Chi ha paura dell'Arte?

Chi ha paura dell'Arte?


In Italia, dal 1200 in poi, la religione si è fatta Arte.

Una vera fortuna.

Immaginare l’inestimabile patrimonio artistico italiano senza la rappresentazione e la committenza della Chiesa significa restare con ben poco in mano, almeno fino al Rinascimento.

Non fu così in altri paesi. Un po’ in tutto il mondo, a fasi alterne, le religioni e il potere di turno, l’arte proprio non la potevano sopportare.

In principio fu “il Verbo”, ovvero la Bibbia che scrive abbastanza chiaramente: “Io sono il Signore Dio tuo. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.”

Paradosso: nel Corano un divieto simile non c’è. Prevede solo un’esortazione “… preserva me e i miei figli dall'adorazione degli idoli” che è cosa diversa dal non “farsi immagine alcuna”.

In compenso, un rigoroso divieto viene però espresso in libri successivi, gli “ahadith”, che sono i discorsi di Maometto ai discepoli.

A rigor di logica gli “ahadith” sono opera umana e non sono il Corano, però per i religiosi islamici sono legge, e una legge molto precisa.

Non prende di mira soltanto l’oggetto artistico, il manufatto o l’immagine, che non deve ritrarre praticamente alcun soggetto, ma prende di mira esattamente il lavoro dell’artista.

Il “peccato mortale” per l’artista sarebbe la sua “superbia” nel compiere un atto creativo che porta al mondo qualcosa di nuovo, quindi la “creazione” come imitazione indebita di Dio, unico creatore ammesso.

Da questo assioma ecco l’assenza di qualsiasi immagine islamica, se non dei ghirigori decorativi. In tempi anche recenti questa idea ha causato la distruzione di statue e qualsiasi immagine artistica, così come in epoca bizantina si distruggevano immagini e codici miniati.

Mentre in Italia fioriva il Rinascimento, il signor Jehan Cauvin (per gli italiani Calvino) da una parte e Martin Lutero dall’altra rifiutarono i dettami di santa romana Chiesa e diedero vita a calvinisti e protestanti che, manco a farlo apposta, se la presero con le immagini.

In tutta Europa (Gran Bretagna compresa) si divertirono a bruciare quadri e immagini sacre e a spogliare le chiese, per tenerle libere da “peccati”…. E senza nemmeno i ghirigori: muri spogli e tanto basta.

La furia iconoclasta non è privilegio esclusivo delle religioni. La “damnatio memoriae” di romana origine si è affidata ai politici.

Napoleone Bonaparte fece distruggere ben 5.000 “Leoni di San Marco” visto che non poteva razziarli e portarseli al Louvre.

I “Rivoluzionari d’Ottobre” si dedicarono allo sfacelo di aquile, chiese e cattedrali, icone comprese, ritenute simboli della chiesa ortodossa, ricca e corrotta.

Nel 1919 in Cina si salvarono solo opere e manufatti conservati nei musei, mentre in Russia, nel 1989, tutto quello realizzato in nome e nel periodo di Stalin e Lenin fu scientificamente raso al suolo.

Il nazismo si occupò di cancellare l’“Arte degenerata”, salvo derubare e fare incetta del maggiore numero di opere d’arte possibile: si sa “pecunia non olet”.

Lo scempio dei Talebani e in Iraq appartiene a questo nostro stesso millennio.

Insomma, religione e politica hanno un bel conto aperto con l’arte.

Questo conferma sia la potenza dell’arte, sia la responsabilità di chi la fa.

Se è vero, come diceva Gustav Klimt, che ogni epoca ha la sua arte, è anche vero che l’arte ha il potere di influenzare e dirigere un’epoca.

L’Arte sincera non racconta ciò che il mondo è, ma ciò che il mondo diventerà.

Si trasforma in una pratica e infallibile bussola: chi osteggia l’arte, la ritiene dannosa, o anche solo inutile, appartiene alla schiera dei fondamentalisti o dei dittatori.

L’arte come termometro di buona politica e democrazia.

Sta a noi vigilare.

Anche contro i tentativi subdoli, mascherati da “priorità” come chi ci ha detto che “con la cultura non si mangia” o chiude scuole e musei perché… “prima i ristoranti”.

Andrea Giuseppe Fadini






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