Pittore e contadino: Jean Francois Millet
Il 4 ottobre 1814 due poveri contadini della Normandia, Nicolas e Adelaide Millet, diedero alla luce un bel bambino che chiamarono Jean Francois.
Studente lavoratore
Jean Francois dimostra precocemente il suo talento artistico e, malgrado le scarse possibilità economiche, i genitori lo affidano ad alcuni precettori privati.
Prosegue gli studi a Cherbourg dove nel 1833 il ritrattista Paul Dumochel lo accetta come suo allievo.
Jean Francois studia assiduamente, ma divide il suo tempo tra la pittura e il lavoro nei campi al fianco dei suoi genitori. Lavora duro, come tutti i contadini di quei tempi, per sua scelta e per riconoscenza.
L’impegno dà i suoi frutti e nel 1837 Millet vince una borsa di studio e si trasferisce a Parigi per frequentare l’Ecole des Beaux Arts. Esordisce al Salòn già nel 1839.
Di che dipingiamo?
L’anno dopo torna a Cherbourg e incontra la sua anima gemella: Pauline Ono. Si sposa subito ed è felice. Il destino, dopo tre anni, provvede a gettare Millet in un profondo dolore, perché la sua amatissima moglie muore precocemente.
Il mercato di provincia offre a Jean Francois solo la possibilità di qualche ritratto e alcune commissioni a soggetto mitologico e, siccome bisogna pur vivere Millet, accetta questi lavori.
Nel 1847 Millet fa amicizia con alcuni suoi colleghi di Barbizon. Insieme formeranno il primo nucleo della “Scuola di Barbizon”.
Tocca ai contadini
Insieme a Theodore Rosseau, Camille Corot, Jules Dupré e altri, la scuola di Barbizon intende perseguire il realismo. Il loro ritrovo non è un caffè di Montmartre o l’ambiente festoso e libertino parigino, ma uno spartano alberghetto chiamato “père Ganne”.
Qui i loro soggetti di studio sono campi, contadini al lavoro, armenti, greggi con l’attenta sperimentazione cromatica dell’articolazione di rami e foglie, dei campi e dei contrasti di luce delle varie ore del giorno.
Io resto qui
Questo è il lavoro in sintonia con la sensibilità di Millet, che dopotutto è un contadino, e questo lo spinge a trasferirsi definitivamente a Barbizon, anche grazie a una piccola somma stanziata dallo Stato a suo favore.
E in questo paesino nascono i suoi capolavori: “Le spigolatrici”, “L’angelus”, “Il seminatore”.
Le sue opere riscuotono successo al Salòn che le ospiterà per quasi vent’anni.
Il mio sogno triste e dolcissimo
Questi quadri, che non potevano raccogliere critiche dal punto di vista tecnico, non mancarono di solleticare aspri commenti da parte dei critici conservatori.
Per loro i soggetti “autorizzati” possono essere quelli mitologici, storici o di “gente ricca”. Perché imbrattare tele con ritratti del sotto-proletariato?
Per i repubblicani e i critici di “sinistra” la valutazione è esattamente opposta e questa pittura “realista” non può che riscuotere applausi a scena aperta.
Scrive lo stesso Millet:
“Ciò che di più allegro conosco è questa calma, questo silenzio di cui si gioisce così intimamente all'interno del bosco o sui campi arati. Mi direte che questo discorso è molto da sognatore, di un sogno triste, anche se certo dolcissimo, ma è lì, secondo me, che si trova la vera umanità, la grande poesia”.
E questo “omone” gioviale e semplice, quando vive a Barbizon, a Parigi diventa severo e assume un contegno dottorale, perché fuori dal suo ambiente naturale gli viene l’ansia e si dà un contegno.
Millet muore sessantenne il 20 gennaio 1875.
La grande poesia dei suoi quadri diventò il libro di testo assoluto da cui impararono Seurat, Segantini, Pissarro e un giovane appassionato di nome Vincent Van Gogh.