Breve saggio sulla criminalità organizzata
Ogni volta che si affianca un numero a una persona si commette un piccolo crimine contro l’umanità. Quando qualcuno può venire identificato con un numero, la ricchezza dell’umano si appiattisce, la complessità scompare, l’identità di riduce a una etichetta e la burocrazia ha la meglio. Eppure lo facciamo di continuo, perché è molto comodo. Quando devono tenere insieme tante persone, le organizzazioni fanno necessariamente ricorso a questo stratagemma, che consente di risparmiare tempo e denaro. Eserciti, università, aziende, istituzioni, associazioni non farebbero molta strada se non potessero contare sul numero di matricola. E quando la complessità organizzativa risulta elevata, vuoi perché l’organizzazione è parecchio estesa, vuoi perché i compiti di ciascuno si incrociano con le attività di molti altri, è inevitabile che le persone diventino il numero che è stato loro assegnato. Quando poi apparisse necessario garantirsi un ordine inflessibile, il numero finirebbe per venire tatuato sul braccio delle persone, affinché non ci fossero più dubbi.
Alla luce di questa consapevolezza, il conteggio universale di morti, contagiati, intubati, guariti cui assistiamo ogni giorno, ha un sapore crudele. È il sapore del codice che annulla il senso e rende indecifrabile l’esperienza. Chi più chi meno, abbiamo tutti in bocca questo sapore, da un anno. A coloro che hanno contratto la malattia in forma grave si anestetizza il gusto per qualche giorno; tutti gli altri sono ininterrottamente disgustati dal sapore della statistica necrofora, anche perché non è possibile fuggirlo, la numerazione è ubiqua e capillare (sebbene per lo più infondata, almeno in Lombardia, ma questo facciamo finta di poterlo trascurare). Eppure, per quanto disgustoso risulti il sapore dell’azione statistica, è proprio alla scienza dei numeri che dobbiamo la regolazione della nostra esistenza, da un anno a questa parte. L’improvvisa variazione statistica nel numero complessivo dei decessi su scala nazionale, ha determinato provvedimenti precisi che hanno imposto la disgregazione dei rapporti sociali e l’annullamento di ogni dispositivo economico che non possa giovarsi dell’assistenza statale. Oggi, 31 gennaio 2021, noi italiani entriamo in possesso di alcuni numeri che ci lasciano sgomenti. Al sentimento di orrore che si avverte di fronte al numero di persone che l’infezione si è portata via prematuramente da quando la pandemia ha avuto inizio (85.418), si aggiunge l’incredulità che viene suscitata in tutti noi da un altro numero: 941. In questo ultimo anno, in Italia, le persone morte per Covid di età inferiore ai 50 anni sono 941. I dati distribuiti oggi dall’Istituto superiore di Sanità non sono precisi in merito alle condizioni di salute nelle quali questi under 50 si trovavano prima di venire infettate. Sappiamo solo che 35 di loro risultavano persone prive di patologie rilevanti. Dove origina lo sgomento che questi numeri ci infliggono?
Che si assumano provvedimenti d’emergenza quando un virus si diffonde lascia intendere che sia possibile ritenersi collettivamente responsabili per l’andamento dell’epidemia. Noi tutti abbiamo quindi avuto un qualche ruolo nel consentire che 85.418 persone morissero. Forse un ruolo importante, visto che l’età media di queste persone è 81 anni, come segnala l’ISS. Un grande numero dei nostri vecchi se n’è andato in silenzio, senza di noi, nell’ammasso delle residenze per anziani e negli ospedali, una rete di campi di concentramento diffusi su tutto il territorio nazionale che non abbiamo saputo smantellare in tempo. Viceversa, abbiamo smantellato il sistema economico cardinale del paese, quello che è insieme il più importante (perché genera la ricchezza che sostiene la amministrazione pubblica, nelle sue infinite forme italiche) e il più debole (perché si fonda sull’iniziativa imprenditoriale di piccole dimensioni, quella che non può contare su grandi capitali di rischio o su casseforti familiari). Il sistema economico fatto da liberi professionisti, artigiani, artisti, micro-imprese, negozianti, piccoli imprenditori non c’è più. Se ne sono accorti tutti, con l’eccezione di quelli che restano concentrati sulle statistiche dei morti - se ne accorgeranno anche loro, non appena lo stato sarà costretto a consentire i licenziamenti e a ripristinare il flusso delle restituzioni bancarie che risultano temporaneamente congelate. Abbiamo disfatto il tappeto su cui, in Italia, prima della pandemia, milioni di persone di buona volontà entravano ogni giorno in azione, cercando di procurarsi quell’equilibrio di cui possono giovarsi coloro cui viene garantito uno stipendio sia quel che sia. Quell’Italia non c’è più, è stata annientata da un insieme di decisioni assunte alla luce di evidenze statistiche che la nostra classe dirigente non è stata capace di interpretare correttamente.
Se non si fosse agito così, l’arrivo del Covid avrebbe generato una situazione peggiore di quella attuale e imminente? Non lo sappiamo. Senza i ripetuti lockdown, i provvedimenti restrittivi, lo stato di polizia, avremmo contato più morti? Nessuno può dirlo. Sappiamo invece che la mancanza di cura verso i nostri vecchi e il prevalere del panico sulla ragione hanno causato la morte di decine di migliaia di anziani e hanno privato dell’equilibrio milioni di persone. Questo equilibrio sarà recuperabile? Nemmeno questo sappiamo; ma questo stiamo per scoprirlo, tutti insieme. Mentre aspettiamo i nuovi dati, questa volta relativi ai vivi e ai loro mezzi di sussistenza, disponiamo di infiniti modi per interpretare quello che è accaduto. Io suggerisco di considerarlo un esempio di quanto criminale può risultare l’organizzazione statale quando si concentra sui numeri e perde di vista le persone.
Project & construction manager
3 anniCaro Leonardo come sempre dici cose profondamente sagge e che condivido. Purtroppo aggiungo che l'unica cosa che poteva essere costruttiva nell'analisi di questa pandemia era la riflessione personale per comprendere che la generosità e il cuore, il saper fare squadra e far sentire tutti parte fondamentale di un processo era il primo vaccino per contenere il dilagare dei morti. E come sempre sul lavoro basterebbe imparare dalla vita. Ma mi sento di dire che abbiamo perso una occasione per svoltare e senza rispetto per chi ha dato la vita...numeri senza volto i nostri morti, numeri dietro un monitor i vivi. Comunque non perdiamo la speranza e chi ha la testa e il cuore li usi.... E speriamo che in tanti ti leggano trattenendo il senso profondo e non fermandosi all'inchiostro. Un bacio Lara