CHI HA PAURA DEI NERI DI BANKO?

La televisione recentemente non ci ha risparmiato, neppure una sera, mai una puntata della nave Diciotti, quella dei 173 disperati isolati a Catania; se ne è parlato tanto, forse troppo e con troppi commenti all'italiana. Non intendo dissertare se sia o non sia cosa buona accogliere queste persone, ma non mi dispiace far osservare alcuni aspetti della vicenda. Uno di questi, assai palese e scenografico, era l'abbigliamento dei visitatori della nave: apparivano quali ospiti di una clean room da laboratorio, o, meglio, mi hanno ricordato i tempi in cui lavoravo dentro una centrale nucleare. Allora c'era il pericolo di una contaminazione radioattiva interna o esterna, e giù docce subito dopo l'uscita dalla zona controllata. Qui, penso lo stesso. Tutti a decontaminarsi come se il lazzaretto fosse stato affollato da lebbrosi. Se dunque anche i favorevoli senza se e senza ma si bardavano come a carnevale, forse voleva dire che qualche rischio di contagio con questi derelitti c'era. Paura della scabbia, della febbre gialla, del vaiolo, della malaria o che altre strane malattie che qui da noi non si conoscono inducono a tanta prudenza? Sì, certamente e giustamente; purtroppo, però, non esiste una macchina che consenta la sterilizzazione da queste malattie contagiose premendo un bottone. Allora, ca va sans dire, lasciare la libera circolazione senza le dovute premure, potrebbe essere di nocumento per la popolazione. Ma questa è solo una deduzione cervellotica di un vecchio ingegnere che questi neri li ha conosciuti nel passato remoto di circa 40 anni fa.

Ero stato silurato in Costa d'Avorio con la funzione di avviatore della centrale. Era pronta solo la prima unità, e la seconda era in costruzione. Mi capitò di tutto: una settimana dopo l'arrivo rischiai la vita per un capogiro dovuto al cambiamento climatico che solo per un soffio non mi fece cadere dentro la vasca dell' acqua di mare per il raffreddamento del condensatore. Il medico disse che mi dovevo muovere molto lentamente, e non come un europeo e dovevo, come tutti gli altri, rimanere più tempo dentro le baracche provviste di aria condizionata. Dopo circa due mesi mi ammalai di malaria (il paludisme francese) con febbri da 41°C, brividi freddi e conati di vomito a ripetizione: il medico disse che era nella regola, tutti là prendevano la malaria, ma nessun problema si curava con siringoni di chinimax e una pasticca al giorno prima dei pasti di chinino francese. Un saldatore che si mostrò reticente a queste precauzioni, non tornò più in Italia. La manovalanza era tutta nera, lenta e indolente; ad un nero,trovato a dormire sul posto di lavoro, chiesi spiegazioni. Mi rispose che quella notte era piovuto (eravamo nella stagione delle piccole piogge) e che,non avendo una abitazione, non aveva dormito alla ricerca di un riparo. Le casse delle spedizioni d'incanto sparivano dal piazzale e servivano da riparo da quelle notti umidissime.

L’esperienza africana maturò in me una coscienza non solo tecnica, soprattutto umana che non mi ha mai abbandonato. Ho dovuto combattere contro strane malattie, come quella di una diffusissima mosca che depositava le uova sui panni stesi ad asciugare che, indossati, facevano nascere dalla pelle dello sventurato dei vermi infernali. Si debellava passando sotto il ferro da stiro caldo al calor bianco ogni capo di vestiario, che, per questa ragione doveva essere obbligatoriamente di cotone o lino. E poi l’acqua doveva essere necessariamente in bottiglia, le fogne a cielo aperto, i malati di elefantiasi con i piedi deformi e simili a quelli dell’elefante, i ciechi resi tali da un insetto che vive nei ristagni di acqua da non attraversare a piedi nudi, le sanguisughe addosso ai neri di Banko che si immergevano per il lavaggio dei cenci da indossare, la prostituzione minorile, e i bordelli per i bianchi appena danarosi. I neri che soverchiano e schiavizzano altri neri, la disperazione della miseria, l’inconsistenza civile delle donne e lo scarso valore della vita umana. Un giorno il responsabile delle costruzioni ordinò ad un operaio nero di osservare con attenzione uno strumento che monitorava la temperatura di ricottura di una saldatura su un tubo del vapore. La ricottura serve a distendere tutte le tensioni che insorgono a seguito dell’alterazione termica dovuta alla saldatura. L’uomo si posizionò sul tubo e cominciò il suo lavoro. Poco dopo, forse un’ora dopo, si udì un tonfo preceduto da colpi intermittenti, come di un grave in caduta. Il tubo era in cima alla caldaia a più di trenta metri dal suolo. Poi una piccola folla si raccolse ai piedi del generatore: l’operaio si era addormentato ed era precipitato al suolo. Poco più tardi ognuno era tornato al suo posto di lavoro. L’indifferenza era ciò che più turbava, ma la vita laggiù era talmente corta e spesso la morte era vista come la liberazione dai mali e dalla fame. Non era strano trovare cadaveri a terra lungo le strade e spesso erano vittime dei pirati che sgozzavano per pochi CEFA.

Mi fece una certa impressione vedere un cameriere, che serviva al ristorante dell’hotel Ivoire, prima di entrare in sala fermarsi sull’uscio della cucina dove un metre lo nebulizzava con un potente deodorante, nemmeno fosse stato una mosca presa d’assalto da un insetticida. Perché, mi chiedevo. Perché la Natura ha riservato a questa povera gente frutti, come la papaja, il mango, l’avogado ed altra dal nome impronunciabile, ricche di zuccheri e proteine, vera manna per chi non ha carni da mangiare. Ma il rovescio della medaglia sta nell’olezzo che la pelle di chi ne fa uso, sudando, manda. Ed è un odore fastidioso che non se ne va, a meno di astenersi per lungo tempo dall’assunzione di questi frutti. Sono passati tanti anni da allora, ma il tanfo di marcio che invade le narici quando si apre il portellone dell’aereo in aeroporto mi è rimasto stampato nell’hard disk del mio cervello.

Non sono più tornato in Africa e non ne ho sofferto.

 


Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Giovanni Poccia

  • NUCLEARE? Sì, GRAZIE!

    NUCLEARE? Sì, GRAZIE!

    Si sente in giro parlare tanto male del Nucleare, e non lo trovo corretto. Così ho deciso di fare qualche modesta…

    5 commenti
  • CARTOLINE DAL PASSATO

    CARTOLINE DAL PASSATO

  • RIFLESSIONI DI FINE ANNO

    RIFLESSIONI DI FINE ANNO

    Centrali elettriche a biomassa. La biomassa da bruciare nelle camere di combustione delle caldaie va intesa come…

  • AL CONTADINO NON FAR SAPERE...

    AL CONTADINO NON FAR SAPERE...

    LE CONTRADDIZIONI DA SPIEGARE AD UN CONTADINO. Non abito più in città da circa nove anni, da quando, stanco di pagare…

  • UNA VITA BESTIALE 5

    UNA VITA BESTIALE 5

    Le beccacce sono uccelli grandi quanto un piccione, con il becco sottile e lungo tale da essere in grado di pescare…

  • AMBASCIATORI IN TRASFERTA

    AMBASCIATORI IN TRASFERTA

    I Galli ci riprovano. Roma, in quel tempo, aveva continui impegni bellici: i Latini, gli Ernici e pure i Tuscolani da…

  • UNA VITA BESTIALE 4

    UNA VITA BESTIALE 4

    MACCHINE VOLANTI IN RAPIDO TRANSITO Erano passati più di vent’anni dalla storia di Pippo chiò chiò e tante cose mi…

  • UNA VITA BESTIALE 3

    UNA VITA BESTIALE 3

    Pippo Garibaldi, Pippo Fulmine, Pippo Leo, Pippo Gemma, Pippo Piccolino. Sono i nomi di eccellenti cani da caccia, meno…

  • UNA VITA BESTIALE 2

    UNA VITA BESTIALE 2

    Secondo racconto Pippo chiò- chiò Papà Nicola aveva la passione per la caccia. In casa abbiamo avuto sempre un cane:…

  • UNA VITA BESTIALE

    UNA VITA BESTIALE

    Cari Amici, un po' di pausa dalla tecnica non fa mai male. Vi annoierò, bontà Vostra, con qualche racconto di vita…

Altre pagine consultate