Ci vuole un fiore #9 – Neutralità
Educare alle differenze di genere è un obbligo morale e civile; ma anche un legittimo diritto, riconosciuto a bambini e bambine, a un’educazione “a colori”; in modo che possano fare e scegliere ciò che sentono giusto, e non ciò che altri hanno scelto per loro.
È opinione comune considerare le femmine più “mature” rispetto ai coetanei maschi, in realtà la differenza comportamentale che osserviamo è dovuta al modo in cui ci rapportiamo agli uni e alle altre.
Ciò che siamo, ciò che ci piace, ciò che non ci piace, ciò che scegliamo di fare, è molto influenzato dall’ambiente in cui viviamo.
Gli stereotipi di genere sono radicati culturalmente e socialmente, così sono ritenuti appannaggio del mondo femminile: la tristezza, la paura, l’affettività, la tenerezza, il romanticismo; e peculiarità maschili: la rabbia, il coraggio, la competizione, il rischio.
Assumere come genitore l’idea di una divisione netta fra i due generi, rispetto a caratteristiche, propensioni e capacità, ti impedisce di individuare, osservare e rafforzare le peculiarità personali di tuo figlio.
Educare i bambini e le bambine a riconoscere le proprie emozioni e viverle liberamente è fondamentale già dalla prima infanzia, e questa educazione emotiva non può che essere neutra. Perché gli stereotipi di genere limitano e ostacolano il processo, fin dai primissimi anni di vita.
Infatti, già nella fase di sviluppo emotivo (dai 3 ai 6 anni, in cui il bambino inizia a dare un nome alle emozioni, a riconoscerle, individuarle e dare loro una definizione), può emergere il contrasto con il proprio sentire. Ad esempio, alle bambine verrà in qualche modo riconosciuto il diritto di piangere liberamente, o al massimo “diventano più brutte quando piangono”, invece “i bambini coraggiosi non piangono”.
Crescendo, i preconcetti si caratterizzeranno come limitanti nell’espressione della propria emotività. A scuola, dove maschi e femmine si incontrano per la prima volta, cominceranno a strutturarsi e consolidarsi dinamiche sociali e convinzioni personali che renderanno sempre più chiaro, a ragazzi e ragazze, che a uomini e donne sono concesse o meno debolezze o punti di forza.
Ma vuoi davvero che siano “gli altri” a dire a tuo figlio o a tua figlia cosa sia giusto per lei o per lui?
Se la tua risposta è no, allora è bene iniziare fin da subito a impostare una relazione genitoriale fondata sul rispetto dell’individualità. Un valido alleato per farlo è il gioco. Attraverso di esso, si apprendono i rudimenti per vivere in società, per stare in relazione con gli altri.
Come scegliere allora il gioco giusto?
Innanzitutto, smetti di pensare che esistano giochi da maschi e giochi da femmine. Che rischio potrebbe correre un bambino che cucina o che riordina una casa delle bambole? Cosa potrebbe accadere a una bambina che preferisce giocare con macchinine e trattori?
Ritengo che un bambino – che forse da grande dovrà condividere con un/una partner i compiti necessari alla vita quotidiana -, non potrà che trarre beneficio da un gioco del genere; e una bambina dev’essere libera di poter scegliere anche giochi e attività che, per tradizione, vengono considerati “maschili”, senza per questo essere definita un “maschiaccio”.
Pertanto, ti esorto a osservare tu* figl*, cerca di conoscerl*, seguendo le sue inclinazioni e preferenze. Non perdere mai di vista il tuo obiettivo di lungo termine: prepararl* per il mondo.