COP26 il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto ?
Si sono chiusi i lavori della COP26 di Glasgow e dopo qualche ora di ragionamenti sugli esiti, possiamo tirare una linea e valutare cosa ne rimane e se sia sufficiente o meno.
Abbiamo indicato in procedenti articoli quelli che sono stati i primi output emersi durante la conferenza. In particolare gli impegni sulle foreste, quello sulle emissioni di metano e poi la frontline dei paesi maggiormente ambiziosi che chiedevano un accordo solido che ponesse il limite a 1,5°C come traguardo sul quale impegnare tutti i Paesi e tutte le parti.
Gli impegni citati non sono trattati bensì indicazioni di volontà dei singoli Paesi che si impegnano poi a titolo diretto sul tema indicato. L'accordo finale invece ha il carattere dell'ufficialità ed è quello sul quale principalmente viene valutato se la COP ha dato un esito positivo o meno rispetto al tema dei cambiamenti climatici, che intanto procedono e non attendono le diplomazie internazionali.
Il documento finale, denominato Patto per il Clima di Glasgow letto nel suo insieme è poco ambizioso. Se da un lato pone fine al periodo di negazione sul problema (il quadriennio Trump) e pur indicando chiaramente come sia la scienza la bussola che traccia in modo chiaro, problemi e soluzioni su cui intervenire, dall'altro ancora stenta nel mettere a fuoco le singole tappe da realizzare.
Indica il traguardo del 1,5°C come migliore rispetto a quello dei 2° (un modo diplomatico per dire che meno peggio è meglio di molto peggio) ma poi non fa il conto con il dato incontrovertibile che già oggi siamo a 1,1° C. Questo significa che le azioni non hanno più carattere di importanza, quanto di estrema urgenza. La latenza del sistema clima non consente di ragionare di termini temporali "nell'intorno di" o con azioni "rapide, profonde e sostenute". Si tratta di agire "ora" e le azioni devono essere "chiare, trasparenti ed efficaci".
La decarbonizzazione, con l'uscita dal carbone come urgente, ed il phasing out dal petrolio e poi dal gas come necessarie, devono essere nel calendario degli anni da qui al 2030. Spostare di COP in COP il punto del discorso, va nella direzione del danno senza ritorno o dei "tipping point" come indicano gli scienziati. Si è indicato un target condiviso, il 45% di riduzione delle emissioni di CO2 da qui al 2030. Un obiettivo già inferiore a quanto sarebbe necessario ma un obiettivo concreto ed allo stato condiviso da tutti i paesi. Il target invece di neutralità climatica, non è definito nei tempi se non con il citato e vago "nell'intorno di metà secolo" ed appare come il vero punto sul quale le posizioni non trovano la sintesi.
Parlando con diversi delegati indiani, e ricordiamo che l'India è stata la vera protagonista più della Cina in questa COP tra i Paesi "resistenti", mi indicavano che il tema è meramente economico. Il loro paese vive la contemporanea presenza di contesti ad alto progresso economico ed industriale, ed altri molto arretrati da tutti i punti di vista. Per consentire di mettere in pari le condizioni di vita al loro interno, il modello economico-industriale (dunque energetico) attuale è un punto su cui non possono arretrare. A meno di un grande sforzo internazionale di tipo economico a loro supporto. Qui è da sottolineare che temi interni di pure grande rilevanza, non possono essere di tale portata da mettere a rischio l'intero sistema complessivo e che ci sarà sempre chi è più in difficoltà nella transizione. Al tempo stesso però non si possono dimenticare quei paesi che senza azioni immediate saranno devastati dai cambiamenti climatici. Se è pur vero che i 60mila abitanti delle Isole Marshall non sono quantitativamente paragonabili ai 3 miliardi tra Cina ed India, è vero che la loro prossima scomparsa è il segnale di quello che succederà in altri contesti, in India, come in Cina, come in Europa, come in Australia, Africa o nelle Americhe. Chi muore per gli eventi metereologici estremi (e succede in ogni paese senza eccezione) già oggi, non è forse altrettanto importante ?
Accordi come quelli che devono emergere dalle COP non possono quindi essere il mezzo per rivendicazioni che sono legittime, ma non a quel tavolo. La transizione prima che giusta, deve essere effettiva. Se ci sarà transizione si trovano anche le soluzioni. Non viceversa.
Ragionare del terzo e quarto passo dopo il burrone, non è saggio quando devi ancora decidere del penultimo e terzultimo prima di cadere.
Consigliati da LinkedIn
Come si è discusso in molti tavoli, quello che non mancherà per la transizione saranno le soluzioni tecniche e le risorse economiche. La scelta di agire viene prima.
Tra gli atti che invece fanno ben sperare richiamo qui uno molto tecnico, e che i grandi media non hanno evidenziato, e sono le regole di rendicontazione previste dall'accordo di Parigi, che oggi finalmente hanno uno schema approvato e condiviso. Sono 56 pagine di schede tecniche approvate in chiusura di COP, "roba da addetti ai lavori" ma senza le quali la trasparenza dei singoli paesi nella rendicontazione delle azioni previste dagli accordi, viene meno.
Insomma tornando alla domanda iniziale su quanto sia pieno il bicchiere, diciamo che almeno abbiamo un bicchiere e che vuoto non è.
Ma come ha detto il Presidente della COP Alok Sharma, il polso di 1,5°C è debole, ma almeno batte.
Ora pancia a terra e agiamo, perchè non sarà una COP che risolve i problemi. Le conferenze sul clima sono la cornice del quadro, ma poi i contenuti li fa ognuno di noi nei ruoli che riveste. Da semplice cittadino, lavoratore, manager, imprenditore, consumatore, amministratore locale, rappresentante di istituto, decisore politico o amministratore di condominio.
PS la riduzione del 45% delle emissioni di CO2 stabilite a Glasgow, per l'Italia significa uno sforzo importantissimo da ogni punto di vista. Non trascuriamo che guardare a quel che manca (alla COP) non ci può far omettere quello che dobbiamo fare qui ed ora.
Business English Coach | Empowering Business Owners and Leaders in the Cosmetics Industry to Advance their English Communication and Presentation Skills in order to Expand Their Businesses | Neurolanguage Coach®
3 anniThanks for this sobering article Daniele. We can’t give up hope but now it’s to take serious action of course, & that will be tough.
CEO L&A | Svil. strategico, direz.le, organizzativo e Umano d'Impresa | Pres. Lampugnale & Associati, Istituto e Accad. Genodiscendenza ® | Counselor in svil. sociopsicologico
3 anniIl bicchiere è pieno. Di retorica e di ipocrisia. Anche grazie a certe frange del comodo ambientalismo. Che "casualmente" non attaccano mai con la stessa veemenza coloro che, della salvaguardia ambientale, se ne fabbo un baffo. Cina ed ora anche India in testa.