Come può il digitale creare occupazione?
Questo articolo è stato pubblicato sull'Unità [link].
La vicenda Foodora e il continuo sviluppo della presenza su Amazon attraverso i suoi poli logistici a Castel San Giovanni, Vercelli e Rieti hanno portato alla luce un dissidio apparentemente insanabile: la crescente soddisfazione dei consumatori nel potere acquistare prodotti e servizi online con bassi costi di spedizione si scontra con nuove forme di organizzazione del lavoro che difficilmente riusciamo ad affrontare con le attuali tutele del lavoro e con le forme di rappresentanza tradizionale.
Questo conflitto porta più in generale ad interrogarsi sulla reale capacità del digitale di creare lavoro e “buona occupazione”.
Il rischio che non sia così esiste soprattutto nei Paesi, come il nostro, che sono prevalentemente mercati di sbocco per le grandi aziende della Rete poichè la diffusione della tecnologia – dalla robotica al l’intelligenza artificiale – erode le mansioni a carattere ripetitivo nell’ambito dell’amministrazione, dei servizi e delle vendite: le funzioni di segreteria vengono rimpiazzate dai calendari e dai file condivisi, il commercio cambia in seguito alla evoluzione del retail e alla diffusione dell’e-commerce. In parallelo le competenze invecchiano velocemente e il concetto di “disoccupazione frizionale” deve essere affrontato con nuove forme di alternanza formazione – lavoro.
L’errore che però non va commesso è buttare via il bambino con l’acqua sporca, imputando al digitale i limiti che hanno reso impossibile all’Italia essere un Paese centrale nella rivoluzione tecnologica di questi anni e ritenendo che siano le aziende digital a dover rappresentare, con le loro assunzioni, la capacità di creare nuova occupazione.
In realtà il digitale rappresenta una chance lavorativa soprattutto nelle aziende i cui modelli, prevalenti nel nostro tessuto produttivo, sono resi oggetto della disruption che la tecnologia introduce e che oggi si trovano di fronte alla difficoltà di reperire personale adeguato: secondo la ricerca Excelsior per Unioncamere – Ministero di questi giorni del Lavoro, una ricerca di lavoro su cinque si scontra con la difficoltà a trovare competenze ed esperienze adeguate e questo anche perché meno del 20% degli italiani ha una preparazione digitale sufficiente.
E’ evidente che abbiamo pertanto di fronte a noi una gigantesca sfida di orientamento, formazione continua e aggiornamento professionale davanti a noi, da affrontare su molteplici fronti:
– sul piano generazionale affinchè non vi sia il contrapporsi, sul piano delle competenze, degli “Under” e gli “Over”, ma anzi prendano corpo forme di accompagnamento a due vie tra queste due fasce di età;
– sul piano della rappresentanza, sia del lavoro che dell’impresa, per far frontead un mercato più liquido e frammentato;
– sul piano scolastico e formativo, in un contesto europeo in cui i laureati in materie ICT sono diminuiti in Europa del 13% negli ultimi cinque anni.
Il lavoro che il team di Diego Piacentini non ha pertanto solo il grosso merito di introdurre efficienza nella Pubblica Amministrazione, ma, soprattutto grazie alla collaborazione che sta intraprendendo con molte città, deve introdurre un’esternalità importante: sollecitare nel nostro Paese la cultura al digitale come forma di una maggior attenzione all’imprenditoria diffusa e una più consapevole responsabilità individuale ad adattarsi a condizioni mutate.
L’Unione Europea stima che, di questo passo, mancheranno nel nostro continente nel 2020 756 mila professionisti del ICT: è questo il tempo, per ciascuno di noi e per tutti insieme, di colmare questa lacuna.