. La tecnologia consente oggi di ricostruire il percorso di contatto con l’azienda, il cosiddetto customer journey. Delineare il customer journey consiste nell’organizzare ed interpretare tutti i dati che abbiamo già a disposizione e che ci indicano in che modo il cliente ha cercato di interagire con noi. Da questa analisi, tipicamente, si scoprono che esistono dei punti di contatto di valore e da presidiare direttamente e altri il cui controllo può essere in qualche modo automatizzato.
Qui scendono in campo i bot. Secondo My Clever Agency, i principali benefici dei bot sono da ricercare nel servizio 24 ore su 24, nella capacità di risposta a domande semplici, nella velocità di comunicazione e nella semplicità. Tutti tratti che delineano un’applicazione al customer care, che già oggi si è spostato dai contact centre ai social.
Ci stiamo quindi muovendo in uno scenario in cui i bot cresceranno sempre di più nell’ambito dei messaggi semplici e immediati (“Si è rotta la lavatrice”/”Attenda che la metto subito in comunicazione con il nostro tecnico”), lasciando all’elemento umano il controllo di fasi più raffinate della relazione.
Tutto bene quindi?
In realtà, se guardiamo alla user experience di chi utilizza i bot, è terribile. Siri, Cortana e gli altri assistenti virtuali, ad esempio, hanno spesso difficoltà ad interpretare le domande, tanto da richiedere all’utilizzatore che volesse passare dall’uno all’altro di adeguare il proprio stile di conversazione. Will Oremus di Slate descrive qui una divertente serata in compagnia di Alexa.
Due sono i problemi. Da un lato, la tecnologia non è ancora pronta. Chi realizza i bot in genere utilizza SLT (Simple Linear Trees), cioè dei “premasticati” che funzionano bene se l’utente interagisce in modi predefiniti con il bot (ad esempio ponendo un numero limitato di domande chiuse).
Dall’altro lato non siamo pronti noi utilizzatori. Ci fidiamo poco. È come se fossimo improvvisamente tornati indietro all’alba del web quando domandavamo: “Hai ricevuto la mia email?”. Quando chiediamo ad un assistente virtuale, ad esempio, di cancellare i nostri dati di navigazione, siamo veramente sicuri che lo faccia? Io no.
Comunque noi e la tecnologia matureremo e la strada mi pare tracciata. Ed è una strada che renderà sempre più trasparenti le interfacce, per consentirci un’esperienza davvero immersiva.
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