Chi pagherà tutto il debito pubblico di oggi?
È probabile che nel 2023 le regole di bilancio europee non vengano reintrodotte. Il patto di stabilità e crescita dovrebbe essere congelato ancora per un anno. La decisione dovrebbe essere ufficializzata nelle prossime settimane.
Proseguirebbe, quindi, il periodo in cui gli Stati europei possono aumentare il debito senza il timore di infrangere i famosi criteri del 3 per cento e del 60 per cento. La sospensione del Patto è iniziata nel marzo 2020 allo scoppio della pandemia con l’attivazione della Clausola di salvaguardia generale (General escape clause).
La clausola prevede che «in caso di grave recessione economica dell’unione monetaria o dell'intera Unione», i limiti imposti sul debito e sul disavanzo dei singoli Paesi non debbano essere rispettati. Per il 2023, la Commissione non prevede «una grave recessione» nell’area dell’euro: la crescita del Prodotto interno lordo (Pil) è stimata al 2,3 per cento. Eppure, si appresta ad estendere l’allentamento delle regole.
La scelta, ovviamente, è politica.
L’invasione dell’Ucraina è uno shock che, alla stregua del Covid, colpisce tutti i Paesi. Non allo stesso modo, però. Alcuni soffrono di più a causa della dipendenza dal gas russo. L’Italia è tra questi. Sostenere l’economia, ossia le famiglie e le imprese che stanno pagando il costo maggiore, deve essere una priorità. Servono risorse. I partiti politici ne sono consapevoli. Per questo, vedono con favore la prosecuzione della sospensione delle regole europee. Dal loro punto di vista sarebbe una dimostrazione concreta che l’Europa dell’austerità è definitivamente tramontata. C’è da chiedersi, tuttavia, se dare la possibilità alle forze di maggioranza di poter spendere senza vincoli, come avvenuto durante la pandemia quando il debito è aumentato di oltre duecento miliardi di euro, sia effettivamente una buona notizia per gli italiani. Forse no.
Nella primavera del 2023 si vota. I partiti tenderanno ad elargire bonus e sostegni a tutti. Anche a chi non ne ha reali necessità. Esattamente come avviene in tutte le campagne elettorali, c’è da aspettarsi un incremento significativo della spesa finanziata attraverso maggiore indebitamento. In assenza di regole, si potrà fare ancora più di prima. Nonostante il debito abbia raggiunto il 150 per cento del Pil.
La reazione dei mercati non si farà attendere. Del resto, la osserviamo già da ora. La scorsa settimana lo spread italiano ha toccato 190 punti base. Un record tutto nostro, ad eccezione della Grecia. A titolo di esempio, nello stesso periodo lo spread spagnolo si è attestato intorno ai 110 punti base, quello portoghese a 105 e quello francese a 50. A fronte di uno spread in aumento, il rischio è quello di ritrovarsi senza difese. Per capire la gravità di questo possibile scenario bisogna tornare con la memoria al 2011. In piena crisi finanziaria.
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L’Italia, così come tanti altri Paesi, era sotto procedura d’infrazione perché non aveva rispettato i parametri di Maastricht: il disavanzo era al 3,6 per cento, il debito al 119.7. Bruxelles chiedeva azioni correttive e riforme. Il programma di aggiustamento, però, procedeva a rilento. Il governo di allora, presieduto da Silvio Berlusconi, non riusciva a trovare un accordo su diversi punti, a cominciare da quello sulle pensioni. Gli investitori che acquistavano il nostro debito cominciavano a perdere fiducia. Ciò si traduceva in un differenziale tra il Btp ed il bund (il titolo tedesco) sempre più elevato: nella prima settimana di agosto aveva raggiunto 390 punti base. Al fine di ridurre la tensione sui mercati finanziari, la Banca centrale europea (Bce) decise di estendere anche all’Italia il Securities market programme (Smp), ossia il programma di acquisti di debito pubblico già in essere per la Grecia, la Spagna, l’Irlanda e il Portogallo. L’intervento fu, tuttavia, preceduto da una lettera in cui il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ed il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ribadivano l’urgenza di attuare i provvedimenti concordate con l’Europa. La lettera si inseriva nell’ambito della normale comunicazione tra Francoforte e gli Stati appartenenti all’area dell’euro. Eppure, da noi fu presentata dall’esecutivo dell’epoca come un affronto, un'interferenza inaccettabile.
Il resto della storia è noto.
Berlusconi diede le dimissioni nell’autunno del 2011. Alla guida del Paese fu chiamato Mario Monti. Successivamente Draghi con il «whatever it takes» annunciò l’Outright Monetary Transactions (Omt), un strumento definito «il bazooka della Bce» perchè consente acquisti di debito illimitati seppur condizionati ad un percorso di aggiustamento. L’istituto di Francoforte continuò a comprare debito italiano fino al 2012 per un ammontare totale di oltre 100 miliardi, più del doppio di quanto acquistato dalle altre quattro economie incluse nel programma Smp. A gennaio 2013, lo spread era sceso di circa 100 punti base: un risultato ascrivibile all’azione del governo Monti ma, sopratutto all’intervento della Bce che è stato selettivo: furono comprati unicamente titoli dei Paesi con spread elevati, a differenza di ciò che avviene con il Quantitative easing dove l’acquisto è esteso a tutti i diciannove Stati dell’euro.
Il programma Smp fu possibile perché condizionato a piani di risanamento concordati con l’Unione europea o ad una valutazione favorevole della sostenibilità dei conti nell’ambito delle regole vigenti. Con la sospensione di queste ultime, vengono meno i limiti al bilancio pubblico. Si può aumentare il debito senza rischiare la procedura d’infrazione. In un simile contesto, c’è da chiedersi se sarà possibile per la Bce fare acquisti mirati. In assenza di vincoli e, di conseguenza, di impegni precisi da parte del Paese “salvato” sarà difficile per la Bce attivare lo scudo anti spread come avvenuto in passato. Il rischio per chi ha un debito elevato è quello di ritrovarsi senza ripari in una fase di rialzi dei tassi d’interesse e, quindi, di potenziale instabilità finanziaria.
L’assenza di regole rischia di alimentare timori sui mercati e ciò riduce i margini di manovre del bilancio pubblico. Del resto, come dimostra l’esperienza passata, le regole tutelano gli Stati membri. Ed, invece, sta passando il messaggio opposto. Ossia che le regole incatenano. Pertanto, le forze politiche al governo che sostengono di voler proteggere gli italiani e sopratutto i loro risparmi dovrebbe affrettarsi a ridurre il debito o, almeno, chiedere il ripristino delle regole.
Ed invece si respira la solita aria. Quella del “liberi tutti”.